domenica, novembre 02, 2025

 

Ufficiale e whistleblower: riscatto o crisi dell’etica?


Mi ha colpito il caso del maggior generale Yifat Tomer-Yerushalmi, il procuratore generale militare israeliano che ha rassegnato le dimissioni dall’incarico e confermato di essere il whistleblower che aveva fatto pervenire ai media il video shock su un gruppo di soldati che picchiavano e violentavano un detenuto palestinese nel famigerato centro di detenzione militare di Sde Teiman, nel sud di Israele.

Difficile pensare che l’alto ufficiale, considerata dalla comunità internazionale troppo indulgente nei confronti della condotta dei soldati in tempo di guerra, non fosse consapevole di avere tutto da perdere: stipendio, carriera, reputazione e amicizie, con in aggiunta la prospettiva di essere incriminata per reati quali rivelazione di atti coperti da segreto e attentato alla sicurezza dello Stato.
Altrettanto difficile ritenere che, rendendo pubblica la prova delle violenze in stile Abu Ghraib nei centri di detenzione militari, Tomer-Yerushalmi abbia sottostimato le reazioni dell’estrema destra ultranazionalista seduta nella coalizione di governo.

Si può solo ipotizzare che stretto nel fuoco incrociato delle critiche alla procura militare, accusata da un lato di insabbiare sistematicamente le denunce sulle condizioni di vita e i trattamenti degradanti cui sarebbero sottoposti i reclusi palestinesi, dall’altro di minare la coesione nazionale e lo sforzo bellico a Gaza dando peso a voci diffamatorie, il procuratore abbia inteso mandare un segnale irrituale ma forte ai contestatori: in nessun caso l’avvocatura con le stellette è disponibile a derogare agli standard etici che le IDF si sono date.
In tal senso depone la lettera di dimissioni presentata al capo di stato maggiore, nella quale Yifat Tomer-Yerushalmi si è assunta la responsabilità di aver approvato la fuga di notizie, motivandola con la volontà di contrastare la propaganda rivolta contro le autorità militari incaricate di applicare la legge.

Com'era prevedibile, il commento del governo Netanyahu, affidato al ministro della difesa Israel Katz, è stato tagliente: “L'avvocato generale militare si è dimesso, e giustamente. Chiunque diffonda calunnie  contro i soldati delle IDF è indegno di indossare l'uniforme delle IDF”.

Lascio aperto il quesito se l’iniziativa dell’ex procuratore generale israeliano segni un riscatto - sia pure parziale, momentaneo e discutibile nelle modalità - dell’etica oppure ne certifichi la crisi.

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