domenica, febbraio 25, 2018

 

Spezzeremo lo smalto delle unghie alla Libia



Se non avessi visto e ascoltato lo spezzone video non ci crederei: Simone Di Stefano leader di CasaPound Italia espone durante un talk show la soluzione definitiva al problema dell'immigrazione, così semplice da far sembrare arzigogolato l'Uovo di Colombo.

La ricetta è di una linearità sconcertante, quasi imbarazzante: ci si accorda con alcune fazioni libiche e si manda l'esercito italiano a ripulire da banditi e trafficanti un pezzo di Libia, creando di fatto un nuovo stato.
In questa fetta di Libia "liberata" si inizieranno a costruire case, strade, ponti e acquedotti, in modo che vi si possano trasferire, a mezzo di un grande ponte aereo e navale, gli immigrati allettati da una reale opportunità di lavoro e di costruirsi un futuro.

Inutile dire che per l'alto esponente di CasaPound il realismo è un optional e concetti come diritto internazionale, sovranità, post/neo-colonialismo e deportazione sono quisquilie, fumisterie, cavilli di chi preferisce che la Libia rimanga nell'anarchia e alla mercé del racket degli scafisti.

Solo personaggi della levatura di Di Stefano possono immaginare che un'avventura militare in Libia possa essere una sorta di tranquilla scampagnata o un'operazione chirurgica rapida e indolore e che i libici accetteranno di buon grado la creazione di una nuova colonia italiana sul loro territorio.
Solo dei laureati in economia del quartierino possono pensare che un piano colossale di lavori pubblici sia finanziabile con i soldi del Monopoly.
Solo dei fini umoristi come i casapoundiani possono restare seri mentre confermano ciò che sosteneva Ennio Flaiano, e cioè che nel nostro paese la linea più breve tra due punti è l'arabesco, ma tant'è: questo è ciò che passa il convento dell'estrema destra italiana.

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sabato, febbraio 24, 2018

 

Un "cold case" spinoso




Nel 1998 un blitz animalista liberò in un colpo solo circa 6.000 visoni dalle gabbie di un allevamento britannico dove erano tenuti in vista di essere sacrificati alle esigenze del settore pellicceria.
L’incursione seminò il caos nelle campagne circostanti perché i mustelidi, spinti dalla fame, saccheggiarono nidi e tane della fauna selvatica, attaccarono le fattorie facendo strage di pollame e conigli e finirono sotto le ruote delle auto di passaggio prima di essere riacciuffati.

Al blitz assistette anche una agente sotto copertura della Met(ropolitan) Police londinese infiltrata nel gruppo, autorizzata a partecipare al reato dai vertici del reparto con la garanzia che non avrebbe dovuto subire in futuro conseguenze disciplinari e penali.

Qualche anno dopo l’agente si dimise dal reparto e dalla polizia. L’incarico le stava creando seri problemi psicologici perché la vita in comune con i membri del gruppo animalista aveva creato un coinvolgimento emotivo tale da rendere insostenibile il doppio ruolo. Di lì a poco andò a convivere in campagna con uno dei leader del gruppo e la sua vita tornò, faticosamente, a scorrere sui binari di un anonimato borghese.

Vent’anni dopo, un’inchiesta giornalistica ha ripreso in mano il caso irrisolto dei visoni, per cui non era stato arrestato e incriminato nessuno, e ha rivelato la presenza delle barbe finte della Met Police.
La risposta della polizia londinese è stata uno scarno comunicato in cui ha ammesso il proprio ruolo, si è scusata con i colleghi della polizia locale per la mancata condivisione di informazioni e ha messo nero su bianco il nome (finto) dell’agente infiltrata, tenendo nel contempo coperta l’identità dei dirigenti che avevano gestito l'operazione.

L’ex agente ha replicato con una lettera alla stampa, addolorata e infuriata per il comportamento sleale che la smascherava, dandola in pasto a un processo mediatico e, soprattutto, al risentimento delle persone che avevano avuto fiducia in lei, accogliendola e trattandola come una di loro.

Fin qui i fatti, dopodiché è arduo farsi un’opinione e trarre una qualsivoglia morale. Lealtà, senso del dovere, fiducia, ambiguità, tradimento, bene e male sono mescolati troppo strettamente; né può essere diversamente ogni volta che per perseguire un interesse superiore “si scende a patti con il diavolo”.
Chi ha agito correttamente? Chi ha tradito la fiducia di chi?

[fonte della notizia: The Guardian online]

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giovedì, febbraio 22, 2018

 

Brexitnovela




“Brexit Mon Amour” - Diciannovesima puntata: scena quinta

Al tavolo delle trattative per la Brexit il gioco si sta facendo duro. A nome del governo di Sua Maestà Britannica, l’intrepida premier Theresa May cala l’asso della sua nuova, dirompente proposta.

Governo Britannico: «Sentite un po’... e se invece di rispettare il 2020 come data ultima per chiudere la transizione facessimo che vi avvertiamo noi - con calma, eh? - quando saremo pronti a lasciare definitivamente il mercato unico?»

(brusii e accenni di protesta)

Governo Britannico: «No, no.. andiamo!! Ora non mi fate quei musetti imbronciati! Sapeste quanto ho penato per convincere quei quattro infamoni del mio partito che chiedono la hard brexit o la mia testa… Dicevo: resta inteso che gli attuali diritti dei cittadini UE che arrivano nel Regno Unito scadranno ad aprile 2018 e che nel periodo di transizione saremo liberi di accordarci con chi QUIZ ci pare senza consultarvi.. Allora che ne dite?»

Delegati UE: «Madame gradisce anche qualche fetta di culo?!?»

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domenica, febbraio 04, 2018

 

Stampede


Si dirà che lo sparatore di Macerata è uno “fuori bolla”, come il cinquantottenne cosentino che avrebbe realizzato il fotomontaggio con Laura Boldrini decapitata o chi ha rappresentato Silvio Berlusconi incellofanato in una vaschetta di polistirolo con la scritta “trito bovino scelto”, con la sola, “trascurabile” differenza del passaggio dal delirio virtuale alla pratica criminale.

L’impressione, sconsolante, è quella di vivere dentro un esperimento sociale in stadio avanzato, con l’opinione pubblica nazionale riportata allo stato di mandria che reagisce sbandando disordinatamente ai segnali ansiogeni lanciati da una classe politica mai così scadente e in caduta libera di credibilità, nella quale alcuni demiurghi di mezza tacca hanno pensato bene di specializzarsi nel cinico, irresponsabile ma sinora redditizio marketing dell’allarme sociale.

Ammesso e non concesso che esista, quest’esperimento sociale sembra avere un orizzonte scontato: portare un popolo spremuto, smarrito e isterico a imboccare quella che sarà additata come l’unica via d’uscita e a considerare accettabile qualsiasi pedaggio.
Non sarebbe la prima volta che una scalata al potere usa una simile strategia: cambiano i mezzi a disposizione e le marionette in scena, non sempre cambiano i burattinai.

In ogni caso la domanda che conta oggi è se il processo di deterioramento in corso sia reversibile.
Mi auguro di sì, benché le premesse non siano delle migliori. Realismo, senso della misura e della responsabilità, fermezza nel riaffermare il bene comune al di sopra delle tattiche e delle fazioni non sono merce considerata spendibile in una campagna elettorale tra le più sciatte e inconcludenti della storia repubblicana.
Vorrei, però, ricordare agli aspiranti stregoni e ai fantocci travestiti da leader che cavalcare la tigre della paura e dell’intolleranza è uno sport pericoloso: alla lunga si rischia di ruzzolare e di essere fatti a fettine da un branco di gatti resi pazzi dal terrore.

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