venerdì, febbraio 26, 2021

 

Dem radical-chic



Se mai dovessi scrivere per esteso tutto ciò che penso del Partito Democratico sarei immediatamente etichettato come tardo epigono di quella sinistra radical-chic che - si dice - provi un perverso diletto nel demolire per poi accucciarsi sulle macerie.

Senza addentrarmi sulle "tare genetiche" che affliggono il PD dalla nascita, argomento su cui esiste una bibliografia fluviale, provo un sentimento ambivalente di affetto e frustrazione verso un progetto ridotto a uno scarabocchio a furia di essere rimaneggiato, manipolato, asservito a idee, interpretazioni e aspirazioni disparate.

il risultato è un contenitore informe, mille volte rabberciato, vagamente funzionale ma sistematicamente inadeguato alle aspettative.
Abbiamo a che fare con un partito afasico, sfuggente, che fatica dannatamente a esprimere un abbozzo d'idea nitida su dove si voglia andare e come, di giustizia sociale, di valori: in definitiva qualcosa di sinistra. Pur tuttavia, dal PD non riusciamo a separarci malgrado un certo imbarazzo, un po' come succede agli accumulatori seriali (es: il sottoscritto) con i memorabilia delle esercitazioni scolastiche con il DAS o la ceramica nell'ora di applicazioni tecniche.

Lo so, il mio è un giudizio sommario e tranchant che non rende giustizia all'intelligenza e all'impegno disinteressato di molte persone che vivono attivamente il PD nelle sue strutture sul territorio: chiedo venia ma tant'è.

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domenica, dicembre 13, 2020

 

L'eredità di Trump in politica estera



Prima o poi qualcuno scriverà un’articolessa o un saggio tracciando un bilancio ponderato della politica estera statunitense durante la presidenza di Donald J. Trump.

Della gestione della politica estera da parte dell’amministrazione Obama si è scritto che fu disastrosa, incoerente, inefficace e che il Nobel per la Pace fu del tutto immeritato: c’è sicuramente del vero in queste critiche.

Si può, però, dar credito a chi di Trump fa il panegirico descrivendolo come il primo presidente in oltre un secolo a non essere entrato in guerra, il brillante stratega che ha rivitalizzato la politica estera USA con il suo approccio volitivo, decisionista e poco convenzionale, il patriota e faro dell’Occidente che ha restaurato la grandeur a stelle-e-strisce fuori dei confini americani?

Quasi a ridosso dei titoli di coda del suo controverso mandato, Trump ha messo a segno l’ennesimo colpo diplomatico nel filone della cosiddetta “Pace di Abramo” convincendo il Marocco a normalizzare i rapporti diplomatici con Israele in cambio del riconoscimento USA dell’annessione marocchina dell’ex Sahara Spagnolo.

Ed è proprio questa diplomazia mercantilista e del baratto, pilastro della politica estera di Trump insieme alla tattica "del bastone e della carota” nelle trattative commerciali, che dovrebbe essere messa sotto la lente d’ingrandimento e analizzata nei singoli dossier separando le poste in attivo e le perdite.

Dall'Ucraina al Sudan passando per Iraq, Siria, Israele, Yemen, EAU, Arabia Saudita e Somalia, senza dimenticare Afghanistan, Iran, Venezuela, Messico, Russia, Turchia, Libia, le nazioni africane della fascia subsahariana e le relazioni tutt'altro che facili con i partner NATO qual è e quanto potrà risultare ingombrante l'eredità di Donnie?
Si tratta di un lavoro che esula dalle mie scarse competenze e risorse, per cui posso unicamente sperare di poter beneficiare da lettore dell'acume di analisti di spessore.

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mercoledì, gennaio 02, 2019

 

opposizione supposta



Sarebbe facile ribaltare sui giulivi Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista in versione Giacobini Chic in Val di Fassa le invettive accattone e moraliste a base di invidia sociale e qualunquismo con cui la propaganda populista ci ha scartavetrato l'uretra in un recente passato.
Le immagini sorridenti dei due leader M5S sono la rappresentazione riveduta e caricaturale di una certa Sinistra al Caviale e del "partito di lotta e di governo" d'un tempo: l’anti-casta fattasi comodamente Kasta a dispetto delle rassicurazioni di prammatica.

Tuttavia c’è qualcosa che preoccupa quasi più della metamorfosi - ampiamente prevedibile - della nebulosa movimentista pentastellata in un partito fatto e finito, con la sua oligarchia tanto mediocre, velleitaria e autoreferenziale quanto eterodiretta: è la perdurante assenza di una opposizione in grado di entrare in partita.
Il PD, cui spetterebbe l’onere e l’onore di fare da riferimento, resta incisivo quanto un giocatore spedito in tribuna a masticare amaro.
Dove sono le proposte concrete al Paese, le agende politiche chiare e differenzianti dell’area renziana e dei vari candidati alla segreteria PD?
Forse mi sono distratto, ma sembrerebbe che non sia il solo a sentirsi a disagio nel trovare brandelli condivisibili di opposizione solo nel discorso di fine anno del Presidente della Repubblica oppure, occasionalmente, nelle dichiarazioni di rappresentanti del Centro-Destra come Guido Crosetto e Mara Carfagna.

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giovedì, ottobre 04, 2018

 

Politica effimera: copertina e veleni per MEB



Sarà pure un’iniziativa discutibile sul piano dell’opportunità, dei tempi, delle modalità e della scelta della testata, sta di fatto che il lancio del nuovo numero del periodico Maxim con Maria Elena Boschi come cover story ha riportato in superficie la morchia della campagna di carachter assassination di cui l’ex ministro è stata fatta oggetto in quanto donna e donna di potere, simbolo dell’ascesa e della caduta del PD di Matteo Renzi e figlia dell'ex vicepresidente di quel cratere tossico chiamato Banca Etruria.

il bias

La bolla di bias cognitivo che circonda Maria Elena Boschi è palpabile nell’acredine di centinaia di commenti postati su Twitter che hanno rimasticato accuse e invettive memorizzate come mantra.
Nessuna curiosità, neanche un accenno di voglia di verificare se l’avvocatessa di Montevarchi corrisponda effettivamente alla Maria Etruria Boschi bersagliata dagli articoli di alcuni quotidiani e dai meme: figlia di papà algida, arrogante e assetata di potere, vestale del giglio magico, gregaria di bella presenza ma priva di autonomia e di spessore senza il suo anfitrione Renzi.

D’altronde non è che MEB sia apparsa a suo agio quando si è trattato di proporre un’immagine di sé meno inavvicinabile, avviluppata nei rituali e negli intrighi di palazzo, distaccata dalla vita dei comuni mortali.

Nelle interviste rilasciate a tale scopo sembra occhieggiare non solo l'esercizio del diritto di scegliere cosa condividere della propria sfera privata, ma anche una certa artificiosità, quasi ci fosse una riserva di fondo a sottrarre tempo alla politica per piegarsi alle indicazioni dell’ufficio stampa: questione di carattere o di priorità, forse.

Doctor Alessandro & Mr. Meluzzi

Sia come sia, saltando a pie’ pari i commenti alla copertina di Maxim smaccatamente triviali e offensivi, si segnala il “contributo alla discussione” offerto da Alessandro Meluzzi, habitué dei salotti televisivi che elenca nelle proprie referenze le qualifiche di medico psichiatra, psicoterapeuta, criminologo, docente di psichiatria forense e niente meno che Primate Metropolita della Chiesa Ortodossa Italiana.
Da una simile batteria di titoli professionali ci si aspetterebbe opinioni se non illuminanti, almeno originali. Al cospetto di un trend topic più vicino alle rubriche di Dagospia, invece, il buon Meluzzi non ha trovato di meglio che spiattellare un quesito lasco come: “A quando il servizio in Intimo?”

Per carità, la leggerezza di spirito, il guizzo d’ironia e la battuta arguta non destinata alla posterità sono merce corrente e del tutto legittima sui social: guai se fosse il contrario.
Solo che, a ben guardare, quel A quando il servizio in Intimo? ha la stessa eterea leggerezza della Kryptonite.

Sbaglierò, ma ho recepito nelle parole usate da Meluzzi una sgradevole mancanza di rispetto che va oltre il sarcasmo nei confronti di un personaggio pubblico di cui non si condividono le scelte e la collocazione politica.
A dirla tutta mi è parsa un’imbeccata perfida ai propri follower, una calcolata istigazione a sfogare su Maria Elena Boschi il sessismo pecoreccio dell'italiano medio e la malevolenza che le donne sanno distillare nei confronti di altre donne.

Il servizio fotografico per un periodico patinato non è certo una questione di stato, ma le parole sono importanti anche laddove hanno un ciclo di vita effimero come Twitter.

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domenica, febbraio 25, 2018

 

Spezzeremo lo smalto delle unghie alla Libia



Se non avessi visto e ascoltato lo spezzone video non ci crederei: Simone Di Stefano leader di CasaPound Italia espone durante un talk show la soluzione definitiva al problema dell'immigrazione, così semplice da far sembrare arzigogolato l'Uovo di Colombo.

La ricetta è di una linearità sconcertante, quasi imbarazzante: ci si accorda con alcune fazioni libiche e si manda l'esercito italiano a ripulire da banditi e trafficanti un pezzo di Libia, creando di fatto un nuovo stato.
In questa fetta di Libia "liberata" si inizieranno a costruire case, strade, ponti e acquedotti, in modo che vi si possano trasferire, a mezzo di un grande ponte aereo e navale, gli immigrati allettati da una reale opportunità di lavoro e di costruirsi un futuro.

Inutile dire che per l'alto esponente di CasaPound il realismo è un optional e concetti come diritto internazionale, sovranità, post/neo-colonialismo e deportazione sono quisquilie, fumisterie, cavilli di chi preferisce che la Libia rimanga nell'anarchia e alla mercé del racket degli scafisti.

Solo personaggi della levatura di Di Stefano possono immaginare che un'avventura militare in Libia possa essere una sorta di tranquilla scampagnata o un'operazione chirurgica rapida e indolore e che i libici accetteranno di buon grado la creazione di una nuova colonia italiana sul loro territorio.
Solo dei laureati in economia del quartierino possono pensare che un piano colossale di lavori pubblici sia finanziabile con i soldi del Monopoly.
Solo dei fini umoristi come i casapoundiani possono restare seri mentre confermano ciò che sosteneva Ennio Flaiano, e cioè che nel nostro paese la linea più breve tra due punti è l'arabesco, ma tant'è: questo è ciò che passa il convento dell'estrema destra italiana.

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domenica, febbraio 04, 2018

 

Stampede


Si dirà che lo sparatore di Macerata è uno “fuori bolla”, come il cinquantottenne cosentino che avrebbe realizzato il fotomontaggio con Laura Boldrini decapitata o chi ha rappresentato Silvio Berlusconi incellofanato in una vaschetta di polistirolo con la scritta “trito bovino scelto”, con la sola, “trascurabile” differenza del passaggio dal delirio virtuale alla pratica criminale.

L’impressione, sconsolante, è quella di vivere dentro un esperimento sociale in stadio avanzato, con l’opinione pubblica nazionale riportata allo stato di mandria che reagisce sbandando disordinatamente ai segnali ansiogeni lanciati da una classe politica mai così scadente e in caduta libera di credibilità, nella quale alcuni demiurghi di mezza tacca hanno pensato bene di specializzarsi nel cinico, irresponsabile ma sinora redditizio marketing dell’allarme sociale.

Ammesso e non concesso che esista, quest’esperimento sociale sembra avere un orizzonte scontato: portare un popolo spremuto, smarrito e isterico a imboccare quella che sarà additata come l’unica via d’uscita e a considerare accettabile qualsiasi pedaggio.
Non sarebbe la prima volta che una scalata al potere usa una simile strategia: cambiano i mezzi a disposizione e le marionette in scena, non sempre cambiano i burattinai.

In ogni caso la domanda che conta oggi è se il processo di deterioramento in corso sia reversibile.
Mi auguro di sì, benché le premesse non siano delle migliori. Realismo, senso della misura e della responsabilità, fermezza nel riaffermare il bene comune al di sopra delle tattiche e delle fazioni non sono merce considerata spendibile in una campagna elettorale tra le più sciatte e inconcludenti della storia repubblicana.
Vorrei, però, ricordare agli aspiranti stregoni e ai fantocci travestiti da leader che cavalcare la tigre della paura e dell’intolleranza è uno sport pericoloso: alla lunga si rischia di ruzzolare e di essere fatti a fettine da un branco di gatti resi pazzi dal terrore.

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venerdì, settembre 15, 2017

 

NOLI (me tangere)



Un’iniziativa locale spacciata per pacificatrice, ma che di pacifico o di riparatorio ha pressoché nulla sta diventando un rumoroso caso nazionale. Il casus belli è costituito dalla decisione della giunta comunale di Noli (Savona) di erigere una targa in memoria di Giuseppina Ghersi, un’adolescente che nel 1945, a ostilità appena cessate, fu sequestrata, seviziata e infine liquidata con un colpo alla nuca da tre membri della cosiddetta polizia partigiana comunista.

Il contesto non è un dettaglio

All’alba della Liberazione, la stagione delle esecuzioni sommarie di repubblichini e presunti collaboratori dei nazifascisti si abbatté come una piaga supplementare su un Paese uscito a pezzi dalla guerra.

Nel caos e nel vuoto di potere lasciato dal conflitto alcune squadre partigiane si sentirono autorizzate a sostituirsi allo Stato e a “regolare i conti” senza andare per il sottile. Nell’opacità del momento non mancarono localmente le vendette personali, gli abusi e gli atti di criminalità comune fatti passare per giustizia sommaria.

Un appunto del 4 novembre 1946 inviato dai vertici della Polizia ad Alcide De Gasperi documenta le segnalazioni pervenute dalle questure di tutta Italia, fissando in 8.197 il numero delle persone uccise perché “politicamente compromesse” e in 1.167 i casi di persone prelevate e presumibilmente soppresse.
L’asettica, burocratica contabilità dei morti è impressionante. Ai casi sporadici a Matera, Terni, Napoli e Roma si contrappongono le cifre delle province del centro-nord che erano state sotto il controllo della Repubblica Sociale Italiana:

I giorni dell’ira

La giovanissima Giuseppina Ghersi fu una delle vittime della spirale d’odio che avvolse il savonese subito dopo la Liberazione. A distanza di oltre 70 anni la ricostruzione dei fatti non è del tutto limpida, essendo affidata unicamente all’esposto presentato anni dopo dal padre della vittima per chiedere l’apertura di indagini.

Sembrerebbe che i partigiani del savonese vollero vendicarsi dei Ghersi, su cui pendeva il sospetto di aver contribuito con le loro delazioni alla cattura e alla fucilazione di alcuni combattenti. Penetrati nell’abitazione dei Ghersi, tre membri della polizia partigiana avrebbero prelevato Giuseppina, su cui poi avrebbero infierito per ore.

Senza entrare in dettagli, sembra che prima di essere uccisa l’adolescente abbia subito il trattamento umiliante riservato alle donne accusate di aver intrattenuto relazioni con i militi repubblichini. Questo particolare potrebbe non significare nulla ed essere solo il riflesso di una sadica bestialità oppure, all’opposto, indicare che gli aggressori consideravano Giuseppina direttamente coinvolta nelle spiate dei genitori.

Quando i morti sono agitati come clave

Letto con gli occhi di oggi quanto accadde a Giuseppina Ghersi suscita sdegno e orrore senza se e senza ma. Opporsi alla volontà della giunta di Noli, perciò, è un po’ come cercare di difendere l’indifendibile - il pestaggio, la violenza carnale, l’assassinio - solo perché gli autori del crimine militavano nelle file partigiane. Ne sa qualcosa l’ANPI di Savona, che ha provato a protestare e ha incassato fulmini a destra e sinistra.

Il guaio è che in questo come in altri casi si usano i morti come una clava decontestualizzando, omettendo, annullando la differenza di valori in campo e distorcendo la memoria storica sino a costruire la narrazione più funzionale agli interessi di bottega. È stato così nell’immediato dopoguerra, quando si preferì il silenzio omertoso sugli eccessi e le vendette "per non turbare gli animi" e non disturbare quella mitopoiesi che ha imbalsamato e sistemato in una teca museale la Resistenza. Oggi nell'ostensione di una povera vittima trasformata in icona c'inzuppano il pane la feccia dell'estrema destra e i gazzettieri della solita destra cinica e sguaiata.

Nel polverone, una parola di saggezza è arrivata dal primo cittadino di Savona, Ilaria Caprioglio, cui sento di potermi associare.

“Non si deve rischiare di strumentalizzare un fatto accaduto settant’anni fa e dai contorni ancora oscuri. Quello che sappiamo è che si è trattato di una violenza terribile e di un abuso nei confronti di una bambina. Al netto dell’era fascista e di quello che significò allora, c’è stata una vita innocente spezzata, davanti alla quale credo si debba provare rispetto e silenzio. Basta urlarsi addosso l’uno con l’altro e giocare a chi si infanga di più. Non voglio parlare né di destra né di sinistra, invito a guardare alle nostre coscienze.”

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martedì, agosto 01, 2017

 

La continuità dell’inadeguatezza



A un anno e passa dell’insediamento trionfale al Campidoglio, novella Bastiglia espugnata, c’è poco gusto a infierire sulla giunta pentastellata di Roma guidata (?) dal sindaco Virginia Raggi come ha fatto, buon ultimo, il quotidiano francese Le Figaro.

Le macerie e le voragini ereditate dalle passate giunte hanno steso per mesi una comoda ombra protettiva sugli impacci, i ripensamenti e le faide interne che hanno reso un ginepraio il completamento della giunta.
La discontinuità con il malaffare sbandierata come un mantra dai Cinquestelle è stata, a sua volta, un comodo parafulmine per deviare gli strali sulla ritrosia ai limiti dell’immobilismo con cui la giunta Raggi ha approcciato gli enormi, endemici problemi della capitale.

Tuttavia la stagione di grazia non può durare in eterno. Il suo predecessore, il “marziano” Ignazio Marino, al giro di boa dell’anno già friggeva a fuoco lento con l’accusa di aver sprecato tempo in interminabili riunioni producendo scarsi risultati concreti.

Nessuno ha la bacchetta magica per trasformare una metropoli complicata, disfunzionale, anarchica e da troppo tempo abbandonata a se stessa in una città modello. L’impressione dominante, però, è che la truppa pentastellata galleggi sul pantano dell’Urbe indecisa a tutto. Sembrano evidenti le resistenze, le giravolte e le afonie di un movimento che a livello locale (e non solo) ha paura di steccare, ma soprattutto non vuole o non sa trasformarsi da opposizione in realtà che si sporca le mani muovendo le leve del governo della città, che ha una visione chiara, prospettica, realistica di programma.

Il basso profilo, il silenzio e la circospezione con cui sta lavorando la giunta capitolina è difficile da distinguere dal tirare a campare e dallo schivare le rogne in attesa di istruzioni dai sacri vertici nazionali o della botta di culo che provvidenzialmente tolga le castagne dal fuoco e spiani la strada.

Resta inevasa una domanda: può la "diversità etica" dei Cinquestelle - genuina o di facciata che sia - compensare la disarmante continuità dell’inadeguatezza?

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mercoledì, gennaio 11, 2017

 

Il passo falso del grillo



Mi sono posto una domanda oziosa: come dare una parvenza di senso alla scombinata liaison dangereuse tra il ruspante ed euroscettico MoVimento Cinque Stelle e i vertici del gruppo Liberal-democratico al Parlamento Europeo?

I protagonisti

Beppe GrilloGuy Verhofstadt - ex premier del Belgio, interessato ad aprire le porte dell’ALDE al M5S allo scopo di puntellare la posizione dei Liberal-Democratici come terzo gruppo dell’Europarlamento, ma soprattutto per prenotare per sé la prossima poltrona di prestigio lasciata vacante a Strasburgo o Bruxelles.

I vertici M5S - per cui concludere la trattativa con Verhofstadt e l'ALDE era un’occasione da cogliere perché:
• avrebbero svincolato gli euro-pentastellati dall’alleanza sempre più limitante e improduttiva con l’UKIP di Nigel Farage, poco coinvolto nei lavori dell’Europarlamento da quando ha fatto bingo con la Brexit;
• operando all’interno dell’ALDE, la pattuglia del M5S avrebbe potuto esercitare un’influenza maggiore sulle decisioni dell’Europarlamento;
• ultimo ma non ultimo, c’era una discreta possibilità di ritagliarsi la stessa autonomia decisionale goduta all’interno del gruppo parlamentare EFDD.


Gli ignari

Quasi tutti gli europarlamentari dei due gruppi più la base elettorale del M5S in Italia.


Il feuilleton

L’accordo, strombazzato in Italia come già concluso e solo da ratificare, è saltato miseramente.
Le resistenze, le proteste e le spaccature all’interno dell’ALDE che Verhofstadt aveva sottostimato si sono trasformate in una porta sbattuta in faccia ai Cinque Stelle.
Questi ultimi, non potendo fare altrimenti, hanno inscenato la manfrina del “non ci meritano”, “questa volta abbiamo fatto tremare i poteri forti e loro hanno reagito” ecc. ecc. La verità è che ora pagheranno pegno a Nigel Farage per rientrare nell’EFDD.


Il taxi

yellow cabTutto questo mediocre canovaccio mi ha ricordato una frase di Enrico Mattei: “Uso i partiti allo stesso modo in cui uso i taxi: salgo, pago la corsa e scendo.”
La trattativa è stata il taxi su cui sono saliti due estranei che intendevano raggiungere i rispettivi obiettivi.
Accordarsi era esclusivamente una questione di convenienza: ci sarebbe stato tempo e modo, in seguito, per appianare le siderali divergenze di vedute, per far digerire ai rispettivi parchi buoi l’idea che il rospo da baciare era un bellissimo principe sotto maleficio e, al momento opportuno, separarsi salvando la reputazione.

Sul più bello, però, il taxi ha forato: nemici come prima.

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sabato, gennaio 07, 2017

 

Le divisioni di Saviano



Gomorra book by Roberto Saviano

«Il Papa? Quante divisioni ha il Papa?», avrebbe chiesto Stalin a Yalta a quanti gli facevano presente le esigenze di Pio XII sull'assetto europeo. La stessa domanda risuona oggi a proposito di Roberto Saviano da Napoli, scrittore e saggista, almeno alla luce delle reazioni tranchant nei toni e miserrime nei contenuti di alcuni noti esponenti della politica nostrana alla sua uscita sogno sindaci africani estrapolata da un’intervista curata da Gianni Riotta per la RAI.

Già, di quante divisioni dispone Roberto Saviano? È un pericoloso arruffapopoli? È il leader in pectore di un movimento politico di massa? Si candida a sindaco di qualche grande città? Ha in tasca la potenza deflagrante della verità assoluta o la soluzione definitiva per sanare l’Italia meridionale dai suoi mali endemici?

Direi niente di tutto questo. Saviano di per se non è un oracolo, un santone o un eroe senza macchia da sollevare su laici altari.
Di mestiere fa lo scrittore, ovverosia campa sul successo di ciò che scrive. E siccome scrive e parla di malavita organizzata e di altri problemi di stringente attualità si documenta, studia, riflette ed esprime opinioni talvolta discutibili ma non del tutto infondate: è così che si è costruito una sua autorevolezza.

Dice anche stronzate, Saviano, che sembra avere un altissimo concetto di se a fronte di una simpatia e di un calore umano tutt’altro che irresistibili e si presta al rituale delle “ospitate” sui media per promuovere le sue opere in uscita. Dov’è lo scandalo?
Dà fastidio, ah come dà fastidio in questo Paese il Roberto Saviano ghibellin fuggiasco con robusto conto in banca; quanto urta l’intellettuale finto-asceta che si permette di levare il dito accusatore senza sporcarsi le mani, il pennivendolo che lucra vendendo la carogna di un’Italia parallela, cinica, molle, malavitosa e decadente.

Ma esiste quest’Italia marcia alle radici o è solo il parto della fantasia di un furbone, di un lavativo che ha trovato il modo di vivere in agiatezza senza faticare?
Forse è proprio qui il punto. Non è in discussione l’esistenza di camorra, sacra corona unita, ndrangheta e mafia, dei racket, della corruzione, del caporalato, delle guerre per il controllo del territorio, ma che sia Saviano a spremere questi bubboni per vendere - bene - i suoi libri: altrove chiamerebbero questo atteggiamento invidia sociale o rancore iconoclasta.

Quanto poi al “sogno un sindaco africano” non significa niente se non si colloca quest'affermazione nel contesto dell’asfissia culturale, politica e amministrativa del Centro-Sud, dove i semi del riscatto e della speranza sembrano puntualmente seccare in una terra diventata sterile.
Prendersela con Saviano perché “fa male all’immagine di Napoli” o perché invade indebitamente il campo della politica è un po’ come avere un orgasmo fissando il dito che indica la luna.

Inciso finale: a scanso di equivoci, mai stato fan di Roberto Saviano.

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domenica, ottobre 16, 2016

 

Spezzeremo le reni alla Russia?



king Leonidas - from

Mi domando in cosa fossero occupati i politici nostrani nel luglio scorso, quando al vertice NATO di Varsavia venne deciso il dispiegamento, dal 2017, di un battaglione interforze di 4.000 uomini ai confini tra Polonia, Lituania, Estonia e Lettonia e la Federazione Russa.
Nessuno - a Destra come a Sinistra - battè ciglio o alzò la voce allorché i ministri Gentiloni e Pinotti ne diedero informazione durante un'audizione in Parlamento, chiarendo che l'Italia aveva accettato di contribuire, a rotazione, con una compagnia di 140 soldati, salvo stracciarsi le vesti e dare fiato alle trombe ora.

La risposta forse, sta nell'inveterato provincialismo straccione della politica italiana, incapace di articolare un pensiero coerente che vada oltre i confini e le beghe di casa nostra, ferocemente attaccato al motto "A 'nu palmo d'o culo mio fa' chello ca vuo'".
Solo così si spiega come la politica italiana si sia svegliata scoprendo improvvisamente che il confronto tra NATO e Federazione Russa è precipitato a livelli da guerra fredda, con un'escalation di accuse reciproche e un mostrare i muscoli che non lasciano presagire niente di buono, ignara che la decisione presa a Varsavia ne è parte integrante come risposta agli incidenti di confine in Lettonia, dove tra la tarda primavera e l'inizio dell'estate scorsa le forze russe hanno ripetutamente sconfinato nel corso di esercitazioni militari.
Errori veniali, si dirà, ma dopo quanto successo in Crimea le Repubbliche Baltiche temono - non senza qualche fondamento - di essere le prossime pedine a essere sacrificate in una partita per la supremazia geopolitica più grande di loro.

Lo schieramento di un contingente NATO non è una buona notizia e sicuramente non aiuta la distensione, benché sia di dimensioni pressoché simboliche data la vastità dei confini interessati.
Sinceramente dubito che i 140 militari italiani partiranno per "spezzare le reni alla Russia" o per emulare le gesta degli spartani alle Termopili: sarebbe già qualcosa se la loro missione fosse utile non tanto a "salvare la faccia" alla NATO, cui le repubbliche baltiche e la Polonia sono associate, quanto come deterrente a ulteriori prove di forza.
Per quanto si possa pensare tutto il peggio possibile dell'espansione a est della NATO e degli interessi di cui è longa manus, è proprio il divampare di un'ulteriore guerra lampo lo scenario che va evitato a ogni costo.
Servirebbe più di qualsiasi altra cosa un'azione diplomatica efficace, quella che sinora né l'Italia, né il tandem Germania-Francia né l'Unione Europea si sono dimostrate in grado di allestire, lasciando così il gioco - e il fiammifero acceso - nelle mani poco delicate e affidabili delle stellette NATO.
Non mi reputo un guerrafondaio: solo ritengo che il tardivo belato bipartisan dei politici di casa nostra non sia una risposta e non contenga alcuna proposta utile.

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mercoledì, marzo 23, 2016

 

il carnaio



Storm in Belgium

Il giorno più lungo di Bruxelles è stato un festino memorabile per gli avvoltoi, gli sciacalli e il bestiario dei leoni da salotto, accorsi a banchettare sul senso di vulnerabilità, lo smarrimento e il timore del "diverso" che inevitabilmente s'insinuano dopo un attacco terroristico.

Inutile far nomi o citare esempi: perché sporcare questa pagina con i deliri altrui quando bastano i miei?

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venerdì, dicembre 25, 2015

 

Gasparri dixit



"Ah, se lo dice Maurizio Gasparri... figuriamoci!"

Maurizio GasparriMaurizio Gasparri è un agente provocatore nato, un vero talento naturale nello scatenare la bagarre con un calibrato mix abrasivo di aggressività, arroganza e senso del ritmo, doviziosamente condito con battute grevi e strafottenti.
Su questa dote e su una fedeltà adamantina Gasparri ha costruito una carriera politica estremamente longeva e di successo, con tanti saluti al fegato di quanti da sempre lo accreditano di una modesta intelligenza.

In realtà Maurizio Gasparri ha fiuto per l'uso tattico della comunicazione.
Dopo Matteo Salvini, è il politico di lungo corso che mostra maggior attitudine nel catalizzare le polemiche sui social network (twitter in particolare) con interventi irruenti, capziosi, fuori luogo nei tempi e nel linguaggio.

Gasparri, tuttavia, è carente nell'uso strategico della comunicazione.
Dare pubblicamente dell'idiota al cantautore Biagio Antonacci per essersi espresso in TV a favore dell'adozione da parte di coppie omosessuali e coinvolgere il direttore di RAI1 con un minaccioso "ne parleremo in commissione vigilanza" - peraltro senza neanche aver visto la trasmissione - non sono solo errori di registro o esibizioni muscolari squalificanti.
Ciò che Maurizio Gasparri punta a capitalizzare in termini di pubblicità riflessa, infatti, tende a disperdersi nel discredito per una polemica tirata per i capelli e, nel lungo periodo, rischia di togliergli ogni residua credibilità.

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martedì, giugno 30, 2015

 

Cosa resterà del cantiere Europa?



Greek cul de sac

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martedì, aprile 28, 2015

 

Muscolar Matt



soft dictatorship
Un tempo non lontanissimo bastava la fronda solo annunciata di un Fioroni (Giuseppe, ex ministro della Pubblica Istruzione), il corrugarsi delle fronti nel manipolo dei teodem o il pollice verso dei leader sindacali perché il PD sussultasse e deviasse, con una sgraziata giravolta, dalle sue già abbondantemente diluite proposte di riforma.
Con Matteo Renzi al timone come segretario del PD e Presidente del Consiglio la situazione si è capovolta, ma non è detto che la svolta sia un bene per la tenuta della democrazia in questo Paese.

In realtà il decisionismo brusco e muscolare di Renzi, le continue prove di forza, la tattica di porre ogni confronto politico non sul merito ma sul piano del “o tutto o niente” e di mettere la minoranza interna al partito con le spalle al muro sta premiando il ragazzo di Firenze più per demeriti altrui, e nello specifico la fragilità, l’incoerenza e l’inconsistenza, tanto progettuale quanto comunicativa, dei competitor, che per meriti propri o per la bontà - tutta da dimostrare - delle proposte dell'attuale governo.

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lunedì, marzo 23, 2015

 

Pisapia non è figlio di Maria



Cindacoh

Per il sentire della SINISTRA eternamente mugugnona, il mandato di Giuliano Pisapia è stato non abbastanza di sinistra.
Sindaco troppo debole, conciliante e ostaggio del PD nelle politiche per la casa, il disagio sociale, i giovani, la scuola, i diritti individuali, la cultura, la mobilità sostenibile, l’EXPO.

Per il sentire della DESTRA eternamente livorosa, il mandato di Giuliano Pisapia è stato disastroso.
Sindaco fumoso, demagogico, nemico giurato della libera impresa, esoso tassatore, succube dei sindacati, fiancheggiatore di ROM, immigrati, centri sociali e associazioni LGBT, inetto sul fronte della sicurezza, del traffico e del commercio.

Tirando le somme, per sperare di accontentare gli incontentabili Giuliano Pisapia avrebbe dovuto essere un mix tra Mandrake, Boris Johnson e Che Guevara, oppure all'inverso un cocktail tra Michael Bloomberg, Rudy Giuliani e Gianluca Bonanno.

È stato “solamente” Giuliano Pisapia, e forse - pur con tutti i limiti - non è stato poi così male come Primo Cittadino di Milano.

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mercoledì, marzo 04, 2015

 

Novità in libreria




manuale di politica

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martedì, maggio 06, 2014

 

Elezioni Europee: un lieto fine da scrivere


Calendar May 25 T

La chiamata alle urne è di quelle che, almeno in teoria, non dovrebbero lasciare spazio all’indifferenza: domenica 25 maggio in tutta Europa si deciderà la composizione del prossimo Parlamento Europeo nella versione con poteri ampliati e rafforzati definita dal Trattato di Lisbona.

Europa? Quale Europa?

È vero, l’Europarlamento dalle nostre parti è un’entità pressoché sconosciuta e remota; una sorta di convitato di pietra che non gode di una reputazione particolarmente positiva.
Invettive come “turisti della democrazia”, argomenti di discussione lunari divenuti paradigmatici come la leggendaria curvatura dei cetrioli, dossier avvelenati su assenteismi e rimborsi viaggio gonfiati degli europarlamentari nonché il risentimento latente verso la moneta unica hanno lasciato il segno. D’altra parte, l’impegno dei singoli parlamentari europei italiani è una coperta troppo corta sul discredito gettato dal vizietto dei partiti di casa nostra di disporre dei seggi europei come buen retiro o come parcheggio dorato per politici deragliati in attesa di ricollocazione in patria.

Personalmente, poi, provo un notevole risentimento nel vedere ancora una volta 1,6 milioni di cittadini europei - nello specifico i miei conterranei - condannati ad avere, nella migliore delle ipotesi, un solo rappresentante in Europa: molto meno di quanto viene garantito a Irlandesi, Lussemburghesi, Maltesi e persino ai Belgi di lingua Tedesca.
Mi piacerebbe poter addossare la colpa di questa frustrazione ormai storica all'euroburocrazia matrigna, ma so perfettamente che il mantenimento dell’infelice e impari Circoscrizione Isole con la ben più popolosa e politicamente influente Sicilia è stato deciso a tavolino da emerite [CENSURA] che siedono a Roma.

A ogni buon conto, chiunque pensasse di disertare la cabina elettorale per disaffezione, euroscetticismo o semplice menefreghismo farebbe bene a ragionare sul fatto che - piaccia o non piaccia - dalla maggioranza che si formerà al Parlamento Europeo dopo il voto del 25 maggio dipenderanno in larga misura le politiche, le regole e gli stanziamenti europei dei prossimi cinque anni in materie estremamente concrete come economia, finanza, commercio, lavoro, pari opportunità, comunicazioni, ambiente, sicurezza alimentare ed energia, tanto per citare alcuni fronti caldi.
A urne chiuse e a giochi fatti, invocare il “not in my name” conterà come il classico 2 di spade quando briscola è bastoni.

Non dire gatto...

Resta aperto, in ogni caso, un problema di fondo in termini di comunicazione: a meno di 20 giorni dall’appuntamento elettorale si può ancora fare qualcosa per ridurre la distanza che separa Bruxelles e Strasburgo dagli elettori italiani, specialmente quelli della fascia anagrafica più esposta all'astensionismo (18-25 anni)?
Purtroppo - o per fortuna - la comunicazione istituzionale del Parlamento Europeo non gode degli stessi ampi margini di discrezionalità e libertà espressiva delle singole liste in campagna elettorale.
Non potendo sfoderare per ironia o per frustrazione machiavellici bikini sui social network, l’ultima arma in ordine di tempo prodotta dalla campagna “ACT, REACT, IMPACT” del Parlamento Europeo è la creatività di un breve cartoon veicolato sul sito #storychangers.eu



Da oggi fino al 9 maggio il finale del frontale tra il gatto e il ragazzo disegnato come il ritratto del perfetto bimbominkia, disinteressato a tutto tranne che al rutto libero e allo skateboard, resterà aperto e, di conseguenza, la storia della disaffezione giovanile verso il voto europeo potrà essere riscritta, quanto meno a livello di video.

I suggerimenti su cosa succederà all’essere senziente (il gatto) dopo l’accidentale scambio di fluidi con la bestia inanimata (il ragazzo, of course) potranno essere postati - in Inglese - direttamente in un box del sito #storychangers.eu con il limite massimo dei 140 caratteri: 5 artisti si incaricheranno di trasformare gli script postati in possibili lieti fine in senso civico ed europeista.

Sarà possibile anche votare per le proposte di finale preferite, comprese quelle già tradotte in videoanimazioni: la versione definitiva di #storychangers, infatti, sarà determinata da una classifica tra le idee più votate.

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domenica, dicembre 01, 2013

 

Avanzi di stagione



La decadenza

Nei giorni scorsi, l'epilogo della procedura di decadenza da senatore della Repubblica nei confronti di Silvio Berlusconi ha fatto parlare alcuni di ritorno del Paese alla normalità. Pur avendo sempre visto il Cavaliere di Arcore come il fumo negli occhi e considerando più che corretta l'applicazione della Legge Severino, non mi sento di sposare interpretazioni tanto ottimistiche.

Immaginate il raccontino che segue, volutamente fuori dal tempo, recitato sul palcoscenico da un attore nei panni di un personaggio popolaresco.

mask of Tecoppa
Conoscevo una donna - gran bella donna anche se non più nel fiore degli anni - che da un giorno all’altro smise di uscire di casa se non per fare la spesa, di fretta, alla bottega più vicina.
Sapete, la poverina si vergognava assai perché aveva un problema: sulla natica destra le era spuntato un gran bubbone che le doleva giorno e notte, impedendole di star seduta, di dormire e rendendole penose persino le funzioni corporali.

Il bubbone diventava più grosso di giorno in giorno, insensibile alle pomate e alle medicazioni che la poverina provava ad applicare. Una volta tentò pure d’inciderlo per farlo sgonfiare, ma appena lo toccò con la punta dell’ago il dolore fu tale da farla stramazzare a terra priva di sensi.

Allora lei cercò di scendere a patti, ma il bubbone - che era d’indole maligna e provava gusto a comandare - prima pretese che la natica non fosse mai più toccata né lavata, poi che la donna restasse stesa sul letto a pancia in giù con le natiche scoperte affinché lui potesse sbrigare certi suoi affari con comodo e alla luce del giorno. Ogni nuova richiesta che le giungeva attraverso certe venuzze del sedere era giustificata ricordandole, a mo' di avvertimento, che dal benessere del bubbone dipendeva quello di lei.
Il maledetto aveva pure figliato una corona fitta di pustole che, rese spavalde dalla vicinanza e dal potere di cotanto padre, davano il tormento all’infelice quando il loro signore riposava o si sollazzava nel pus.

Passarono così vent’anni, finché un giorno la poveretta incespicò tornando dalla bottega e si ruppe malamente una gamba. Il dottore che la visitò venne a sapere della triste storia e, da uomo pratico e di scienza, non ebbe esitazioni: fatta addormentare la donna con l’etere, nettò la natica dalle croste e dallo sporco, disinfettò per bene e con il bisturi asportò la zona infetta, scavando finché la carne viva non apparve totalmente sana.

Trascorsero i lunghi giorni della convalescenza e quando lei fu nuovamente in grado di camminare, poté fare i suoi bisogni senza fastidi, come tutti i cristiani di questo mondo. Passando davanti allo specchio, finalmente sorrise soddisfatta e felice. Era la prima volta che le capitava di sorridere da quando era iniziato il suo tormento. Fu allora che con sgomento si accorse che i denti, trascurati a causa del bubbone, erano diventati guasti e tremolanti.

La morale della storia, amici miei, è che questa è la vera decadenza: una nazione che si è piegata all’immoralità fatta sistema non se ne libera facilmente e a poco prezzo.
Vecchi amici che tornano

Circa 2 settimana fa, proprio nel bel mezzo di un picco di lavoro, la batteria e il caricabatteria del mio Macbook hanno dato forfait. Speravo di tirare avanti almeno fino all’arrivo della tredicesima per acquistare i pezzi di ricambio: è andata diversamente.
Dato che l’IT aziendale aveva libero solo uno sfiatato notebook con Win XP reduce da troppi passaggi di mano, ho rimesso definitivamente in pista l’iMac usato a casa fino al 2009, con 14 anni di servizio sul gobbo ma ancora in ordine di battaglia.

Site Studio MacCome prevedevo, riacclimatarsi ai ritmi compassati e ai limiti del vecchietto è stato un trauma.

Poco male per i video su Youtube in modalità “fermo-immagine” perché si sopravvive anche senza. I problemi più seccanti sono altrove. Ancora oggi finisco invischiato nella melassa (termine di mio conio) perché dimentico che tenere aperte in contemporanea 3 o 4 applicazioni manda in apnea la RAM, che chiama in suo soccorso il disco rigido.
Per non parlare di quando mi tocca aprire il pachidermico OpenOffice 3, che è di una lentezza esasperante sull’iMac, per “passare in lavanderia” i testi prodotti con le vecchie versioni di TextEdit, Mariner Write o Bean. Questi ultimi sarebbero perfetti, leggeri e scattanti come sono, non fosse per un difetto congenito di cui non riesco a venire a capo: quando passo i file ai colleghi, MS Word attiva automaticamente il dizionario INGLESE per il controllo ortografico, il ché vuol dire che sui loro schermi il 90% del testo appare segnato come errato o non riconosciuto.

Pian piano, però, sto riappropriandomi di abitudini dimenticate e richiamo dal passato vecchi compagni di strada. Gli ultimi arrivi in ordine di tempo sono Cog, uno smilzo lettore mp3 che fa le veci del massiccio iTunes, e Site Studio, che nella mia lontana stagione di web-designer amatoriale e creatore di contenuti mi ha dato più di una mano d’aiuto.
Ho messo in funzione la mia piccola macchina del tempo e, finché l’iMac regge, è un passatempo divertente tra un lavoro e l’altro.

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domenica, ottobre 13, 2013

 

Feticisti della Carta


Constitution in bed

Sono 70 anni che ti irridiamo, trascuriamo, tradiamo pubblicamente, maltrattiamo e stupriamo in ogni modo possibile e immaginabile.
E tu sempre lì, con i tuoi principi inattuati e inattuabili, muffosi e incartapecoriti; tu e quel tuo seguito di ammiratori devoti, pusillanimi e retrogradi, che vorrebbero che non cambiassi neanche di una virgola, figuriamoci!

È colpa tua se le cose tra noi non funzionano, se le riforme non riformano, le leggi non si applicano, le ingiustizie allignano, le imprese muoiono e l’economia ristagna.

Sai che c’è? Ci hai stancato
Sei vecchia e troppo poco flessibile. Sei un’insopportabile fica di legno!! Ecco, finalmente l'abbiamo detto.
Ti piaccia o no, è tempo che ti sottoponga a un bell'intervento di chirurgia plastica, perché per te un semplice lifting non è sufficiente, e sopratutto a una lobotomia come si deve.
Abbiamo già preso accordi con 40 amici degli amici che faranno questi lavoretti con la massima discrezione, vedrai.

Tornerai come nuova, anzi migliorata, e tutto sarà come prima. Torneremo a trascurarti, tradirti, torturarti e stuprarti perché, in fondo, ti vogliamo bene.

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