venerdì, settembre 15, 2017

 

NOLI (me tangere)



Un’iniziativa locale spacciata per pacificatrice, ma che di pacifico o di riparatorio ha pressoché nulla sta diventando un rumoroso caso nazionale. Il casus belli è costituito dalla decisione della giunta comunale di Noli (Savona) di erigere una targa in memoria di Giuseppina Ghersi, un’adolescente che nel 1945, a ostilità appena cessate, fu sequestrata, seviziata e infine liquidata con un colpo alla nuca da tre membri della cosiddetta polizia partigiana comunista.

Il contesto non è un dettaglio

All’alba della Liberazione, la stagione delle esecuzioni sommarie di repubblichini e presunti collaboratori dei nazifascisti si abbatté come una piaga supplementare su un Paese uscito a pezzi dalla guerra.

Nel caos e nel vuoto di potere lasciato dal conflitto alcune squadre partigiane si sentirono autorizzate a sostituirsi allo Stato e a “regolare i conti” senza andare per il sottile. Nell’opacità del momento non mancarono localmente le vendette personali, gli abusi e gli atti di criminalità comune fatti passare per giustizia sommaria.

Un appunto del 4 novembre 1946 inviato dai vertici della Polizia ad Alcide De Gasperi documenta le segnalazioni pervenute dalle questure di tutta Italia, fissando in 8.197 il numero delle persone uccise perché “politicamente compromesse” e in 1.167 i casi di persone prelevate e presumibilmente soppresse.
L’asettica, burocratica contabilità dei morti è impressionante. Ai casi sporadici a Matera, Terni, Napoli e Roma si contrappongono le cifre delle province del centro-nord che erano state sotto il controllo della Repubblica Sociale Italiana:

I giorni dell’ira

La giovanissima Giuseppina Ghersi fu una delle vittime della spirale d’odio che avvolse il savonese subito dopo la Liberazione. A distanza di oltre 70 anni la ricostruzione dei fatti non è del tutto limpida, essendo affidata unicamente all’esposto presentato anni dopo dal padre della vittima per chiedere l’apertura di indagini.

Sembrerebbe che i partigiani del savonese vollero vendicarsi dei Ghersi, su cui pendeva il sospetto di aver contribuito con le loro delazioni alla cattura e alla fucilazione di alcuni combattenti. Penetrati nell’abitazione dei Ghersi, tre membri della polizia partigiana avrebbero prelevato Giuseppina, su cui poi avrebbero infierito per ore.

Senza entrare in dettagli, sembra che prima di essere uccisa l’adolescente abbia subito il trattamento umiliante riservato alle donne accusate di aver intrattenuto relazioni con i militi repubblichini. Questo particolare potrebbe non significare nulla ed essere solo il riflesso di una sadica bestialità oppure, all’opposto, indicare che gli aggressori consideravano Giuseppina direttamente coinvolta nelle spiate dei genitori.

Quando i morti sono agitati come clave

Letto con gli occhi di oggi quanto accadde a Giuseppina Ghersi suscita sdegno e orrore senza se e senza ma. Opporsi alla volontà della giunta di Noli, perciò, è un po’ come cercare di difendere l’indifendibile - il pestaggio, la violenza carnale, l’assassinio - solo perché gli autori del crimine militavano nelle file partigiane. Ne sa qualcosa l’ANPI di Savona, che ha provato a protestare e ha incassato fulmini a destra e sinistra.

Il guaio è che in questo come in altri casi si usano i morti come una clava decontestualizzando, omettendo, annullando la differenza di valori in campo e distorcendo la memoria storica sino a costruire la narrazione più funzionale agli interessi di bottega. È stato così nell’immediato dopoguerra, quando si preferì il silenzio omertoso sugli eccessi e le vendette "per non turbare gli animi" e non disturbare quella mitopoiesi che ha imbalsamato e sistemato in una teca museale la Resistenza. Oggi nell'ostensione di una povera vittima trasformata in icona c'inzuppano il pane la feccia dell'estrema destra e i gazzettieri della solita destra cinica e sguaiata.

Nel polverone, una parola di saggezza è arrivata dal primo cittadino di Savona, Ilaria Caprioglio, cui sento di potermi associare.

“Non si deve rischiare di strumentalizzare un fatto accaduto settant’anni fa e dai contorni ancora oscuri. Quello che sappiamo è che si è trattato di una violenza terribile e di un abuso nei confronti di una bambina. Al netto dell’era fascista e di quello che significò allora, c’è stata una vita innocente spezzata, davanti alla quale credo si debba provare rispetto e silenzio. Basta urlarsi addosso l’uno con l’altro e giocare a chi si infanga di più. Non voglio parlare né di destra né di sinistra, invito a guardare alle nostre coscienze.”

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