martedì, aprile 29, 2008

 

Itri 1911: il colore del sangue


Itri, comune del Lazio meridionale oggi in provincia di Latina ma nella prima decade del secolo scorso collocato in quella di Caserta, fu teatro nel luglio 1911 di un controverso episodio di cronaca nera che ancora oggi è coperto da una cortina di riserbo che sa tanto di rimozione: la “Caccia ai Sardignoli”.


I fatti
Per la realizzazione del quinto tronco della tratta Roma-Napoli, le Regie Ferrovie e le aziende che avevano in appalto i lavori di costruzione della strada ferrata scelsero di avvalersi di circa un migliaio di operai fatti affluire in blocco dalla Sardegna.

Le ragioni di questo reclutamento di massa, apparentemente illogico in un momento storico in cui la forza lavoro a buon mercato non difettava nell’Italia Centro-Meridionale interessata da imponenti flussi migratori in uscita, stavano in un cinico calcolo.
I lavoratori sardi, poveri in canna, analfabeti e sostanzialmente estranei per ragioni storiche, culturali e linguistiche rispetto al resto della popolazione italiana, costituivano una manodopera tutto sommato facile da controllare perché priva di appoggi materiali e morali sul territorio; una manovalanza cui imporre i lavori più duri a un salario inferiore a quello - già misero - di altri operai e condizioni di vita che oggi considereremmo subumane.

Nell’estate del 1911, circa la metà di questi lavoratori sardi si trovava a spaccare e scalpellare pietre nei pressi di Itri, sistemata alla meglio in baracche, tuguri e altri ricoveri di fortuna.

La comunità di Itri guardava con diffidenza e irritazione quest’invasione imposta dall’alto, preoccupata dalla pressione esercitata da quella massa di forestieri male in arnese, chiusi in un loro mondo incomprensibile e alieno, abbruttiti dalla fatica e potenzialmente incontrollabili fuori dal cantiere.
Dagli archivi, infatti, sono emerse le proteste e le richieste di provvedimenti urgenti d’ordine pubblico inoltrate per via gerarchica dai maggiorenti itriani, ovviamente rimaste lettera morta.

A soffiare sul fuoco dell’intolleranza provvidero elementi della malavita collegati o direttamente affiliati alla Camorra, interessati a lucrare il pizzo anche sui magri salari dei lavoratori e indispettiti dal comportamento dei sardi, che avevano reagito alla tentata estorsione organizzando un abbozzo di lega di autodifesa operaia.

Il 12 e 13 luglio 1911, prendendo a pretesto alcuni episodi di frizione tra sardi e residenti, si scatenò nel cuore di Itri la “caccia al sardignolo” cui presero parte attiva anche i notabili locali.
In totale si contarono 8 morti e 60 feriti, tutti sardi.


Vincitori e vinti
Dagli atti del processo che si svolse prima a Cassino e successivamente presso la Corte d’Assise di Napoli, emerge una linea difensiva che invoca come attenuante la ribellione popolare giustificata da presunte violazioni e prepotenze d’ogni sorta patite dai pacifici e laboriosi itriani, colpevolmente lasciati in balia di sardi dipinti come una masnada in preda al delirio dei conquistadores.
Fonti locali arrivano a insinuare che la monarchia sabauda, memore della fedeltà dei sudditi isolani al Regno di Sardegna (!!!), avesse graziosamente concesso agli operai sardi in trasferta nel basso Lazio un implicito salvacondotto per razziare impunemente (sic!).
Non c’è dubbio che tali argomentazioni suonino ridicole, contrarie come sono alla logica e alla storia. Non di meno, a distanza di un secolo dai fatti è forse il momento di andare oltre le forzature di parte e i risentimenti incrociati.

Con tutta probabilità, la manodopera sarda fece le spese della partita a scacchi per il controllo del territorio tra il governo centrale, allora retto da Giovanni Giolitti, e i notabili locali; una contesa che nei territori appartenuti ai Borbone si era chiusa solo formalmente al momento dell’annessione forzata.
D’altra parte, il Regno d’Italia si poneva in continuità con il Piemonte sabaudo nella scarsa considerazione per i sudditi sardi, ritenuti con poche eccezioni “imbarazzanti” per diversità di costumi, miseria e arretratezza. Anche allora, i sardi erano preceduti dalla fama di essere lavoratori infaticabili, però anche caratterialmente difficili, ombrosi, inclini alle zuffe e alla violenza, specialmente se in preda ai fumi dell’alcool.
Sebbene sia un paragone antipatico, politicamente scorretto e antistorico, i sardi immigrati in Terra del Lavoro si ritrovarono a fare i conti con condizioni ambientali durissime, ai limiti della sopravvivenza, rese ancora più critiche da un muro di incomunicabilità, pregiudizio e sospetto: una situazione che per molti versi somiglia a quella delle comunità di rumeni o di slavi insediatesi ai margini estremi delle periferie delle nostre metropoli.
Questo background sfavorevole concorse a ingigantire le incomprensioni tra operai sardi e popolazione itriana: due mondi messi a contatto di colpo, senza alcuna mediazione né una giustificazione che non fosse lo sfruttamento rapace della forza lavoro.

La “Caccia ai Sardignoli” fu una mattanza del povero contro il più povero, mentre chi tirava le fila del gioco, come sempre, restava a guardare a debita distanza, pronto a raccogliere i frutti.

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lunedì, aprile 28, 2008

 

Meglio Sardi che mai

Sardus Pater Babai (coin)
Con buona pace della multimedialità, dai miei post non traspaiono le scaglie di pecorino, la profusione di doppie e triple consonanti, le palatali schioccanti e le vocali ermeticamente chiuse che, non appena apro bocca, rivelano le mie origini sarde anche quando queste non siano annunciate ai quattro venti da un patronimico che più nuragico e sardoparlante di così si muore.
Faccio (quasi) ogni santo giorno i conti con una sardità che fa capolino nel mio modo di ragionare, sentire e interagire con il prossimo, per cui ho letto con curiosità e divertimento l'elenco di vizi e virtù che rappresenterebbero la quintessenza dell'essere sardi riportato nel blog di Pascaliza.
L'autrice della lista su Flikr, infatti, si dimostra spiritosa nel motteggiare bonariamente comportamenti, tic, paranoie e non-sense tipici di Cagliari e dintorni, ma comuni anche nei sardi in formato export come il sottoscritto.
Di seguito, l'elenco del "Sei sardo se..." con commenti e traduzioni personali a beneficio dei non sardoparlanti. In grassetto, le definizioni - invero pochine - in cui mi riconosco (e ci mancherebbe altro!).

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giovedì, aprile 24, 2008

 

I nuovi trinariciuti


Ho fatto una scoperta interessante e inaspettata: i trinariciuti che credevamo estinti in un’epoca imprecisata tra il Compromesso Storico e la liquidazione del PCI sono ancora tra noi, anche se hanno cambiato partito e referenti in Parlamento.

Non so se Giovanni Guareschi, che nell’immediato dopoguerra inventò la saga dei trinaricuti per ridicolizzare i militanti comunisti, sarebbe lieto di ritrovare le sue creature pimpanti e ben inserite nell’elettorato del centrodestra. Sta di fatto che i trinariciuti non hanno perso la loro caratteristica distintiva: granitica ottusità e rinuncia al ragionamento individuale in nome dell’obbedienza cieca, pronta e assoluta al partito.

Esattamente come un tempo, i trinariciuti di oggi prendono alla lettera tutto ciò che dicono e scrivono gli organi di propaganda del partito. Solo che oggi non c’è più la penna di Guareschi a sdrammatizzare e rendere esilaranti gli effetti del doping da indottrinamento nella vita di tutti i giorni.

guareschi's trinarixPer darvi un’idea di cosa fossero i trinariciuti originali di Guareschi, ho recuperato una delle vignette pubblicate sul settimanale Candido, di cui riporto anche la didascalia.
- Obbedienza cieca, pronta, assoluta -
Contrordine compagni! La frase pubblicata sull'Unità: "Bisogna smascherare i grandi industriali evasori e denunciarli al fico", contiene un errore di stampa e pertanto va letto: "Bisogna smascherare i grandi industriali evasori e denunciarli al fisco"


La musa dei trinariciuti

Un’altra scoperta è che i soliti Emilio, Carlo, Maurizio, Giordano,Vittorio e Renato non sono i soli profeti del verbo caro ai nuovi trinariciuti. Già, alla lista devo aggiungere e mettere in bella evidenza un altro nominativo: quello di Ida Magli.
Giusto ieri, infatti, ho letto un articolo allucinante scritto dalla nota antropologa, oggi opinionista per Il Giornale e La Padania.
Non essendo lettore abituale né del primo né del secondo quotidiano, ignoravo l’avvenuta mutazione genetica della studiosa in un pallido clone dell’ultima Oriana Fallaci, e ne sono rimasto costernato.
Mi ha messo tristezza vedere la Magli rimestare nella feccia dei luoghi comuni sul pericolo rappresentato dall’invasione degli immigrati che, soldi alla mano, vanno espropriando i centri storici delle nostre città trasformandoli in luoghi alieni, malfrequentati, odorosi di aglio e di varia umanità.
La Magli si duole assai del lassismo dei sindaci che hanno permesso e continuano a permettere un simile obbrobrio e reclama a gran voce l’emanazione di una legge che vieti l’acquisto di terreni, edifici e locali agli stranieri, ritenendola una soluzione praticabile e persino ovvia.

Sempre secondo la visione della Magli, la barca e già piena, per cui è nostro dovere non far salire più nessuno a bordo, men che mai quelli che potrebbero solo sciupare la tappezzeria e sporcare in giardino.
Le norme sulla libera circolazione dei cittadini di altri stati europei? Quisquilie derogabili in nome della difesa del nostro sacro territorio e della nostra stessa esistenza.

Ora io mi domando dove mai abbia risieduto Ida Magli negli ultimi 30 anni per ignorare che il centro storico di molte nostre città è diventato, nella migliore delle ipotesi, un guscio semivuoto che si anima solo nelle ore in cui sono aperti uffici, banche, musei, boutique e altre attività commerciali.
In questi 30 anni si è cercato più volte di tamponare l’emorragia di residenti con disposizioni di legge e piani urbanistici, ma chi ha potuto ha venduto al miglior offerente, senza troppi rimpianti.
Dietro questo moto centrifugo ci sono ragioni evidenti, legate alle caratteristiche degli immobili, a condizioni locali di diffuso degrado e fatiscenza, ai costi proibitivi delle opere di manutenzione, adeguamento e ristrutturazione, e altre ragioni più sfumate che attengono alla scelta, squisitamente politica, di imbalsamare il centro storico lasciandogli solo funzioni di punto d'appoggio per la finanza e il terziario, di rappresentanza e di memoria storica ad uso turistico.

Per quanto si possa storcere il naso, è legge di mercato che il vuoto lasciato dagli italiani nei tagli meno pregiati e nelle piccole superfici commerciali sia stato riempito da chi è disposto a pagare e ha meno pretese in fatto di comfort.
Semmai, visti i prezzi correnti al metro quadro e le garanzie richieste per la concessione di mutui, è lecito porsi qualche domanda sull’origine della disponibilità economica degli acquirenti in città come Roma, Firenze e Milano.

Ma queste considerazioni elementari non sfiorano nemmeno il pensiero alato dell’antropologa-opinionista, troppo zelante nel compito di dare lustro e caratura intellettuale agli umori profondi dei nuovi trinariciuti.

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martedì, aprile 22, 2008

 

Infedele alla linea



Arsenico e vecchi sberleffi

il gatto & la volpe
Tempo addietro, accennando al ruolo svolto dalle emanazioni della Chiesa Cattolica nel dibattito culturale e politico nazionale mi era parsa evidente una forzatura logica sistematicamente brandita per delegittimare e screditare i latori di qualsiasi opinione dissenziente.
Mi riferivo al distorto sillogismo in virtù del quale non è possibile muovere critiche a singole azioni, atteggiamenti e/o dichiarazioni di chi rappresenta un’istituzione che vanta meriti pregressi e finalità benemerite senza venire accusati di voler negare tout court il diritto di quest’ultima a esistere, ad agire e a esprimersi liberamente.

Come scrivevo allora, la Conferenza Episcopale Italiana e l’entourage culturale e mediatico che ad essa fa riferimento non detengono affatto il copyright su questa forzatura, che è utilizzata correntemente in modi sottili, ma altrettanto efficaci, da formazioni politiche e lobby di ben altra matrice culturale e ideologica.

Un esempio? A parte l'imbarazzante baruffa pre-elettorale tra i Radicali e i vertici del PD per questioni di prestigio e di piazzamento nelle liste, in prima battuta mi viene in mente l’aura di intoccabilità che circonda una certa cote dell’ambientalismo che pare muoversi da tempo nella zona di confine che separa il dialogo costruttivo con il mondo delle imprese da un’abile monetizzazione del marchio, trasformato all’occorrenza in un brand da concedere in licenza in cambio di sostanziose sovvenzioni alle proprie iniziative.

Non che ci sia da stracciarsi le vesti perché ad alti livelli è di rigore essere “candidi come colombe e astuti come serpenti”, però il mondo sarebbe un posto un po’ migliore se i vertici di diverse influenti associazioni nostrane fossero più inclini alla trasparenza nelle loro strategie e non mostrassero di trattare la base come burattini cui dare in pasto trite fumisterie lavate con Perlana.


Israele, mia diletta

flag of Israel
Un caso da manuale di quanto sia facile imporre l’artefatto manicheismo del “chi non è con me è contro di me” riguarda lo stato d’Israele e il conflitto che lo oppone ai palestinesi e ai Paesi arabi che li sponsorizzano e armano.

Le polemiche che hanno seguito la decisione della Fiera del Libro di Torino di eleggere Israele a paese ospite dimostrano, ancora una volta, come non si possa neppure sfiorare un argomento tanto delicato e storicamente controverso senza che qualcuno si alzi e pretenda sbrigativamente una scelta di campo assoluta tra un presunto bene e un altrettanto presunto male.

Personalmente sono cresciuto in un ambiente e in un momento storico in cui l’Italia e l’Occidente in genere guardava con aperta simpatia Israele.
Era difficile restare insensibili al magnetismo del generale Moshe Dayan e all’epica cavalcata dei tank di T’sahal (o Tzahal) durante la Guerra dei Sei Giorni, così come non scorgere l’astuzia e la grinta inossidabile dietro le rughe e il rude look da babuska del premier Golda Meir.
In definitiva non c’era concorrenza: chi più chi meno parteggiavamo tutti per l’unica democrazia di stampo occidentale incuneata in un mondo arabo fatto di regimi autoritari, per un popolo che aveva rialzato la testa dopo 2000 anni di diaspora e di persecuzioni e verso cui, da europei, sentivamo di avere un debito morale enorme.

La mistica dello stato democratico piccolo e fragile, stretto d'assedio da nemici mortali numericamente tanto più numerosi eppure coeso e orgoglioso, nata da un elemento geografico oggettivo è diventata un argomento propagandistico che ha fatto più volte il giro del mondo.
La si può ritrovare, ad esempio, nelle pagine di alcuni bestseller del romanziere sudafricano Wilbur Smith, in particolare in “Eagle in the sky”. Va detto, però, che Wilbur, peraltro ottimo romanziere d'avventura, indulgeva in un pericoloso parallelismo tra Israele e il Sudafrica della minoranza bianca al potere, implicitamente indicati come campioni di civiltà e di culture che lottavano per non farsi travolgere e cancellare.

La domanda è: Israele merita ancora oggi di essere difeso a spada tratta, senza dubbi o distinguo di sorta?

Se dovessimo basarci unicamente sul confronto con ciò che politicamente hanno saputo esprimere i palestinesi, ovverosia il regime opaco, debole e corrotto dell’ANP o la violenza e l’intimidazione elevata a sistema di Hamas, allora verrebbe voglia di chiudere in fretta il discorso.
Lo stesso dicasi se si restringe il confronto tra il funzionamento delle istituzioni democratiche in Israele e quello presso i suoi più accerrimi antagonisti, Siria e Iran in testa.

Tuttavia, che lo si voglia o no, che li si ami o li si disprezzi, i palestinesi esistono, sono un’entità reale che vanta diritti sulle terre oggi mutilate e spezzettate dal muro difensivo e dai check-point presidiati dall’esercito israeliano.
Non è solo frutto della follia di una leadership fanatica il profondo rancore dei palestinesi verso gli insediamenti abusivi dei coloni che, impuniti, arrivano con i bulldozer a spianare oliveti secolari per costruire nuove case e strade e che si appropriano delle poche fonti d’acqua, oppure verso i controlli ai valichi di confine dove la pur giustificata diffidenza dei militari con la Stella di Davide trasforma ogni passaggio di persone e merci in un’estenuante roulette quotidiana.

Che io difenda i diritti e la dignità del più debole, anche se non ha fatto nulla per rendersi simpatico, e faccia rispettosamente notare come una certa politica di emergenza e l’uso della forza non facciano altro che allungare la catena delle ingiustizie, delle disparità sociali, delle violenze e degli odi incrociati fa di me un truce negatore del diritto di Israele a esistere?
Significa per forza che ho scelto di militare tra le fila antisioniste e filoarabe?
Significa che smanio dalla voglia di accodarmi alle diplomazie europee che per calcolo, pavidità od ottusità si ostinano a cercare il dialogo con Hassan Nasrallah o Mahmud Amadinejad?

No, non credo.

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giovedì, aprile 17, 2008

 

Cuore di tenebra


cuore di tenebra
La fantasia dei popoli che è giunta fino a noi
non viene dalle stelle...
alla riscossa stupidi che i fiumi sono in piena
potete stare a galla.
E non è colpa mia se esistono carnefici
se esiste l'imbecillità
se le panchine sono piene di gente che sta male.

(Franco Battiato - Up patriots to arms)

Siamo arrivati a giovedì; tre giorni sono più che sufficienti perché qualsiasi commento sui risultati elettorali sia allo stesso tempo ponderato e incomparabilmente superfluo, dato che a questo punto è rimasto ben poco di nuovo o di originale da aggiungere al calderone.

Se mi chiedete come mi sento a tre giorni dalla nabka del centrosinistra, la risposta è: “maluccio, come uno che andava per i fatti suoi e si è visto rovesciare addosso un rimorchio di letame”. Invero, le probabilità che ciò avvenisse erano molto alte, non fosse altro perché nell’aria si avvertiva da tempo un fetore pestilenziale.
A dirla tutta, non condividevo l’ottimismo a trentadue denti sbandierato sino all’ultimo dal quartier generale del PD. Le ipotesi di una rimonta e, addirittura, di un clamoroso sorpasso sul filo di lana mi sembravano pie illusioni, proclami lanciati più che altro per “tenere alto il morale” dello smagato elettorato di sinistra, non diversamente da ciò che aveva inutilmente tentato di fare l’Ulivo che candidava Ciccio(bello) Rutelli nella tornata del 2001.
Le similitudini con la solenne tramvata di allora erano decisamente troppe per non pensare al peggio, tuttavia speravo in una sconfitta contenuta, ai punti, non che gli elettori consegnassero alla Ditta Silvio Berlusconi & Co. una nuova cambiale in bianco.

Dalle urne è uscita la fotografia verosimile di quello che è il Paese reale oggi: un’Italia smarrita, abbruttita, viscerale e rancorosa che si è rifugiata in massa nel miraggio del dirigismo aziendalista incarnato da Silvio Berlusconi e nel parasindacalismo territoriale della Lega Nord.

Da un lato appare più che mai chiara la portata dell’involuzione culturale avviata e agevolata da oltre un decennio di berlusconismo: individualismo, insicurezza, diffuso timore del futuro, intolleranza verso la complessità della società contemporanea, arroccamento a difesa dell’esistente e dell’interesse particolare (in primo luogo quello di conservare i propri soldi al riparo dal fisco), un provincialismo e un localismo che somigliano alla mentalità del ghetto.
Dall’altro, sommando la scomparsa dalla rappresentanza parlamentare della sinistra radicale, con la nullità (annunciata) del bonsai trozkista e il tonfo (rumoroso e cruento) della Sinistra Arcobaleno, l'evaporazione dei Socialisti di Boselli e il risultato del PD, che un po’ è avanzato e un po’ ha rinculato, si capisce quanto sia stato alto il pedaggio pagato per i due anni di precaria coabitazione al governo.

Sarà anche vero che il raccolto non sempre corrisponde a quanto si è seminato, ma è palese che una quota non marginale di elettori che fanno riferimento a sinistra e di veri e propri militanti non ha perdonato tutte le risposte non date, rimandate, contraddittorie o mal comunicate da una coalizione e da un esecutivo che mai e poi mai si sono dimostrati all’altezza di parlare con autorevolezza e semplicità agli italiani, tanto meno di agire secondo un programma non dico coerente, ma almeno comprensibile ai più.

Perciò non so se sorridere sardonicamente o sacramentare quando leggo dichiarazioni come “Non abbiamo capito gli umori profondi del paese" (Livia Turco), ”L’arcobaleno è stato percepito come il logo che copriva cose vecchie“ (Nichi Vendola), ”Ricominciamo daccapo, dai vecchi simboli, ricominciamo dalla falce e martello“ (Oliviero Diliberto) o delle dimissioni di Romano Prodi dalla presidenza del PD, messe nero su bianco a Pasqua e rese pubbliche solo ieri.

Ma tutto questo è il teatrino delle marionette che va in scena, l’avanspettacolo che io e voi siamo liberi di applaudire o fischiare dai blog, tanto non ci si fila nessuno.
Spento il computer, ognuno fa i conti con la vita che continua e con un futuro prossimo che sembra l’entrata del tunnel degli orrori.
Mi sembra già di vedere il pupazzone del Cavaliere che ammicca all’imbocco e sembra dire: ”Bentornati nel cuore di tenebra della MIA Italia“.

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martedì, aprile 15, 2008

 

Viaggio nel cuore della notte




Comunicazione di servizio: non ho perso né il sonno né la favella per via dei risultati elettorali.
Non appena avrò tempo, ammesso che non mi mettano dentro per aver dato un tabarro di legnate al vicino di casa leghista, stenderò il mio solito fardello di considerazioni scontate.

Nel frattempo registro con rammarico due notizie:
a) la morte di Marisa Sannia, una donna e un'artista schiva che sino alla fine ha portato con leggerezza la scelta di vivere fuori dai riflettori;
b) la chiusura a tempo indeterminato di un blog che stimavo molto.

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giovedì, aprile 10, 2008

 

Mala tempora currunt


bullshit
I libri di storia ancora oggi condizionati dalla retorica della Resistenza: saranno revisionati, se dovessimo vincere le elezioni. Questo è un tema del quale ci occuperemo con particolare attenzione
Marcello Dell'Utri (8 marzo 2008)

Se vinciamo, questa volta non faremo prigionieri
Cesare Previti (23 dicembre 2000)

Sinceramente di queste e di altre affermazioni agghiaccianti, a metà strada tra il proclama bellicoso, la minaccia e il messaggio obliquo, non sentivo proprio la mancanza.
Però ormai siamo vicini al voto, il terreno inizia a scottare sotto i piedi e i contendenti danno fondo alle munizioni avanzate in magazzino.
Poco importa con cosa si carica il cannone: l'importante è fare il botto più grosso.

Risultato: il solito teatrino, il solito polverone e una quantità immane di (absit iniuria verbis) merda piazzata sotto il ventilatore.

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mercoledì, aprile 09, 2008

 

Le regole & le eccezioni


Chi mi conosce bene sa che il mio bestseller editoriale potrebbe intitolarsi “Il Grande Libro delle Eccezioni” - sottotitolo “Predicare è bene, razzolare è meglio”.
Ecco, costoro non resteranno sorpresi se ora coglierò al balzo una soffiata di Rearwindow* e farò uno strappo alla mia sbandierata disaffezione nei confronti della politica attiva e dell’imminente tornata di votazioni.

Sia chiaro, non farò un appello a favore di questa o quella lista.

Farò di peggio: sbragando nel peggiore qualunquismo enuncerò alcune delle ragioni per cui, fossi in voi, ANDREI A VOTARE superando la sindrome del “Muoia Sansone e tutti i filistei” e la ritrosia da naso turato, in primo luogo per evitare di fare un favore a un noto personaggio politico e al cartello elettorale costruito a sua immagine e somiglianza.

Mettiamola così, comprereste un’automobile usata da un venditore che:
⊗ “mente come respira” (citazione di Indro Montanelli) ?

⊗ smentisce regolarmente le sue dichiarazioni, sostenendo di essere stato travisato?

⊗ è insofferente alle regole e, non appena può, le fa riscrivere a vantaggio suo e dei suoi sodali?

⊗ ha dimostrato di anteporre le scorciatoie utili a risolvere le sue pendenze giudiziarie a qualsiasi altro provvedimento d'utilità nazionale?

⊗ dichiara di averci rimesso a scendere in politica, ma chissà come nel recente passato le sue aziende hanno macinato utili come non mai e ottenuto ulteriori provvedimenti su misura?

⊗ propone di introdurre il test sulla sanità mentale per i magistrati?

⊗ consiglia alle donne di impalmare il classico “buon partito” come soluzione alla disoccupazione e al precariato femminile?

⊗ detesta qualsiasi interferenza nella gestione del potere ed è vendicativo. Chi non è con lui o non lavora per lui è per forza un vile complottista prezzolato, un comunista o un liberticida da neutralizzare?

Ma chi sarà mai questo "simpaticone" che NON merita il vostro voto?


Sarà LUI?

joda


oppure LUI?

uolter


o piuttosto LUI?

EsseBì


*Sul blog di Rear c'è un "post comune" da copiare e incollare a disposizione di chiunque desideri dichiarare pubblicamente una precisa scelta di campo e che il mito dell'Uomo del Destino, furbo e vincente, è una televendita d'annata, buona per chi non ha il "vizio della memoria".

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venerdì, aprile 04, 2008

 

35 vs 5



35 anni versus 5 minuti.
Nello stesso giorno, i quotidiani hanno riportato due fatti di cronaca che rappresentano gli estremi opposti del (mal)funzionamento della giustizia.

Da una parte l’emblematico caso italiano della causa civile per la divisione giudiziale di un’eredità durata la bellezza di 35 anni, di cui 8 trascorsi in attesa del deposito della perizia sul valore dei beni inclusi nell’asse ereditario e ben 20 prima di arrivare alla pronuncia in primo grado (!!).

Dall’altra c’è il processo celebrato ad Alessandria d’Egitto contro un giovane blogger egiziano, durato non più di cinque minuti.
Il ventiduenne blogger è stato riconosciuto colpevole di offesa all’Islam e di incitamento all’odio, nonché di vilipendio nei confronti del presidente egiziano: totale, quattro anni di carcere per aver sparato a zero dal blog sugli insegnamenti dell’università islamica di Al Azhar, al Cairo, e per aver paragonato gli atteggiamenti del presidente Hosny Mubarak a quelli di un faraone.

Per fortuna non ci troviamo (non ancora) negli scomodi panni dei blogger egiziani o di quelli cinesi. Tuttavia vale la pena ricordare che c’è un precedente pericoloso anche in casa nostra.
Nel giugno 2006, ad Aosta, un blogger italiano è stato condannato in primo grado per il reato di diffamazione a mezzo stampa, o meglio diffamazione a mezzo blog.
Sarà ricorso in appello? Mah, chissà.

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giovedì, aprile 03, 2008

 

Cose dell'altro mondo

"Eh, il mondo è sempre più piccolo."
"No, il mondo è sempre lo stesso. Sono le persone a essere... piccole, dentro.
"*

Questo pianeta sa ancora essere sorprendente se ci si spoglia della presunzione che il posto in cui viviamo sia l'ombelico del mondo, della pretesa che la nostra storia e la nostra cultura abbiano un valore universale.
Un reportage dall'Argentina, ad esempio, mi ha fatto scoprire l'esistenza di un fenomeno inimmaginabile in Italia: la diffusione assolutamente trasversale del culto per i "santi popolari" nell'area della Gran Buenos Aires, ovvero quell'enorme conurbazione dove oggi risiedono oltre 14 milioni di abitanti.

I cosiddetti santi popolari sono santi non riconosciuti dalla Chiesa Cattolica perché mai passati per il processo di canonizzazione e tuttavia oggetto di una devozione popolare che viene tollerata dalle autorità ecclesiastiche in quanto non pagana e non contrastante con la fede in Dio.
Tra questi santi "paralleli" a quelli ufficiali, Gauchito Gil e l'enigmatico San (San La Muerte) sono quelli che meglio sembrano essersi "ambientati" nella metropoli argentina, al punto di diventare parte integrante dello spirito e del modo di vivere porteño.

Gaucho GilFa sorridere leggere che el milagroso Gaucho Gil - al secolo Antonio Gil Núñez - personaggio realmente vissuto nella seconda metà dell'Ottocento in una provincia al confine tra Argentina e Uruguay, prima di essere appeso a testa in giù a un albero e brutalmente sgozzato da un soldato fosse ricercato perché disertore e perché autore di alcune rapine in stile Robin Hood.
A fare di Gauchito Gil un eroe positivo, paladino dei gauchos, dei peones e dei diseredati in genere, sono stati sia i miracoli attribuiti alla sua intercessione sia la sua storia di uomo ingiustamente vessato e perseguitato dalle autorità.
Oggi, oltre agli "alberi della giustizia" coperti di drappi e fazzoletti rossi nonché tappezzati di ex-voto che fungono da edicole votive dedicate al Gauchito Gil, è possibile notare come molte delle auto che intasano le avenidas di Buenos Aires abbiano nastri rossi appesi allo specchietto retrovisore.

SanQuanto al truce San La Muerte, raffigurato come uno scheletrino incappucciato e armato di falce, la sua leggenda affonda quasi certamente nelle credenze degli indios Guarany.
San La Muerte, patrono non ufficiale di chi esercita attività rischiose come i malavitosi e, all'inverso, i poliziotti, conta oggi oltre 30 tra edicole votive e tempietti a Buenos Aires.
Va detto, inoltre, che il culto di San La Muerte e quello di Gauchito Gil sono in qualche misura contigui pur nella loro diversità. E' credenza diffusa, infatti, che in vita il Gaucho Antonio Gil fosse un devoto del Señor de Dios y de la Muerte, uno dei tanti nomi con cui viene chiamato e invocato San La Muerte.

La cosa che più sorprende è la presa di queste figure presso i giovani. Ciò che noi liquideremmo sbrigativamente come bizzarro folklore da "paesani", per una parte cospicua della gioventù di Baires è quanto di più vicino ai nostri must, e non stiamo parlando solo di ragazzi dei barrios, le periferie dove vivono gli strati più poveri e la popolazione che si è inurbata negli ultimi decenni.


Intanto, a casa nostra...

Tornando a latitudini assai più familiari, l'altra notte ho udito un vicino di casa, leghista puro-e-duro, sbraitare mandando al gabinetto non so quale sporco comunista apparso in televisione e quanti lo votano.
Sul momento m'è venuta la tentazione di replicare intonando "casualmente" un controcanto su certi vizietti coltivati in privato dagli accoliti del verbo padano. Ho desistito, non per quieto vivere ma perché mi sento estraneo a questa campagna elettorale dove i candidati premier sembrano recitare senza convinzione le battute del loro copione. So per cosa voterò e tanto mi basta: per questo giro va così.

Postilla: un test simpatico...tanto per intenderci :-)



*citazione da "Pirati dei Caraibi - Ai Confini del Mondo"

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