martedì, aprile 22, 2008

 

Infedele alla linea



Arsenico e vecchi sberleffi

il gatto & la volpe
Tempo addietro, accennando al ruolo svolto dalle emanazioni della Chiesa Cattolica nel dibattito culturale e politico nazionale mi era parsa evidente una forzatura logica sistematicamente brandita per delegittimare e screditare i latori di qualsiasi opinione dissenziente.
Mi riferivo al distorto sillogismo in virtù del quale non è possibile muovere critiche a singole azioni, atteggiamenti e/o dichiarazioni di chi rappresenta un’istituzione che vanta meriti pregressi e finalità benemerite senza venire accusati di voler negare tout court il diritto di quest’ultima a esistere, ad agire e a esprimersi liberamente.

Come scrivevo allora, la Conferenza Episcopale Italiana e l’entourage culturale e mediatico che ad essa fa riferimento non detengono affatto il copyright su questa forzatura, che è utilizzata correntemente in modi sottili, ma altrettanto efficaci, da formazioni politiche e lobby di ben altra matrice culturale e ideologica.

Un esempio? A parte l'imbarazzante baruffa pre-elettorale tra i Radicali e i vertici del PD per questioni di prestigio e di piazzamento nelle liste, in prima battuta mi viene in mente l’aura di intoccabilità che circonda una certa cote dell’ambientalismo che pare muoversi da tempo nella zona di confine che separa il dialogo costruttivo con il mondo delle imprese da un’abile monetizzazione del marchio, trasformato all’occorrenza in un brand da concedere in licenza in cambio di sostanziose sovvenzioni alle proprie iniziative.

Non che ci sia da stracciarsi le vesti perché ad alti livelli è di rigore essere “candidi come colombe e astuti come serpenti”, però il mondo sarebbe un posto un po’ migliore se i vertici di diverse influenti associazioni nostrane fossero più inclini alla trasparenza nelle loro strategie e non mostrassero di trattare la base come burattini cui dare in pasto trite fumisterie lavate con Perlana.


Israele, mia diletta

flag of Israel
Un caso da manuale di quanto sia facile imporre l’artefatto manicheismo del “chi non è con me è contro di me” riguarda lo stato d’Israele e il conflitto che lo oppone ai palestinesi e ai Paesi arabi che li sponsorizzano e armano.

Le polemiche che hanno seguito la decisione della Fiera del Libro di Torino di eleggere Israele a paese ospite dimostrano, ancora una volta, come non si possa neppure sfiorare un argomento tanto delicato e storicamente controverso senza che qualcuno si alzi e pretenda sbrigativamente una scelta di campo assoluta tra un presunto bene e un altrettanto presunto male.

Personalmente sono cresciuto in un ambiente e in un momento storico in cui l’Italia e l’Occidente in genere guardava con aperta simpatia Israele.
Era difficile restare insensibili al magnetismo del generale Moshe Dayan e all’epica cavalcata dei tank di T’sahal (o Tzahal) durante la Guerra dei Sei Giorni, così come non scorgere l’astuzia e la grinta inossidabile dietro le rughe e il rude look da babuska del premier Golda Meir.
In definitiva non c’era concorrenza: chi più chi meno parteggiavamo tutti per l’unica democrazia di stampo occidentale incuneata in un mondo arabo fatto di regimi autoritari, per un popolo che aveva rialzato la testa dopo 2000 anni di diaspora e di persecuzioni e verso cui, da europei, sentivamo di avere un debito morale enorme.

La mistica dello stato democratico piccolo e fragile, stretto d'assedio da nemici mortali numericamente tanto più numerosi eppure coeso e orgoglioso, nata da un elemento geografico oggettivo è diventata un argomento propagandistico che ha fatto più volte il giro del mondo.
La si può ritrovare, ad esempio, nelle pagine di alcuni bestseller del romanziere sudafricano Wilbur Smith, in particolare in “Eagle in the sky”. Va detto, però, che Wilbur, peraltro ottimo romanziere d'avventura, indulgeva in un pericoloso parallelismo tra Israele e il Sudafrica della minoranza bianca al potere, implicitamente indicati come campioni di civiltà e di culture che lottavano per non farsi travolgere e cancellare.

La domanda è: Israele merita ancora oggi di essere difeso a spada tratta, senza dubbi o distinguo di sorta?

Se dovessimo basarci unicamente sul confronto con ciò che politicamente hanno saputo esprimere i palestinesi, ovverosia il regime opaco, debole e corrotto dell’ANP o la violenza e l’intimidazione elevata a sistema di Hamas, allora verrebbe voglia di chiudere in fretta il discorso.
Lo stesso dicasi se si restringe il confronto tra il funzionamento delle istituzioni democratiche in Israele e quello presso i suoi più accerrimi antagonisti, Siria e Iran in testa.

Tuttavia, che lo si voglia o no, che li si ami o li si disprezzi, i palestinesi esistono, sono un’entità reale che vanta diritti sulle terre oggi mutilate e spezzettate dal muro difensivo e dai check-point presidiati dall’esercito israeliano.
Non è solo frutto della follia di una leadership fanatica il profondo rancore dei palestinesi verso gli insediamenti abusivi dei coloni che, impuniti, arrivano con i bulldozer a spianare oliveti secolari per costruire nuove case e strade e che si appropriano delle poche fonti d’acqua, oppure verso i controlli ai valichi di confine dove la pur giustificata diffidenza dei militari con la Stella di Davide trasforma ogni passaggio di persone e merci in un’estenuante roulette quotidiana.

Che io difenda i diritti e la dignità del più debole, anche se non ha fatto nulla per rendersi simpatico, e faccia rispettosamente notare come una certa politica di emergenza e l’uso della forza non facciano altro che allungare la catena delle ingiustizie, delle disparità sociali, delle violenze e degli odi incrociati fa di me un truce negatore del diritto di Israele a esistere?
Significa per forza che ho scelto di militare tra le fila antisioniste e filoarabe?
Significa che smanio dalla voglia di accodarmi alle diplomazie europee che per calcolo, pavidità od ottusità si ostinano a cercare il dialogo con Hassan Nasrallah o Mahmud Amadinejad?

No, non credo.

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Comments:
Sulla prima parte, incontri il mio favore, sopratutto a livello di ragionamento.
Sulla seconda non mi esprimo, perchè sono davvero ignorante in materia: è una pecca che sento, da anni, ma è anche difficile da recuperare.
Plaudo convinto, comunque, alla tua maniera di scrivere.
Quando uno è bravo bisogna dirlo.
Daniele (Macca)
 
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