martedì, maggio 30, 2006

 

L'albero delle bistecche



baby wash C'era una volta L'Albero degli Zoccoli, film poetico e amaro di Ermanno Olmi sulla dura quotidianità delle comunità contadine nell'Italia rurale degli inizi del Novecento. Oggi c'è un altro e ben più bizzarro albero su cui meditare, da comunicatori e da genitori (attuali e futuri): l'albero delle bistecche.
Questo ircocervo rappresenta l'approdo probabile - un po' tragico e un po' beffardo - del processo di separazione tra l'uomo civile, benestante e urbanizzato, e la natura nei suoi aspetti non filtrati, normalizzati e sterilizzati da qualsiasi implicazione ansiogena.

Partiamo da un presupposto scontato: nessuno, a prescindere dall'intrattenere o meno contatti con vegetariani e vegani, ama sostare a riflettere sulla reale natura di ciò che sta mangiando e sentirsene in qualche misura responsabile.
Ci si focalizza sull'esperienza puramente sensoriale; le nozioni in nostro possesso ci consentono di aggiungere alle percezioni sensoriali una serie di informazioni su peso, freschezza, contenuto approssimativo di grassi, aminoacidi e vitamine.
Ciò non toglie che il nostro orizzonte cognitivo sempre più raramente si avventura oltre il prodotto, il semilavorato, surgelato, precotto, impacchettato o incellophanato.

Alle pareti dei reparti macelleria della Moderna Distribuzione non di rado campeggia il disegno in dimensioni reali di un manzo suddiviso nei diversi tagli disponibili.
Ebbene, questo bovino "didascalico" ha solo una vaga somiglianza con la nostra rappresentazione mentale del manzo in carne, ossa e corna: è un'entità astratta, simbolica, disincarnata, neutra. Ci fornisce esattamente quel tanto che ci interessa conoscere del prodotto che mangeremo.
Probabilmente non siamo più capaci di avere un contatto diretto con la natura di ciò che mangiamo senza l'interposizione dello schermo protettivo e provvidenzialmente opaco dei produttori. Rispetto all'Albero degli Zoccoli è venuto a mancare l'alone espiatorio della ritualità arcaica associata al sacrificio dell'animale, alla predazione della selvaggina e alla raccolta delle messi; però questo discorso antropologico ci porterebbe irrimediabilmente lontano dall'albero delle bistecche.

vegetables
Ciò che mi pare surreale, oggigiorno, è che nessuno si accorga della progressiva sostituzione della natura reale con la natura virtuale delle corsie dei supermercati, dei libri illustrati e dei programmi di divulgazione scientifica.
Oggi i bambini delle scuole elementari sanno distinguere al volo l'immagine di un Eryops da quella di un Cynognatus, un Triceratops Horribilis da uno Styracosaurus, così come dimostrano conoscenze sbalorditive sulle diverse specie di pesci che popolano il reef del Mar Rosso.
Eppure un bambino su cinque nella progredita Milano ignora come si presentino in natura i piselli o i fagioli.
Davanti all'immagine di un carciofo o di un cespo d'insalata la maggioranza dei nostri istruiti bambini tira ad indovinare: che sia una zucchina?

Sarebbe sommamente stupido gettare la croce sulle istuzioni scolastiche o sui pochi programmi educativi dell'altrimenti becero palinsesto televisivo evitando di metterci in discussione come adulti (educatori, genitori, nonni ecc.).
Se i bambini di città sono sempre più sradicati dal contatto con la natura, se stiamo preparando una generazione iperprotetta e potenzialmente ipocondriaca che si spaventa per una cavalletta o crede di poter socializzare con un ratto, che non riesce ad associare senza scompensi il tenero pulcino al pollo arrosto, la colpa è prima di tutto nostra.
Un giorno non lontano un angioletto candido e intelligentissimo ci chiederà
educatamente da quale albero si colgano le fettine e le cotolette alla milanese...

sabato, maggio 27, 2006

 

Camera a sud




No dejarme sola

No quiero que este sueño se termine, no quiero despertar.
No quiero dejar de pensarte, nada de eso quiero.
Deseo soñarte hasta el fin de mis días, hasta el último día...
Continuar mi vida, contigo en mis pensamientos,
en mi cuerpo,
dentro mio, en mi alma.
Simplemente si te vas,
te llevarías toda mi vida,
porque solo tu eres qiuen la llena cada día de alegría.

Non lasciarmi sola

Non voglio che questo sogno abbia termine, non voglio destarmi
Non voglio smettere di pensarti, nulla di tutto ciò io voglio.
Desidero sognarti sino alla fine dei miei giorni, sino all'ultimo giorno...
continuare la mia vita, con te nei miei pensieri,
nel mio corpo,
dentro di me,
nell'anima.
Semplicemente, se te ne vai
porterai via tutta la mia vita
perché tu solo sai riempirla ogni giorno d'allegria.

by Volando sobre el pentagrama del poema
blog let your mind fly away

Versi di un'anima assolata, semplici e delicati come i sentimenti espressi.
Poco importa sapere se questa sorta di preghiera sia dedicata a un uomo, a una donna o a un angelo. Come uomo so d'essere sempre stato lontano dall'ispirare simili slanci e, ancor più, dall'esserne degno.
Forse proprio per questo sono rimasto colpito da questo frammento di poesia: ho sentito l'eco, la nostalgia di un'innocenza che appartiene agli occhi dell'adolescenza e che poi, mestamente, lascia il passo al realismo, alla malizia e al disinganno.

venerdì, maggio 26, 2006

 

Special song (a timeless classic)



Riporto il testo tradotto di una canzone che ha un significato speciale per me e che mi porto dietro ovunque insieme al ricordo di un momento infinitamente triste: la perdita di una persona cara.
Se vi capitasse di trovarla in giro, sia nella versione di Bonnie Raitt che in quella altrettanto ottima di George Michael, isolatevi per un attimo dal rumore circostante e date spazio alla sua sottile malinconia.

I can't make you love me

written by Mike Reid and Allen Shamblin

Abbassa le luci
rassetta il letto
smorza queste voci nella mia testa.
Stenditi accanto a me,
non raccontarmi bugie,
solo tienimi stretta,
non essere condiscendente
non essere condiscendente con me.

Perché non posso costringerti ad amarmi
se non vuoi,
non puoi costringere il tuo cuore a provare
qualcosa che non sente.
Qui nel buio
di queste ore finali
resterò con il mio cuore
e lo sentirò battere forte
ma tu non vuoi,
no, tu non puoi
e io non posso costringerti ad amarmi
se non mi ami.

Chiuderò gli occhi
perché non voglio vedere
l’amore che non provi
quando ti stringi a me.
Il mattino verrà
e farò quel che è giusto,
ma fino ad allora dammi qualcosa
per affrontare questa lotta
e io sosterrò questa lotta.

Perché non posso costringerti ad amarmi
se non vuoi,
non puoi costringere il tuo cuore a provare
qualcosa che non sente.
Qui nel buio
di queste ore finali
resterò con il mio cuore
e lo sentirò battere forte
ma tu non vuoi,
no, tu non puoi
e io non posso costringerti ad amarmi
se non mi ami.

giovedì, maggio 25, 2006

 

Il prezzo della passione



reinterpretazione urlo di Munch

Riconosco di essere a modo mio un privilegiato: non diventerò mai ricco e famoso, però amo visceralmente il lavoro che faccio al punto di farmene spesso e volentieri travolgere, da perdere l'indirizzo di casa, di non avere orari pur di afferrare al volo un momento d'ispirazione.
Avrei potuto aspirare a un'esistenza "normale", a orari più umani, a maggiori sicurezze per il futuro se, a suo tempo, avessi scelto una facoltà universitaria più affine ai miei interessi come Storia e Filosofia, se avessi vinto un concorso pubblico per impiegato o avessi proseguito nell'iter della professione forense. Tuttavia sono convinto che, privata del piacere totalizzante della scrittura, la mia vita sarebbe stata un foglio bianco con tanti rimpianti a margine.

Quando sono prosciugato dalla stanchezza e particolarmente stressato, come in questo periodo, ho spesso la tentazione di piantare baracca & burattini, di urlare "fermate la giostra, voglio scendere".
So che sono solo momenti passeggeri, perché questo benedetto/maledetto lavoro riesce ancora ad adescarmi, a propormi sfide intellettuali sempre nuove, a titillare abilmente il lato puntiglioso del mio pessimo carattere.
Ciò che mi fa amare incondizionatamente il mio lavoro è che non mi fa mai sentire "arrivato".
Dopo tanti anni di professione scopro di avere ancora fame di apprendere cose nuove, di perfezionarmi, e non mi vergogno affatto di imparare qualcosa ogni volta che visito il sito di Luisa Carrada o dal confronto assolutamente alla pari con colleghi e colleghe molto più giovani di me come Kindofbeauty, SuperCopy o Fata Titania.

La parola scritta, però, è un'amante esigente e, di giorno in giorno, scopro quanto sia pesante il tributo da pagare alla passione.
In momenti faticosi e agri come quello che sto vivendo mi tornano in mente i celebri versi del poeta turco Nazim Hikmet Ran:
”Il piu' bello dei mari é quello che non navigammo.
Il piu' bello dei nostri figli non é ancora cresciuto.
I piu' belli dei nostri giorni non li abbiamo ancora vissuti.
E quello che vorrei dirti di piu' bello non te l'ho ancora detto.„


lunedì, maggio 22, 2006

 

Annotazioni a ruota libera

In barba a tutti gli studi e alle evidenze scientifiche secondo cui l'organo sessuale maschile dell'homo sapiens sapiens è sprovvisto di impalcatura ossea (osso penieno), la frattura multipla e scomposta del membro virile è statisticamente il più ricorrente e recidivante tra gli infortuni sul lavoro.

"Il saggio sa quando è il momento di tacere". Sto studiando da anni per diventare saggio, mi applico, ma ho la spiacevole impressione che neanche il CEPU potrebbe aiutarmi a conseguire l'agognato diploma.
All'ultima verifica ho beccato una grave insufficienza con la seguente motivazione in calce: "Non disponi di informazioni sufficienti per dire qualcosa di sensato e nessuno ha chiesto i tuoi consigli. Riprova, sarai più fortunato se ti farai 1/2 kg di cavoli tuoi."

Puo’ l’interpretazione di una canzone suscitare ricordi personalissimi e lontani nel tempo, far rivivere emozioni e percezioni di una torrida, languida notte d’estate, i desideri e l’estasi di una coppia in luna di miele? Beh, K.D Lang e la sua sinuosa versione di “The air that I breathe” hanno raggiunto l’obiettivo apparentemente impossibile.

Va a mio discredito come comunicatore, ma dopo 2 mesi ammetto che ho più dubbi che certezze sulla reason why di questo blog, sulla sua utilità diretta o indiretta, sulle mie aspettative e sulla modalità con cui l’ho gestito sinora.
Take it easy, guy” - mi sussurra una vocina all’orecchio - “This is neither business nor Wikipedia: there’s nothing to prove or to sell”. OK, forse sono troppo esigente oppure non riesco a risolvere il conflitto tra una mia necessità di profondità interiore e l'innato senso del pudore ma, per dire “pane al pane e (beep!) al pene”, dopo questi 2 mesi di sperimentazione il risultato è un blablabla insoddisfacente.
Non trovo alcunché di catartico in tutto questo parlarmi addosso, né c'è un valore aggiunto dal punto di vista strettamente professionale. Non è in discussione il mezzo, è il progetto che va ripensato.

Amenità: c'è un bizzarro effetto sonoro che si verifica "random" quando sto armeggiando nel dietro le quinte di questo blog. All'improvviso una vocina stridula sbuca dal nulla e strilla: "Oh my gosh! No way!!" Dev'essere un Easter Egg nascosto in qualche programma tra i tanti che tengo aperti, anche se l'indiziato numero 1 è quel buontempone di Mozilla.:)

giovedì, maggio 18, 2006

 

Carosello, mon amour

Mi piacerebbe lanciare tra i 4 lettori di questo blog una competizione per ripescare dalla memoria i Caroselli e gli spot tormentone che hanno segnato la loro infanzia. Per iniziare riedito un mio post ad elevato grado etilico inserito a suo tempo sul forum a tema libero di ilMac.net.

Gialli

“L’unico giallo a lieto fine è il liquore Villacidro del Cavalier Murgia”

Pulp Fiction

Fortunatamente s’è perso nella notte dei tempi e nel ricordo dei buontemponi il vezzo di presentare alla combriccola stupefatta e un po’ schifata un pitale riempito a metà di liquore Strega e “decorato” sul fondo da pezzi di cioccolato modellati in tema scatologico.

Lost in Translation

"Shützspatafülmen!!" Cosa mai significava l'esclamazione dell'anziano e svaporato farmacista/erborista svizzero-tedesco nei primi spot per le caramelle Ricola??
Va bene che in tenera età siamo stati infestati da pseudolinguaggi ben più incomprensibili come quello degli abitanti del fantomatico pianeta Papalla (Philco) e dagli espressivi mugugni della Linea disegnata dal geniale Osvaldo Cavandoli (Lagostina).

Esotici, stravaganti & stravaccati

Appartiene ai miti del Carosello che fu l’indimenticabile e ammiccante jingle “Kambusa uannnnn, l’ama-ri-cante", con l’omonimo amaro della Bonomelli che compariva d’incanto, graziosamente lanciato dal mare quasi fosse un gentile omaggio di Nettuno in persona, al termine della tradizionale danza hawaiana.
Mai una volta che ci sia stato un errore di mira...soprannaturale.

Assai meno memorabile fu il lancio di Algher, curioso infuso alcolico a base di alghe che nemmeno l'inconsapevole complicità dei delfini riuscì a promuovere più di tanto.

Per anni ci siamo logorati domandandoci quale sortilegio proteggesse il grande Ernesto Calindri dall’essere spiaccicato sull’asfalto come un bacarozzo qualsiasi mentre, imperturbabile, sedeva nel mezzo di una strada trafficata in compagnia dell’inseparabile bottiglia di Cynar, sedicente toccasana “contro il logorio della vita moderna”.

“Un punto di amaro e mezzo di dolce”: questa era la formula della felicità che concludeva lo spot del Punt e Més della Carpano. Agli spettatori, infatti, non restava altra spiegazione (lecita) per la gaia musichetta, adattamento di “Tea for Two”, e per l’aspetto a metà tra il giulivo e il fru fru dei figuranti.

Drink positive

In “Asterix contro Giulio Cesare” della premiata Ditta Goscinny & Uderzo c'è una fenomenale tavola che mostra improbabili uomini sandwich impegnati a fare reclame nel bel mezzo dell'arena. I loro cartelli recitano: “Per dimenticare gli affanni del tempo passato, bevete sempre vino moscato” :D

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mercoledì, maggio 17, 2006

 

La comunicazione ai tempi del colera

La mia ultradecennale esperienza nella comunicazione d’impresa e i miei trascorsi di account executive mi hanno insegnato sul campo il valore di un proverbio dei native americans: “non giudicare nessuno senza aver camminato per tre lune nei suoi mocassini”. Per questo motivo non riesco ad essere spietato e mordace quando analizzo le incoerenze, le ipocrisie e i compromessi al ribasso che rappresentano il retrobottega di qualsiasi agenzia di comunicazione.

Non è escluso che prima o poi ci sarà la tanto agognata ripresa del mercato, che i soldi torneranno a circolare non solo come vaghe promesse o entità virtuali.
Per ora, però, il new business va avanti tra indicibili difficoltà. Portare a casa qualsiasi contratto significa il più delle volte corteggiare e compiacere cretini in carriera che hanno fatto della furbizia spicciola la coperta della loro mediocrità e aziende dai nomi roboanti che si comportano come il più pidocchioso dei piazzisti.
Le trattative sono diventate il suk degli equivoci, delle promesse un tanto al chilo. Ma in quest’allegra atmosfera da sagra del "chi imbroglia chi" anche i sudatissimi contratti si rivelano dichiarazioni d’amore a tempo: per l’esattezza, il tempo necessario a verificare se le fatture inevase hanno raggiunto il punto di non ritorno.
Più che di nuovi account, copywriter, art director e grafici esecutivisti, le agenzie di comunicazione hanno urgente bisogno di reclutare bravi consulenti legali: e con questo ho detto tutto.

Squadernate le ben note miserie esterne, resterebbe molto da dire sui tanti panni sporchi della professione, sui risvolti meno nobili del day by day d’agenzia. Per carità, niente di scandaloso, niente che non si veda o non si viva in qualsiasi comunità aziendale, non di meno al rutilante circus della pubblicità e delle relazioni pubbliche calza a pennello questa fulminante definizione: “un barile di merda coperto da uno strato di miele spesso due dita”.
Non credo sia indispensabile spiegare chi viva o come si viva ai due livelli del barile.
Io sto dalla parte dei peones della comunicazione, dell’esercito invisibile, sottopagato e perennemente ricattabile degli stagisti, dei cocopro e dei galeotti della partita IVA imposta. Tuttavia la comunicazione ai tempi del colera è anche questo; questo è il piatto in cui mangio tutti i giorni, volere o volare, questa è la cinica, bastardissima femme fatale che mi ha sedotto e stregato facendomi trastullare con le parole.


lunedì, maggio 15, 2006

 

Vedi alla voce "Splittare"

La prima volta che sentite qualcuno pronunciare l'orrido neologismo "splittare" non state a domandarvi oziosamente perché Alessandro Manzoni si fosse rivolto a una lavanderia di Firenze per pulire i panni di Renzo e Lucia: alzatevi e scappate, altrimenti rifiutate sdegnosamente qualsiasi collaborazione.
Cosa significa "splittare"?
Detto in parole povere, splittare significa chiedere al/alla copy di brutalizzare la sua vena creativa e il prodotto/servizio di modo che, a fine tortura, siano disposti a collaborare e a confessare le peggiori nefandezze.
Splittare vuol dire, infatti, clonare il messaggio adattandolo a enne settori e pubblici specifici.
Sarò più chiaro. Pensate al prodotto più banale che conoscete.... non vi viene in mente nulla? Beh, allora vi do un "aiutino": lo scopino della toilette, sì, proprio quel "coso" di cui molti sembrano ignorare volutamente l'esistenza e le non troppo recondite finalità.
Vorrei proprio vedervi mentre vi barcamenate a illustrare con dovizia di esempi i meriti dello scopino applicati a settori come auto & moto, nautica, finanza e, infine, hobbistica & fai da te (evitate le risatine e i pensieri...impuri).
Se riuscite a spuntarla senza vergognarvi come volgari smerciatori di pornografia intellettuale, vi sarete guadagnati sul campo i galloni di Copy Climber e avrete il diritto di guardare dall'alto in basso le prodezze dell'Uomo Ragno.


venerdì, maggio 12, 2006

 

Un libero giudizio su Libero

Ormai i titoloni da osteria di Libero e i fondi al curaro di Vittorio Feltri suscitano in me solo una curiosità di tipo quasi antropologico: praticamente un'inezia rispetto ai conati che accompagnano la lettura de Il Giornale (La Padania è fuori lista: sarò anche reprobo, ma non vedo perché espiare in anticipo autoinfliggendomi torture disumane).

Confesso di provare ammirazione per Feltri (senior) dai tempi in cui dirigeva L'Europeo e di considerarlo tuttora un maestro non già per quel che scrive ma per come scrive.
A mio modesto avviso, Feltri è tra i pochi giornalisti italiani dotati di autentico carisma e di una prosa brillante, godibile, accompagnata dalla rara capacità di essere monotematico senza apparire monocorde.
Il suo sodale Renato Farina, ad esempio, non riesce a uscire dagli steccati di un livore malmostoso. Per quanto si sforzi, le sue invettive sprezzanti da inquisitore sono o troppo "di testa" o troppo "di pancia" e, in ogni caso, hanno il calore e la seduttività della verdura surgelata appena estratta dal freezer.
Feltri, al contrario, è un asso nell'intrattenere il lettore seminando astutamente esche che tengono desta la sua attenzione, nel fingersi distaccato e obiettivo quando distribuisce giudizi al vetriolo, nell'usare spudoratamente la sciabola facendola passare per un fioretto.

D'altra parte Feltri è una curiosa figura di arciconservatore: una furbissima canaglia che si diverte come un matto a essere la voce di ciò che una certa Italia reazionaria, timorata di Dio e fondamentalmente ipocrita pensa ma non ha le (beep!) di esternare in pubblico.


Dal punto di vista della comunicazione, Libero è una Case History interessante. Libero è l'antitesi dell'intellettualismo d'élite de Il Foglio. È confezionato per sguazzare negli eccessi, per estremizzare i toni del confronto politico, per essere il giornale nazionalpopolare che rispecchia i timori, il moralismo di facciata, le pulsioni anti-sistema e l'anticomunismo viscerale della piccola borghesia di destra.
Felti ha dimostrato furbizia e mestiere nel posizionare la sua creatura, nell'alimentare la mistificazione del giornale corsaro, fazioso ma non allineato, che scrive tutto quello che la concorrenza asservita ai partiti reputa troppo forte o sconveniente.

Chapeau, dunque, a Vittorio Feltri, vincitore (per ora) in un'ardua sfida dove illustri colleghi ed editori agguerriti hanno fallito miseramente. Però, Vittorio, da tuo antico estimatore una cosa te la devo proprio dire:
IMHO, Libero fa (beep!).


venerdì, maggio 05, 2006

 

Musica: consiglio per gli acquisti


Adoro lavorare con la musica, nel senso che quando scrivo ho costantemente iTunes aperto sulle mie playlist o su qualche radio in streaming.
Il consiglio che vi do è di andare ad ascoltare un "assaggino" gratuito (poco più di un minuto) di un brano che ho scoperto ascoltando www.smoothjazz.com e che - IMHO - nella sua semplicità è di una bellezza e di una potenza evocativa che trascendono le divisioni tra generi musicali e le preferenze personali.

Su questa pagina troverete lo spazio dedicato all'album Ten Thousand Miles di The Websters ft. Scott Nygaard.
Andate sugli audio samples in formato WinAmp/iTunes e cliccate sul brano che dà il titolo al CD. Si tratta di una malinconica ballata tradizionale della East Coast, interpretata a suo tempo anche da Joan Baez.
Se disponete di una connessione veloce e di un computer con casse audio decenti, ho idea che non vi pentirete dell'ascolto.
Fatemi sapere.


Questa è la traduzione del testo di Ten Thousand Miles:
Arrivederci, mio vero amore,
addio per un po’,
sto andando via ma tornerò
anche se dovessi fare diecimila miglia.

Diecimila miglia, è così tanta strada,
diecimila miglia o anche di più
e che le rocce fondano e il mare possa bruciare
se non dovessi più fare ritorno.

Oh, non vedi quella colomba solitaria
che posata sulla pianta d’edera
sta piangendo per la perdita del suo (amore)
così come sto facendo io per il mio.

Oh torna da me, mio vero amore,
e resta un po’ con me,
perché se ho conosciuto un amico in tutto questo mondo
quello sei stato tu.


lunedì, maggio 01, 2006

 

Non dite a mia madre che faccio il pubblicitario.."



...non diteglielo sia perché le comunicazioni con l'oltretomba sono ben lungi dall'essere state perfezionate, sia perché così eviterete di fare la figura dei parvenù, giacché è notorio che il 90% di quanti citano il titolo del libro-cult di Jacques Seguelà per darsi un tono ne ignora i contenuti ed è convinto che sia una raccolta di barzellette in simil-Totti.


Non starò a spargere sale sulle piaghe di una categoria - quella dei copywriter - che non ha neanche uno sputacchio di albo professionale benché abbia dato prova che all'occorrenza, quando "il morbo infuria e il pan ci manca", è capacissima di convincere inclita e volgo che la bandiera lavata col Dash sia ancor più bianca. Molto più prosaicamente, riporto il testo "illuminante" di una mail che ho recuperato ieri notte dall'archivio mentre ravanavo alla ricerca dell'indirizzo di un Mac user precocemente rintanatosi nel porto delle nebbie del riflusso nel privato.
Ciao,
scusa se mi permetto di chiedertelo, x caso hai Photoshop 7? Lo state già utilizzando? Potresti farmene una copia?


Il mittente aveva evidentemente equivocato sul significato della parola "copy" e partiva dal presupposto che la collocazione naturale di un copywriter fosse presso una copisteria, un service pre-stampa o uno stampatore.

Ma sì, continuiamo così, facciamoci del male: facciamoci chiamare fotocopy.


 

Mezzobusto in disgrazia ma referenziato offresi...



In questi giorni, le rare volte che mi capita d’essere davanti al televisore al momento della messa in onda dei TG RAI, mi domando con un po’ di ribrezzo che razza di arietta stia tirando nel ventre gonfio e teso del cavallo di Via Mazzini e nelle redazioni, non meno sature di veleni e gas metifici, sparse in quel di Saxa Rubra.
Ci vuole poco a immaginare che i paraculi di lungo corso - specie abituata ad allignare resistendo a qualsiasi bonifica - abbiano steso per tempo una rete di protezione andando a ripescare i numeri telefonici di esponenti del centrosinistra da agendine che tutti davano per gettate al rogo sulla pubblica piazza cinque anni fa, all’alba radiosa del governo Berlusconi.
Molti altri, più o meno spudoratamente, si affideranno ai miracoli della chirurgia estetica onde restaurare e rimettere a nuovo un determinato dettaglio anatomico in tempo utile per sfilare dietro il carro dei nuovi vincitori al soave canto di: "Noi siam le vergini dai candidi manti, sfondate di dietro, illibate davanti".


Ma che sarà di quella manovalanza di mezzibusti già d’azzurro vestiti che fino all’altroieri si pavoneggiava affermando di non far motto se prima non aveva consultato telefonicamente l’On. X o il Sen. Y ricevendone l’autorevole e benevolo imprimatur?
Beh, teoricamente un posto per loro è stato liberato al TG5 in cachemire ed elmetto confezionato da Carlo Rossella grazie alle provvidenziali dimissioni dell’ex Vicedirettore Vicario Lamberto Sposini, il quale per contro molto difficilmente potrà accasarsi nuovamente al TG1.

Probabile però che - abuso di Maalox a parte - agli sventurati e alle tapine in disgrazia non accadrà nulla di più disonorevole di “purgarsi l’anima” per qualche tempo in qualche confortevole area di parcheggio (a stipendio pieno) e di assistere, frustrati, al ritorno sull’etere degli illustri proscritti dell’ultimo lustro.
Nulla di equiparabile, insomma, all’editto bulgaro di Berlusconi né, tanto meno, alle gesta di quel buontempone di Basilio II, passato alla storia con l’eloquente appellativo di Bulgaroctono.


Per la cronaca, si narra che Basilio II, imperatore d’Oriente a cavallo del XI secolo, abbia usato una forma di comunicazione assai irrituale per far sapere allo Zar Samuele di Bulgaria cosa pensasse delle mire espansionistiche di quest’ultimo.
Non si limitò, infatti, a catturare l’esercito bulgaro al completo, ma rispedì al mittente gli infelici supersisti in una lunghissima colonna dove un soldato reso orbo era messo a guida di 10 compagni accecati.
Eh sì, erano altri tempi...


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