martedì, maggio 30, 2006

 

L'albero delle bistecche



baby wash C'era una volta L'Albero degli Zoccoli, film poetico e amaro di Ermanno Olmi sulla dura quotidianità delle comunità contadine nell'Italia rurale degli inizi del Novecento. Oggi c'è un altro e ben più bizzarro albero su cui meditare, da comunicatori e da genitori (attuali e futuri): l'albero delle bistecche.
Questo ircocervo rappresenta l'approdo probabile - un po' tragico e un po' beffardo - del processo di separazione tra l'uomo civile, benestante e urbanizzato, e la natura nei suoi aspetti non filtrati, normalizzati e sterilizzati da qualsiasi implicazione ansiogena.

Partiamo da un presupposto scontato: nessuno, a prescindere dall'intrattenere o meno contatti con vegetariani e vegani, ama sostare a riflettere sulla reale natura di ciò che sta mangiando e sentirsene in qualche misura responsabile.
Ci si focalizza sull'esperienza puramente sensoriale; le nozioni in nostro possesso ci consentono di aggiungere alle percezioni sensoriali una serie di informazioni su peso, freschezza, contenuto approssimativo di grassi, aminoacidi e vitamine.
Ciò non toglie che il nostro orizzonte cognitivo sempre più raramente si avventura oltre il prodotto, il semilavorato, surgelato, precotto, impacchettato o incellophanato.

Alle pareti dei reparti macelleria della Moderna Distribuzione non di rado campeggia il disegno in dimensioni reali di un manzo suddiviso nei diversi tagli disponibili.
Ebbene, questo bovino "didascalico" ha solo una vaga somiglianza con la nostra rappresentazione mentale del manzo in carne, ossa e corna: è un'entità astratta, simbolica, disincarnata, neutra. Ci fornisce esattamente quel tanto che ci interessa conoscere del prodotto che mangeremo.
Probabilmente non siamo più capaci di avere un contatto diretto con la natura di ciò che mangiamo senza l'interposizione dello schermo protettivo e provvidenzialmente opaco dei produttori. Rispetto all'Albero degli Zoccoli è venuto a mancare l'alone espiatorio della ritualità arcaica associata al sacrificio dell'animale, alla predazione della selvaggina e alla raccolta delle messi; però questo discorso antropologico ci porterebbe irrimediabilmente lontano dall'albero delle bistecche.

vegetables
Ciò che mi pare surreale, oggigiorno, è che nessuno si accorga della progressiva sostituzione della natura reale con la natura virtuale delle corsie dei supermercati, dei libri illustrati e dei programmi di divulgazione scientifica.
Oggi i bambini delle scuole elementari sanno distinguere al volo l'immagine di un Eryops da quella di un Cynognatus, un Triceratops Horribilis da uno Styracosaurus, così come dimostrano conoscenze sbalorditive sulle diverse specie di pesci che popolano il reef del Mar Rosso.
Eppure un bambino su cinque nella progredita Milano ignora come si presentino in natura i piselli o i fagioli.
Davanti all'immagine di un carciofo o di un cespo d'insalata la maggioranza dei nostri istruiti bambini tira ad indovinare: che sia una zucchina?

Sarebbe sommamente stupido gettare la croce sulle istuzioni scolastiche o sui pochi programmi educativi dell'altrimenti becero palinsesto televisivo evitando di metterci in discussione come adulti (educatori, genitori, nonni ecc.).
Se i bambini di città sono sempre più sradicati dal contatto con la natura, se stiamo preparando una generazione iperprotetta e potenzialmente ipocondriaca che si spaventa per una cavalletta o crede di poter socializzare con un ratto, che non riesce ad associare senza scompensi il tenero pulcino al pollo arrosto, la colpa è prima di tutto nostra.
Un giorno non lontano un angioletto candido e intelligentissimo ci chiederà
educatamente da quale albero si colgano le fettine e le cotolette alla milanese...

Comments:
Così mi piaci: rustico!
Fortuna che vengo dalla campagna.
E ho visto tirare il collo ai polli, e ho visto come si fanno in quarti, e ho colto le carote dall'orto e me le sono mangiate, e ho bevuto l'acqua dal pozzo, e ho visto nascere un puledro.
E so che gusto hanno tutte queste cose.
Se mai avrò dei figli spero di poterlo far sentire anche a loro.
 
Però devo confessare una cosa: le cavallette mi fanno proprio senso. Mi paralizzano. Non temo i topi di campagna, non urlo per gli scarafaggi né per le cimici, non ho paura dei ragni, ma le cavallette...orrore.
 
Beh, nessuno è perfetto:)
Ex: da bambino quasi cadevo da un olivo x la sorpresa di trovarmi sulla spalla un grosso esemplare maschio di "Cervo Volante" e confesso di non aver mai gradito le estemporanee visite notturne di qualche pipistrello rincitrullito. Ultimo aneddotto rustico: una notte stavo x tirare una scarpata a mio fratello pensando che russasse in modo inverecondo. Invece il colpevole era un barbagianni che, posato sul poggiolo, emetteva il suo verso di caccia. Ogni volta che lo risento a Milano (e c'è abbondanza anche di civette) mi scappa un sorriso.
 
Tornando sull'argomento alimentare, viene da chiedersi perché certa gente sia disgustata dall'idea del sushi perché è pesce crudo marinato, mentre non si fa problemi a mangiare palate di ostriche, arselle e cozze crude, ossia pesce vivo.
Certo, ci sono limiti difficilmente valicabili.
Ad esempio, non me la sento di offrire a ospiti "non sardomangianti" alcune specialità come su Calligeddu (un formaggio cremoso e molto piccante prodotto e confezionato all'interno dello stomaco di un agnellino da latte), il sinistramente noto Casu Marzu o su Casu Matzamoddi, dal fetore talmente pestilenziale che "spegne" x un bel pezzo i recettori olfattivi ;-)
 
...confesso d'esser di bocca buona ma le tipicità sarde elencate le assaggio solo se prima mi bendi e non mi dici cosa stai per farmi mangiare. ;-)
 
Correva l'anno 1990 circa quando io, la mia migliore amica e suo fratello stavamo giocando. Fingevamo di essere sbarcati su un'isola deserta. Entrò mia madre che vide il fratello della mia amica era salito sul pianoforte. "Cosa fai lì?" gli chiese tutto sommato tranquilla.
"Raccolgo il formaggio sugli alberi."
Ed ecco qua.
 
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