domenica, dicembre 13, 2020

 

L'eredità di Trump in politica estera



Prima o poi qualcuno scriverà un’articolessa o un saggio tracciando un bilancio ponderato della politica estera statunitense durante la presidenza di Donald J. Trump.

Della gestione della politica estera da parte dell’amministrazione Obama si è scritto che fu disastrosa, incoerente, inefficace e che il Nobel per la Pace fu del tutto immeritato: c’è sicuramente del vero in queste critiche.

Si può, però, dar credito a chi di Trump fa il panegirico descrivendolo come il primo presidente in oltre un secolo a non essere entrato in guerra, il brillante stratega che ha rivitalizzato la politica estera USA con il suo approccio volitivo, decisionista e poco convenzionale, il patriota e faro dell’Occidente che ha restaurato la grandeur a stelle-e-strisce fuori dei confini americani?

Quasi a ridosso dei titoli di coda del suo controverso mandato, Trump ha messo a segno l’ennesimo colpo diplomatico nel filone della cosiddetta “Pace di Abramo” convincendo il Marocco a normalizzare i rapporti diplomatici con Israele in cambio del riconoscimento USA dell’annessione marocchina dell’ex Sahara Spagnolo.

Ed è proprio questa diplomazia mercantilista e del baratto, pilastro della politica estera di Trump insieme alla tattica "del bastone e della carota” nelle trattative commerciali, che dovrebbe essere messa sotto la lente d’ingrandimento e analizzata nei singoli dossier separando le poste in attivo e le perdite.

Dall'Ucraina al Sudan passando per Iraq, Siria, Israele, Yemen, EAU, Arabia Saudita e Somalia, senza dimenticare Afghanistan, Iran, Venezuela, Messico, Russia, Turchia, Libia, le nazioni africane della fascia subsahariana e le relazioni tutt'altro che facili con i partner NATO qual è e quanto potrà risultare ingombrante l'eredità di Donnie?
Si tratta di un lavoro che esula dalle mie scarse competenze e risorse, per cui posso unicamente sperare di poter beneficiare da lettore dell'acume di analisti di spessore.

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