domenica, febbraio 25, 2018
Spezzeremo lo smalto delle unghie alla Libia
Se non avessi visto e ascoltato lo spezzone video non ci crederei: Simone Di Stefano leader di CasaPound Italia espone durante un talk show la soluzione definitiva al problema dell'immigrazione, così semplice da far sembrare arzigogolato l'Uovo di Colombo.
La ricetta è di una linearità sconcertante, quasi imbarazzante: ci si accorda con alcune fazioni libiche e si manda l'esercito italiano a ripulire da banditi e trafficanti un pezzo di Libia, creando di fatto un nuovo stato.
In questa fetta di Libia "liberata" si inizieranno a costruire case, strade, ponti e acquedotti, in modo che vi si possano trasferire, a mezzo di un grande ponte aereo e navale, gli immigrati allettati da una reale opportunità di lavoro e di costruirsi un futuro.
Inutile dire che per l'alto esponente di CasaPound il realismo è un optional e concetti come diritto internazionale, sovranità, post/neo-colonialismo e deportazione sono quisquilie, fumisterie, cavilli di chi preferisce che la Libia rimanga nell'anarchia e alla mercé del racket degli scafisti.
Solo personaggi della levatura di Di Stefano possono immaginare che un'avventura militare in Libia possa essere una sorta di tranquilla scampagnata o un'operazione chirurgica rapida e indolore e che i libici accetteranno di buon grado la creazione di una nuova colonia italiana sul loro territorio.
Solo dei laureati in economia del quartierino possono pensare che un piano colossale di lavori pubblici sia finanziabile con i soldi del Monopoly.
Solo dei fini umoristi come i casapoundiani possono restare seri mentre confermano ciò che sosteneva Ennio Flaiano, e cioè che nel nostro paese la linea più breve tra due punti è l'arabesco, ma tant'è: questo è ciò che passa il convento dell'estrema destra italiana.
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sabato, gennaio 16, 2016
L'Africa e le nostre moquette
Non c'è proprio pace per l'Africa.
Non contenti di essere stati burattinai e artefici del caos totale in cui versa la Libia, i cari cugini transalpini sembrano impegnati da giorni nelle prove tecniche di un secondo round nella ex Jamāhīriyya.
A questo punto è assai probabile - se non già stabilito - che saremo coinvolti nelle operazioni militari, benché sia chiaro che debellare l'ISIS e ristabilire una parvenza di stato di diritto siano obiettivi secondari rispetto agli interessi geopolitici ed economici francesi nell'Africa sub-sahariana, nei quali ovviamente non abbiamo né avremo mai alcuna voce in capitolo.
Nel frattempo altre mani provvedono a spargere sangue e terrore in Burkina Faso - guarda caso ex colonia francese - e si preferisce distogliere lo sguardo dalla situazione in Burundi, Nigeria, Mali e Repubblica Centroafricana, giusto per citare qualche esempio di crisi dimenticate.
Sarebbe a dire che l'intero continente africano può bruciare e grondare sangue finché le materie prime e le riserve di valuta sono sotto controllo: l'importante è che non ecceda nell'esportare disperati da sistemare e che l'emorragia non arrivi a lordare le nostre preziose moquette.
(E)
Africa and our carpeting
There is no peace for Africa.
Non satisfied of being the puppeteers of the chaos prevailing in Libya, our dear French cousins seem busy in tests aimed for a second round in the land previously known as Jamāhīriyya.
At this point it's highly likely - if not already established - that we will be involved in some military operations, although it’s clear that eradicating the ISIS and restore some semblance of the rule of law are secondary objectives compared to the French geopolitical and economic interests in sub-Saharan Africa, where obviously we have not nor will ever have any say.
Meanwhile other hands spread blood and terror in Burkina Faso - coincidentally a former French colony - and we prefer to look away from the situation in Burundi, Nigeria, Mali and the Central African Republic, just to name a few examples of forgotten crises.
That is to say that the entire African continent can burn and dripping blood as long as the raw materials and currency reserves are under control. The most important things for us are basically two:
a) Africa has not to exceed in exporting desperate men to be placed;
b) the bleeding does not come to stain our precious carpeting.
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