martedì, gennaio 14, 2014
Una lezione sulle cose importanti della vita
Dispotico, scostante, collerico, misantropo, accentratore e spietato, oppure carismatico, trascinante, straordinario motivatore, geniale, visionario, guru: sulla figura di Steve Jobs abbondano le etichette più disparate.
Forse Jobs è stato tutte queste cose insieme, o forse quest'uomo controverso e fallibile, ma dotato di una volontà erculea e di un'intelligenza non comune è stato soprattutto un sagace narratore, capace di circondare l'azienda da lui fondata di un'aura quasi mistica, da autentica leggenda contemporanea.
In ogni caso, nel suo percorso fatto di passaggi dalla polvere agli altari, Steve Jobs aveva appreso parecchie cose su quella strana e inafferrabile vicenda chiamata vita, come dimostra questo estratto di un'intervista rilasciata nel 1995, quando era a capo di NeXT.
(traduzione)
Quando cresci, tendi a prendere per vero che il mondo sia così com'è e che la tua vita sia solo vivere nel mondo, cercare di non sbattere troppo spesso e troppo forte contro il muro, avere una bella vita familiare, divertirti, mettere da parte un po' di soldi.
Questa, però, è una vita molto limitata. La vita, invece, può essere qualcosa di molto più grande una volta che scopri un fatto molto semplice, e cioè che tutto ciò che c’è intorno a te, e che tu chiami vita, è stata fatta da persone che non erano più intelligenti di te. Tu puoi cambiare la vita, puoi influire su di essa, puoi costruire cose che altre persone possono utilizzare.
E nel momento stesso che lo capisci, puoi smuovere la vita ed effettivamente qualcosa succede; sai che se premi da una parte qualcosa uscirà fuori dall'altra, qualcosa che puoi cambiare, che puoi plasmare.
Questa è forse la cosa più importante. Si tratta di scrollarti di dosso questa nozione erronea che la vita è lì e stai solo andando a viverla, invece di abbracciarla, modificarla, migliorarla, lasciare la tua impronta su di essa.
Penso che sia molto importante e, quale che sia il modo in cui lo impari, una volta che l'hai imparato tu vorrai cambiare la vita e renderla migliore, perché per tanti versi è una specie di grosso casino.
E una volta che hai imparato questo, non sarai mai più lo stesso.
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domenica, dicembre 01, 2013
Avanzi di stagione
La decadenza
Nei giorni scorsi, l'epilogo della procedura di decadenza da senatore della Repubblica nei confronti di Silvio Berlusconi ha fatto parlare alcuni di ritorno del Paese alla normalità. Pur avendo sempre visto il Cavaliere di Arcore come il fumo negli occhi e considerando più che corretta l'applicazione della Legge Severino, non mi sento di sposare interpretazioni tanto ottimistiche.
Immaginate il raccontino che segue, volutamente fuori dal tempo, recitato sul palcoscenico da un attore nei panni di un personaggio popolaresco.
Conoscevo una donna - gran bella donna anche se non più nel fiore degli anni - che da un giorno all’altro smise di uscire di casa se non per fare la spesa, di fretta, alla bottega più vicina.
Sapete, la poverina si vergognava assai perché aveva un problema: sulla natica destra le era spuntato un gran bubbone che le doleva giorno e notte, impedendole di star seduta, di dormire e rendendole penose persino le funzioni corporali.
Il bubbone diventava più grosso di giorno in giorno, insensibile alle pomate e alle medicazioni che la poverina provava ad applicare. Una volta tentò pure d’inciderlo per farlo sgonfiare, ma appena lo toccò con la punta dell’ago il dolore fu tale da farla stramazzare a terra priva di sensi.
Allora lei cercò di scendere a patti, ma il bubbone - che era d’indole maligna e provava gusto a comandare - prima pretese che la natica non fosse mai più toccata né lavata, poi che la donna restasse stesa sul letto a pancia in giù con le natiche scoperte affinché lui potesse sbrigare certi suoi affari con comodo e alla luce del giorno. Ogni nuova richiesta che le giungeva attraverso certe venuzze del sedere era giustificata ricordandole, a mo' di avvertimento, che dal benessere del bubbone dipendeva quello di lei.
Il maledetto aveva pure figliato una corona fitta di pustole che, rese spavalde dalla vicinanza e dal potere di cotanto padre, davano il tormento all’infelice quando il loro signore riposava o si sollazzava nel pus.
Passarono così vent’anni, finché un giorno la poveretta incespicò tornando dalla bottega e si ruppe malamente una gamba. Il dottore che la visitò venne a sapere della triste storia e, da uomo pratico e di scienza, non ebbe esitazioni: fatta addormentare la donna con l’etere, nettò la natica dalle croste e dallo sporco, disinfettò per bene e con il bisturi asportò la zona infetta, scavando finché la carne viva non apparve totalmente sana.
Trascorsero i lunghi giorni della convalescenza e quando lei fu nuovamente in grado di camminare, poté fare i suoi bisogni senza fastidi, come tutti i cristiani di questo mondo. Passando davanti allo specchio, finalmente sorrise soddisfatta e felice. Era la prima volta che le capitava di sorridere da quando era iniziato il suo tormento. Fu allora che con sgomento si accorse che i denti, trascurati a causa del bubbone, erano diventati guasti e tremolanti.
La morale della storia, amici miei, è che questa è la vera decadenza: una nazione che si è piegata all’immoralità fatta sistema non se ne libera facilmente e a poco prezzo.
Vecchi amici che tornano
Circa 2 settimana fa, proprio nel bel mezzo di un picco di lavoro, la batteria e il caricabatteria del mio Macbook hanno dato forfait. Speravo di tirare avanti almeno fino all’arrivo della tredicesima per acquistare i pezzi di ricambio: è andata diversamente.
Dato che l’IT aziendale aveva libero solo uno sfiatato notebook con Win XP reduce da troppi passaggi di mano, ho rimesso definitivamente in pista l’iMac usato a casa fino al 2009, con 14 anni di servizio sul gobbo ma ancora in ordine di battaglia.
Poco male per i video su Youtube in modalità “fermo-immagine” perché si sopravvive anche senza. I problemi più seccanti sono altrove. Ancora oggi finisco invischiato nella melassa (termine di mio conio) perché dimentico che tenere aperte in contemporanea 3 o 4 applicazioni manda in apnea la RAM, che chiama in suo soccorso il disco rigido.
Per non parlare di quando mi tocca aprire il pachidermico OpenOffice 3, che è di una lentezza esasperante sull’iMac, per “passare in lavanderia” i testi prodotti con le vecchie versioni di TextEdit, Mariner Write o Bean. Questi ultimi sarebbero perfetti, leggeri e scattanti come sono, non fosse per un difetto congenito di cui non riesco a venire a capo: quando passo i file ai colleghi, MS Word attiva automaticamente il dizionario INGLESE per il controllo ortografico, il ché vuol dire che sui loro schermi il 90% del testo appare segnato come errato o non riconosciuto.
Pian piano, però, sto riappropriandomi di abitudini dimenticate e richiamo dal passato vecchi compagni di strada. Gli ultimi arrivi in ordine di tempo sono Cog, uno smilzo lettore mp3 che fa le veci del massiccio iTunes, e Site Studio, che nella mia lontana stagione di web-designer amatoriale e creatore di contenuti mi ha dato più di una mano d’aiuto.
Ho messo in funzione la mia piccola macchina del tempo e, finché l’iMac regge, è un passatempo divertente tra un lavoro e l’altro.
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domenica, novembre 03, 2013
Apple e gli appunti di uno scriba
E allora perché storcere il naso e fare il verso alla principessa sul pisello?
Perché, da semplice utente, ho l'impressione che qualcosa non funzioni come deve nel nuovo corso intrapreso da Apple dal lancio di Lion (Mac OSX 10.7) in poi, specialmente nello sviluppo delle applicazioni fornite a corredo del sistema operativo. Negli ultimi 2 o 3 anni, questi programmi che rendono i Mac immediatamente operativi appena tolti dall'imballo hanno avuto aggiornamenti che hanno aggiunto da una parte e tolto dall'altra, e non sempre il bilancio appare positivo.
Faccio l'esempio di TextEdit, lo snello editore di testo che, a dispetto di un aspetto “povero”, fornisce tutto il necessario per la scrittura insieme a raffinate funzionalità di controllo tipografico disponibili anche su wordprocessor costosi e blasonati, ma a patto di sguinzagliare tra i menù un cane da tartufo.
Con il successivo Mountain Lion, però, la revisione è andata a "semplificare" una delle funzionalità più comode, peraltro standard su molti altri text editor: la possibilità di regolare la visualizzazione del testo, ingrandendola o rimpicciolendola in percentuale.
Ora le possibilità sono rimaste 2: testo a grandezza standard (100%), minuscolo su un monitor ad alta risoluzione, oppure ingrandito con un fattore vicino a 300x che rende complicato visualizzare le righe di testo da un capo all’altro anche allargando al massimo la finestra di lavoro su uno schermo da 20,5 pollici.
Si direbbe che gli sviluppatori abbiano pensato unicamente a un uso non professionale su display piccoli e a risoluzione inferiore o in modalità a schermo pieno. D’altronde TextEdit è sempre stato un umile comprimario da chorus line, mai una “prima scelta”, e sia Apple sia altri sviluppatori offrono vagonate di alternative ben più attraenti - gratuite o a pagamento - senza andare a scomodare il mammasantissima Microsoft Word.
Ed è proprio tra i candidati a essere un’alternativa a Word che Apple ha “toppato” nuovamente. Mi riferisco a Pages, un’applicazione che per anni Apple ha venduto - a prezzo non modico - nel pacchetto iWork.
Pages è nato come originale ibrido tra un wordprocessor e un programma di impaginazione. Questa impostazione consente una maggiore libertà creativa nella manipolazione di testo, colori e immagini rispetto al rudimentale supporto offerto dai wordprocessor, ma senza la complessità e il livello minuto di dettaglio di programmi professionali come Adobe Indesign.
L’ultimissima versione di Pages, acquistabile su Apple Store o fornita insieme a sistema operativo Mavericks (Mac OSX 10.9) è sicuramente più attraente dal punto di vista del layout, nonché molto più simile - nei pregi come nei difetti - a un normale wordprocessor.
Purtroppo, comode scorciatoie e diverse funzionalità creative sono state sacrificate alla “pulizia” e alla "semplificazione" dell’applicazione, mentre vecchi difetti sono rimasti nascosti sotto lo zerbino.
Pages, ad esempio, ha sempre avuto tra i suoi talloni di Achille l'imperfetta esportazione dei documenti in formato MS Word: un difetto che Apple non si è mai curata di risolvere né nello specifico né con un supporto di sistema ben fatto.
Nelle vecchie versioni di Pages, i file convertiti in Word celavano errori di codice che si manifestavano solo al momento della stampa, sballando i parametri trasmessi alla stampante.
Il nuovo Pages supporta come formato di esportazione Word di default il docx di Microsoft. A parte i difetti specifici di questo formato, nelle prove che ho effettuato a casa i file così prodotti hanno mandato sistematicamente in crash le applicazioni basate su OpenOffice e non sono stati aperti da nessun altro programma di testo. Per chi, come il sottoscritto, deve condividere documenti con colleghi e clienti che usano Word sui loro PC non è esattamente un buon biglietto da visita.
Parlando in generale, la mia impressione è che la strategia di “convergenza parallela” tra Mac OS e iOS (il sistema operativo Apple per iPhone e iPad), pur offrendo benefici e spunti innovativi, vada ricalibrata. La semplificazione, la snellezza, il less is more che sui dispositivi palmari sono virtù capitali, trapiantati su un notebook o su un desktop rischiano di diventare un difetto perché diverse sono le esigenze da soddisfare.
È vero che con un iPad si può lavorare, anche a buon livello, e che con la “nuvola” - o iCloud che dir si voglia - si deve essere in grado di accedere ovunque ai propri file, però chi usa un portatile o un computer desktop per lavoro ha bisogno, prima di tutto, di contare su funzionalità magari meno eleganti da vedere, ma complete.
Etichette: geekcopy, Mac, tecnofollie
lunedì, ottobre 10, 2011
Mac vecchio fa buon brodo
Una segnalazione a beneficio di quanti utilizzano gli ancora arzilli Mac con processori PPC delle "classi" G3, G4 e G5, virtualmente tagliati fuori sia dalle novità software sia dagli aggiornamenti alle applicazioni esistenti (di Apple e non solo).
La buona notizia è che, grazie a TenFourFox, possono tenere i loro Mac al passo con lo sviluppo del web browser Firefox, malgrado Mozilla Foundation abbia dismesso il supporto alla piattaforma PPC in coincidenza con lo sviluppo di Firefox 4.
Arrivato in questi giorni alla release 7 - equivalente a Firefox 7 - TenFourFox è disponibile in versioni specifiche per i processori G3, G4 e G5. Requisito minimo di sistema è MacOS X 10.3.9 (Panther).
TenFourFox affianca iCab nel fornire ai Mac PPC un browser aggiornato all'evoluzione del web. Nel caso di iCab, che utilizza lo stesso "motore" di Safari e Chrome, va detto che esistono problemi di non poco conto nel far convivere le modifiche apportate da Apple al WebKit e la combinazione processore e OS datati.
Detto per inciso, mesi addietro sono venuto a conoscenza dell'esistenza di un nuovo progetto per il porting di Firefox su MacOS (il sistema operativo precedente a MacOS X, dismesso da Apple nel 2002). Onestamente, però, non mi sono tenuto al corrente sugli sviluppi della cosa.
giovedì, luglio 21, 2011
storie minute
Punti di vista
"Due sono le motivazioni alla radice di tutte le nostre azioni: soddisfare i desideri e sfuggire alla sofferenza.
I mezzi che utilizziamo per raggiungere lo scopo - se costruttivi o distruttivi, aperti al prossimo o meschini, saggi, furbi, folli o criminali - dipendono dall’educazione che abbiamo ricevuto, dalle esperienze che abbiamo fatto e dal livello di consapevolezza delle nostre azioni."
(dal web)
Sembrano le parole di un Marco Aurelio redivivo e digitalizzato. Alla luce di questo punto di vista assumono una parvenza di senso molti nostri comportamenti spiccioli in apparenza insulsi o incoerenti. Però in base a questi presupposti sparirebbero le categorie di bene e male anche su larga scala, nella storia dell'umanità, sostituite da metodi intelligenti e metodi stupidi, violenti e sanguinari di realizzare desideri o di evitare il dolore. Mah!
Spiccioli
La manovra di assestamento passerà come un tosaerba su quel poco di magro benessere e sicurezze che resta dopo tre anni di crisi, rivolterà le tasche di dipendenti, pensionati, famiglie, piccoli risparmiatori, nuclei familiari con persone a carico non autosufficienti, lavoratori che sono stati convinti a a destinare parte del magro salario e il TFR a una pensione integrativa.
Poi qualcuno si accorgerà che il paese è stremato, che gli studi dentistici chiudono per mancanza di clienti, che il turismo interno e verso l'estero è tornato a essere un fenomeno elitario, che le spese alimentari sono ulteriormente diminuite, che autovetture, televisori, frigoriferi, lavatrici e lavastoviglie non trovano acquirenti, che i contadini preferiscono far marcire la frutta sugli alberi, che le buste contenenti bossoli recapitate ad amministratori locali e ai medici delle Commissioni INPS non sono più fatti isolati.
Ma tanto a loro cosa importa? Hanno vinto da tempo il loro biglietto della lotteria, il loro posto al sole.
Ci sarà chi dagli scranni del parlamento leverà il dito contro la deriva giustizialista e dell'antipolitica e qualche alto prelato dichiarerà che l'indignazione non è costruttiva e non è neppure un sentimento cristiano… .
Mi chiedo solo come mai, dato che c'erano, non abbiano pensato di riesumare anche la tassa sul macinato e l'oro alla patria.
Lion
Ho fatto una scelta spericolata, molto lontana dalle mie abitudini: installare Mac OSX 10.7 Lion il giorno stesso in cui Apple l'ha reso disponibile.
Essere impulsivi, però, è quasi sempre una mossa poco giudiziosa, ancor più se di mezzo c'è il sistema operativo.
Tuttavia scaricare 3,79 Gigabyte è una specie di terno al lotto: se incappi in un momento in cui i server sono intasati di richieste e se il tuo ISP decide di fare manutenzione, com'è successo ieri all'ora di cena, arrivare in fondo diventa un esercizio di santissima pazienza.
Diciamo che mi ci sono voluti 15 minuti per scaricare gli ultimi aggiornamenti propedeutici, circa 50 minuti per il download e mezzora (abbondante) per l'installazione di Lion.
Riavvio ed eccomi finalmente al cospetto del Re Leone.
Sto ancora ringraziando che mi sia stata risparmiata l'introduzione con animazioni, luci e squilli di fanfare quando compare la scrivania del Mac, apparentemente uguale a quella solita. In realtà, Lion ammicca da qualche icona nuova di zecca nel dock e dal nuovo look delle finestre.
Inizio a vedere gli effetti di Lion dal fatto che le icone delle applicazioni più datate – da Photoshop CS ad AppleWorks 6 – sono sbarrate. Apple ha definitivamente cancellato le istruzioni che consentivano al software scritto per la dismessa piattaforma PPC di girare ancora. Mestizia.
Le grane cominciano con il comportamento del browser Safari, che proprio non risponde alle chiamate, e con la suite NeoOffice che non può funzionare senza il supporto per Java (non fornito con Lion).
Il primo tentativo di scaricare il supporto Java fallisce perché Fastweb toglie la connessione; il secondo si inchioda irrimediabilmente a un minuto dalla conclusione. Dopodiché Aggiornamento Software inizia a dare i numeri, seguito a ruota dall'applicazione di assistenza all'installazione.
Preoccupato e incattivito, inizio a recitare litane di invettive e a pensare a una exit strategy per tornare sui miei passi; comunque decido di fare prima un tentativo riavviando il Mac. Miracolo! Lion improvvisamente si mostra docile e tutto ciò che sembrava corrotto o non funzionate si rimette in carreggiata.
In tutto, son tornato a riveder le stelle, sfinito, che era passata mezzanotte e mezzo.
Morale della favola: con i felini informatici di grossa taglia è meglio usare prudenza e, in ogni caso, si fa meno fatica ad andare ad ammirare quelli in carne e ossa in uno zoo safari.
domenica, marzo 27, 2011
Ragionevoli dubbi e confortanti certezze
Nuke Sì, Nuke No, Nuke un caz
Istintivamente sarei portato a stare dalla parte di chi dice “NO grazie”, tuttavia ho seri dubbi sulla sostenibilità economica e ambientale a lungo termine del mix con cui oggi produciamo l’energia che ci occorre: 77,5% da combustibili fossili (carbone, petrolio e gas naturale) - 22,5% da fonti rinnovabili (idroelettrico, eolico, fotovoltaico, biomasse, geotermico ecc).
Non credo di essere l’unico a essere confuso, perché intorno al nucleare c’è da tempo un balletto diabolico di pareri discordanti. Come se non bastassero le schiere di sedicenti esperti che non perdono occasione di salire in cattedra per pontificare a vanvera, a mio giudizio è in atto una deliberata opera di disinformazione concepita per celare robusti interessi di parte.
Non ho verità in tasca: mi limito a farmi alcune domande elementari e a cercare qualche risposta "a lume di naso".
- tornare al nucleare è utile al Paese?
- il nucleare è una soluzione conveniente?
- che garanzie di sicurezza possiamo aspettarci dalle erigende centrali termonucleari italiane, sempre che si facciano?
Sul primo e il secondo punto, a quel che posso capire, le 8 centrali previste dal piano del governo - di cui la prima entrerebbe a regime nel 2020 - avrebbero un impatto importante, ma non risolutivo rispetto alla nostra dipendenza dai combustibili fossili.
Si colmerebbe il gap che ci porta a comprare energia da Francia e Svizzera nei momenti di picco (di notte siamo noi a vendere energia ai cugini transalpini) e dovremmo ottenere un risparmio di circa il 20% sui costi di generazione dell’energia: una sforbiciata consistente sulla bolletta energetica nazionale, che però non è detto che sia trasferita nelle nostre bollette.
A fronte di ciò dobbiamo mettere i 40 miliardi di euro stimati per la realizzazione delle centrali nucleari a tecnologia francese ERP (nucleare di terza generazione); un buon affare per la Francia, che ci venderebbe non solo la tecnologia, ma con ogni probabilità anche il combustibile “preparato” per alimentare le centrali.
Un ulteriore punto cruciale non mi è chiaro: l’uranite e la carnotite da cui si ricava l’uranio sono minerali e, come tali, fonti non rinnovabili.
Se è vero che le riserve mondiali note sono “ragionevolmente” stimate dalla IAEA (International Atomic Energy Agency) in 4,7 milioni tonnellate e che il consumo annuo dei reattori nucleari in funzione è di circa 67.000 tonnellate, l’uranio resterà disponibile agli attuali prezzi di mercato fino al 2060/2070 a patto che i consumi restino stabili. Dopo di che l’uranio è destinato a diventare sempre più raro e costoso da estrarre (oggi siamo sotto la soglia dei 130 dollari al kg), di conseguenza sempre meno competitivo.
Facendo due conti, abbiamo davanti la prospettiva di investire 40 miliardi di Euro di denaro pubblico per realizzare un parco di 8 centrali atomiche che, se non ci saranno ritardi in corso d’opera, forniranno il loro contributo di 13.000 MWe non prima del 2040, ma che per assurdo rischiano di restare a corto di combustibile o di diventare antieconomiche appena qualche decennio dopo l’inaugurazione.
I nuclearisti parlano di bassa incidenza dell’uranio nel costo di generazione dell’energia e di prezzo stabile del kwh anche a fronte di grandi oscillazioni nelle quotazioni della materia prima: sarà anche vero, ma qualcosa non mi torna.
Sicurezza
Mettiamo pure che l’attuale governo, apertamente favorevole al nucleare, riesca a imporre la localizzazione delle centrali nucleari e dei siti per lo stoccaggio in sicurezza delle scorie, magari militarizzando il tutto a muso duro com’è successo con le discariche in Campania durante l’emergenza rifiuti. Resta, però, scoperta la questione del livello intrinseco di sicurezza delle erigende centrali.
Chi ci garantisce che grandi opere così evidentemente mission critical saranno costruite a prova di criminose truffe sui capitolati e che i collaudi saranno effettuati con la dovuta competenza, severità e trasparenza, possibilmente da parte di autorevoli enti internazionali terzi? A essere sincero, su questo punto non ho motivo di fidarmi “a scatola chiusa” delle promesse e delle rassicurazioni della lobby pro-nucleare.
Ho lasciato per ultimo un ulteriore quesito irrisolto: stante che le fonti fossili costano sia in termini economici sia di impatto ambientale e che la crescita delle fonti rinnovabili difficilmente potrà andare a coprire oltre il 30% della domanda di energia, possiamo permetterci di aspettare che una nuova tecnologia ci metta a disposizione una fonte di energia “pulita” a buon mercato? Possiamo rinunciare definitivamente all’atomo o invece dovremmo accettarlo, pur sapendo che è una scelta rischiosa, costosa e (forse) poco lungimirante?
Buon compleanno mr X
Il 24 marzo di 10 anni fa, Steve Jobs presentava al pubblico la prima versione definitiva di Mac OS X, nome in codice 10.0 ”Cheetah” (ghepardo). In quell’occasione il carismatico guru di Apple invitava tutti a seguirlo e a imparare a “nuotare nell’Aqua”, alludendo al nome dell’interfaccia grafica introdotta con il nuovo sistema operativo dei computer con la Mela Mordicchiata.
In questi 10 anni Mac OS X, giunto recentemente alla versione 10.6.7 “Snow Leopard”, ha cambiato più volte look e si è enormemente arricchito di funzioni. Tuttavia ieri, guardando diverse immagini della schermata dei Mac in puro stile Aqua, con le sue inconfondibil righine grigie, le trasparenze marcate dei menù a tendina e le cornici delle applicazioni che simulavano l’alluminio spazzolato (brushed alloy), ho quasi rimpianto quella grafica dalla leggerezza fresca, quasi giocosa, nel senso che talvolta mi farebbe piacere evadere dal grigio serioso e un po’ “plasticoso” che la fa da padrone nell’attuale interfaccia del sistema operativo e delle applicazioni.
Mi è parso giusto mettere tre immagini che “raccontano” l’evoluzione di Mac OS dal 1997 (System 7.6) al 2011 (Mac OS 10.6.7), passando per il 2001 (Mac OS 10.0).
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domenica, giugno 20, 2010
High density resume 06.20.2010
Fantastici quegli anni, ma anche no
Un articolo di Lux, al secolo il giornalista Lucio Bragagnolo, mi ha fatto riflettere, sorridendo, sulla mia appartenenza a quella schiera di over 40/nearby 50 che cercano di tenersi al passo con le tecnologie, ma che con la testa sono rimasti fermi a cavallo tra gli anni '80 e i ’90: il paleozoico in termini informatici.

Fatta questa precisazione, torno a quel mondo informatico che oggi appare così lontano e astruso, ma che su di me pesa in termini di abitudini che non riesco proprio a scrollarmi di dosso. A chi non c’è passato per esperienza richiedo un certo sforzo d’immaginazione, ma tant’è.
Ho appena scaricato dal web iTunes 9.2: poco meno di 500 MB per un’unica applicazione, e avverto una sensazione di vuoto allo stomaco pensando allo spazio abominevole che occupa.
Non c’è niente da fare: immancabili, i fantasmi degli hard disk da 40 o 250 MB con cui ho lavorato per anni appaiono e mi fissano corrucciati come fossi un folle sperperatore di spazio prima di farmi ciao ciao con la manina. Non conta neppure il fatto che oggi anche una chiavetta USB da quattro soldi offre 1 GB di spazio.
Diagnosi: claustrofobia cronica da hard disk sottodimensionato.
Altri riflessi condizionati?

Con i 16 o 32 MB di costosissima RAM - di cui una parte assorbita dal sistema operativo - disponibili nei computer dei primi anni '90, era obbligatorio scegliere a cosa destinare la memoria per poter sperare di lavorare su Photoshop piuttosto che su Word o Filemaker senza trovarsi a dover riavviare il computer dopo mezzora al massimo.
O ancora l’incavolatura quando cerco un file archiviato anni fa e scopro che non lo posso più aprire perché l’avevo compresso con uno dei tanti programmini che servivano a risparmiare spazio sul disco rigido e che comunque, anche a recuperarli fortunosamente, oggi non girerebbero sul computer a disposizione.
Per non parlare di quando masterizzo un CD o un DVD. In automatico, verifico la velocità di masterizzazione, chiudo tutte le finestre e le applicazioni aperte e sto fermo a guardare finché l’operazione non è terminata; il tutto pur sapendo che l’epoca dei primi masterizzatori SCSI (scasi) esterni è finita da un pezzo, e con essa il dover trattenere il respiro e incrociare le dita temendo il fatale errore di scrittura/lettura (overburning).
Ripensando a queste e ad altre situazioni, mi passa d'incanto qualsiasi nostalgia per il passato, YouTube o non YouTube.
È un mondo difficile

Questa è la finanza, bellezza
Restando in tema, in questi giorni la cronaca ha riportato alla ribalta l’infatuazione per la finanza “creativa” che aveva contagiato amministrazioni regionali e comunali anni fa .
Andiamo con ordine. Tra il 2002 e il 2006, con il beneplacito del governo allora in carica, regioni come Puglia e Lombardia, ma anche diverse amministrazioni comunali si rivolsero a broker e a prestigiosi istituti di credito internazionali per trovare in Borsa le risorse finanziarie per eseguire opere pubbliche di vario genere.
In altre parole, le amministrazioni pubbliche erano autorizzate a rivolgersi al mercato finanziario per ottenere prestiti o emettere obbligazioni poliennali (bond) da collocare presso i risparmiatori italiani ed esteri.

E qui viene il bello, perché questi fondi di ammortamento vennero ceduti in gestione alle banche che avevano curato il collocamento dei Bond attraverso la creazione di un derivato, uno strumento finanziario che nello specifico funziona pressapoco così:
- io banca investo i fondi accantonati da te in titoli di stato o garantiti dallo stato scelti insindacabilmente da me;
- io banca riservo a me gli interessi;
- in caso di insolvenza di uno stato debitore tu, regione, dovrai cacciare i soldi che mancheranno all’appello.
Ciliegina sulla torta: è emerso che i fondi di accantonamento pugliesi e lombardi sono stati allocati in titoli del debito sovrano della Grecia.
È chiaro che si tratta di una scelta studiata per lucrare su un tasso d’interesse particolarmente elevato, adeguato al rischio di bancarotta del Paese.
Però che volete che importi questo insignificante dettaglio a banche che in questi anni hanno guadagnato senza rischiare un centesimo e ad amministratori che non rispondono pressoché MAI della gestione dei fondi pubblici?
Buona settimana
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mercoledì, novembre 25, 2009
Futuro & Passato
il futuro in una nuvola?
L’ho detto e lo ripeto: sono retrogrado e passatista, un po’ per vili questioni di budget e un po’ per indole. Tuttavia mi piacciono le novità, almeno quelle che m’incuriosiscono o che, indirettamente, mi sfidano.
Google, ad esempio, non è certo una novità, ma lo sono alcune ideuzze che sta portando avanti: Chrome OS e il futuro Googlephone.

Ma cos’ha di tanto innovativo e controverso Chrome OS? Per capirlo è necessario fare un passo indietro.
Tutti i sistemi operativi attuali sono figli della logica secondo cui il Personal Computer deve essere in grado di funzionare come macchina autonoma e autosufficiente; in questo sta la differenza con un semplice terminale, che è inservibile se non c’è un collegamento attivo a un server centrale.
Anche nelle reti aziendali (Lan, Wan, Intranet), dove alcuni servizi sono centralizzati, i PC autorizzati accedono a uno o più server remoti per inserire o consultare dati. Se però la connessione non c’è o cade, ogni PC dispone di un sistema operativo e di applicazioni per funzionare “in locale” esattamente come il PC di casa quando non è collegato a Internet.
Chrome OS, invece, prende atto della crescita del Web sposando la filosofia del less is more e del Cloud Computing.
Volendo semplificare, il sistema operativo diventa un grande browser web svuotandosi della maggior parte dei compiti di regia sulle applicazioni e sui dati in memoria, visto che applicazioni e dati non risiedono più nel computer, bensì in un sistema di server in Rete: la Nuvola cui ha accesso il singolo utente.
Vuoi scrivere un documento di testo? Con Chrome OS non dovrai far altro che cliccare sull'icona dell'applicazione web Google Docs, scrivere, salvare il file e questo resterà a disposizione ospitato su uno dei server della “tua” Nuvola. Lo stesso discorso vale per la posta elettronica (Gmail), le immagini, i video e via discorrendo.
Quali sono i vantaggi?
I PC che adotteranno Chrome OS saranno molto più agili nel funzionamento, non dovendo caricare all’avvio miriadi di preferenze ed estensioni né richiamare dati archiviati nel disco rigido. Non ci saranno incompatibilità tra versioni diverse del software perché gli aggiornamenti delle applicazioni web saranno fatti sui server. Inoltre, non ci sarà pericolo di perdita dei dati se il PC va KO.
Quali gli svantaggi?
In sostanza, i nuovi Net-PC saranno dei terminali evoluti perché, per funzionare, dipenderanno dalla disponibilità di un collegamento a internet. Inoltre, è chiaro che tutto il tuo lavoro passerà dall’accesso (gratis o a pagamento) ai servizi forniti e gestiti in Rete da società come Google.
Staremo a vedere se Google ha visto giusto anticipando il futuro e quanti saranno disposti a seguirla dando fiducia alla sua scommessa.
Un arzillo vecchietto

Proprio di questi giorni, 17 anni fa, trovavo dentro un floppy disk un piccolo wordprocessor (456 KB) che si sarebbe rivelato un compagno fedele e infaticabile: Claris MacWrite II.
Per il lavoro che faccio, basato principalmente sulla stesura di testi, l’affidabilità dell'applicazione è un requisito essenziale.
Pur con tutti i limiti di un software scritto nel 1989, MacWrite II si è rivelato utilissimo proprio perché non mi ha mai lasciato in braghe di tela chiudendosi improvvisamente, né ha mai tentato di impormi le sue cervellotiche “correzioni” come invece le diverse incarnazioni del ben più famoso Microsoft Word.

Se dovesse capitarmi di cambiare computer a casa, a malincuore dovrei arrendermi all'idea di non poter più contare sul mio vecchio sodale, dato che da tempo mamma Apple ha cancellato le residue possibilità di far girare programmi tanto obsoleti.
Può sembrare strano e buffo che io celebri il compleanno di un software ormai dimenticato da tutti come fosse quello di un caro amico, ma a mio insindacabile giudizio MacWrite II se lo è meritato.
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mercoledì, gennaio 24, 2007
Sorsi di Fluid
Io e AndreaFluid ci conosciamo da anni per via della comune passione per la Mela Mordicchiata senza mai esserci incontrati di persona. Lui risiede e lavora dalle parti di Levico Terme che, se la geografia non è un opinione, è parecchio a nordest rispetto al mio umile cadreghino.
Proprio in virtù delle nostre frequentazioni virtuali ho scelto di sottoporvi senza commenti questa poesia.
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