martedì, marzo 19, 2019

 

Marciume fondamentalista



Mi ha lasciato inorridito la lettura di una serie di articoli sulla Chiesa Fondamentalista di Gesù Cristo e dei Santi degli Ultimi Giorni (FLDS), organizzazione religiosa concentrata nell’area al confine tra Utah e Arizona, ma con diramazioni e insediamenti in Colorado, Baja California e British Columbia; tra 6.000 e 10.000 fedeli stimati.
Nata ai primi del ‘900 da una scissione all’interno dei Mormoni causata dalla decisione dei vertici di rinunciare definitivamente alla poligamia, la FLDS raccoglieva quanti non erano intenzionati a conformarsi alla nuova regola.

Mormoni e poligamia: una rinuncia tattica

La rinuncia a una pratica istituita dal fondatore e profeta della chiesa mormone, Joseph Smith, e osservata dai diretti successori era una delle “merci di scambio” con il governo americano per regolarizzare la posizione dei Mormoni e permettere l’integrazione dello Utah, stato a maggioranza mormone, nell’Unione.

La deriva settaria

Cresciuta ai margini della legge (la poligamia è considerata reato pressoché in tutti gli USA) sfruttando la sua collocazione a cavallo tra Utah e Arizona, la FLDS ha assunto ben presto le connotazioni di una setta dominata da pochi leader carismatici in competizione tra loro.

Dal 2002 la leadership sulla FLDS è stata ereditata dinasticamente da Warren Jeffs (nella foto), insieme capo religioso, “profeta” e padrone di fatto delle proprietà fondiarie, delle strutture produttive e delle risorse finanziare dell’organizzazione.

Warren Jeffs ha portato alle estreme conseguenze il potere di vita o di morte (sociale) sui suoi correligionari. Con la collaborazione di uno studio legale, infatti, ha messo in piedi un trust, uno schema para-legale che gli ha dato facoltà di rovinare economicamente e costringere alla fuga chi entri in rotta di collisione con le sue decisioni, spogliandolo di ogni bene mobile e immobile.
Non solo: nella sua posizione di guida religiosa indiscussa, Jeffs aveva il potere di privare i reietti di mogli e figli che, secondo testimonianze di fuorusciti, venivano riassegnati ad altri fedeli.

Nella sua sfera di potere insindacabile ricadevano anche le decisioni riguardanti sessualità e matrimoni. In quest'ambito Warren Jeffs avrebbe dato il peggio si sé, mostrandosi non solo fautore della poligamia ma anche di stupri "ritualizzati" e matrimoni con spose-bambine, nonché di nozze tra consanguinei.

Nel 2007 Warren Jeffs viene arrestato in Nevada mentre viaggia a bordo di una macchina in compagnia di due delle sue "spose" minorenni. Processato, è condannato per stupro su minori, sfruttamento del lavoro forzato e vari reati fiscali. Jeffs, tuttavia, non nomina un suo successore e pare continui a dettare legge sulla FLDS da dietro le sbarre.

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sabato, marzo 09, 2019

 

Vittime collaterali



Tutto ciò che conosciamo della guerra, dai filmati passati nei telegiornali ai film più drammatici e realistici, è nulla rispetto all’impatto del video girato dalla cabina di un elicottero d’attacco AH-64 Apache che documenta una “operazione militare di routine” condotta nel 2007 a Sadr City - sobborgo di Baghdad, circa 1 milione di abitanti - in cui morirono due reporter dell’agenzia Reuters macellati per strada, insieme a una dozzina di civili adulti e due bambini, dai proiettili del cannone automatico da 30 mm dell’elicottero.

Il video fa parte dei materiali classificati che Wikileaks ha ottenuto da whistleblower come Bradley (oggi Chelsea) Manning. Per lo stato maggiore e l'Amministrazione USA, l’equipaggio dell’Apache rispettò le procedure di sicurezza e le regole d’ingaggio su un gruppo di civili che fu bollato sbrigativamente come “insurgents” (rivoltosi). Dall’alto, l’attrezzatura dei reporter venne scambiata per armamenti.

Il sonoro del video testimonia lo scambio radio tra l’elicottero e il comando, ma anche l’accanimento nel fare fuoco su un furgone sopraggiunto per soccorrere i feriti, in particolare uno dei reporter che si vede trascinarsi a terra ed essere colpito nuovamente mentre sta per essere adagiato sul pianale dell’automezzo.

All’interno del van semidistrutto le truppe di fanteria USA arrivate sul posto trovano due bambini feriti gravemente. Nel video si vede un soldato trasportare a braccia uno dei bambini verso un veicolo corazzato d’appoggio Bradley. Tuttavia la richiesta di trasportarli d’urgenza all’ospedale di campo americano riceve dal comando l’ordine di lasciare che se ne occupino gli iracheni.

Nell’asettica terminologia tecnica, tutto ciò rientra sotto l’etichetta “vittime collaterali”.

Per chi avesse il fegato di confrontarsi con la crudezza delle immagini e dimestichezza con l’inglese parlato e scritto lascio il link YouTube alla drammatica testimonianza del soldato che cercò di soccorrere i bambini: https://youtu.be/kelmEZe8whI

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venerdì, giugno 09, 2017

 

Riina: il sassolino in piccionaia





Art. 27 3º comma Costituzione
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità...

In questi giorni ho letto - ahimè senza il minimo stupore - carrettate di commenti improntati a incredulità, indignazione e livore all’asserita notizia che la Corte di Cassazione aveva aperto un varco alla scarcerazione di Totò ‘o curtu, Salvatore Riina da Corleone, anni 86 e una collezione record di ergastoli da scontare in regime di 41bis per la ferocia sanguinaria con cui ha regnato da capo dei capi della mafia siciliana. La giustificazione di tale gesto di “buonismo" sarebbero state le condizioni terminali di Riina, cardiopatico e affetto da tumore ai reni in stadio avanzato.

È stato scritto che Riina non meritava alcuna pietà o trattamento di favore, inclusa la somministrazione di morfina (sic!), dato che alle decine di vittime ammazzate per strada, sciolte nell’acido o fatte saltare in aria su suo ordine era stata negata quella possibilità di una morte dignitosa che adesso implorava per se.

Una reazione di pancia, scandalizzata, intollerante dinanzi all’ennesimo presunto cedimento dello Stato, all’oltraggio alla memoria delle vittime della mafia, ma anche una reazione superficiale, fuori misura e poco aderente ai fatti.
Va precisato, infatti, che la Cassazione non si è espressa a favore di Riina rispedendo al Tribunale di Sorveglianza di Bologna la sentenza con cui quest’ultimo aveva rigettato l’istanza di differimento della pena o di ammissione agli arresti domiciliari presentata dai legali del boss.
Gli ermellini hanno semplicemente ravvisato che alcuni punti nella motivazione del rigetto erano carenti e contraddittori, ragion per cui la situazione di Riina dovrà essere nuovamente esaminata dal Tribunale di Sorveglianza.

Torniamo al terzo comma dell’articolo 27 della Costituzione. Cosa significa “trattamenti contrari al senso di umanità”?
Non esiste un riferimento univoco a qualche fonte del diritto nazionale o internazionale che aiuti a definire questo concetto, tuttavia una sentenza della Cassazione - la n.165 del 1996 - contiene un passo illuminante:

“perché la stessa restrizione in carcere possa ritenersi contraria al senso di umanità deve verificarsi una situazione di vera e propria incompatibilità tra regime carcerario, comunque disciplinato, e condizioni soggettive del condannato.”

Ed è qui il nocciolo autentico della questione: le condizioni di salute di Riina sono divenute incompatibili con la detenzione?
Le strutture sanitarie interne al carcere di Parma sono in grado di apprestare cure continue e dignitose per cui le esigenze di sicurezza - evidenti nel caso di Riina - possono senz’altro prevalere?
Se la risposta alla seconda domanda è sì non c’è motivo di discutere.
Se la risposta è no, allora neanche alla belva può essere negato il diritto, residuale ma insopprimibile, alla dignità umana.

Parteggiare per la negazione a prescindere di qualsivoglia pietas significa:

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mercoledì, marzo 23, 2016

 

il carnaio



Storm in Belgium

Il giorno più lungo di Bruxelles è stato un festino memorabile per gli avvoltoi, gli sciacalli e il bestiario dei leoni da salotto, accorsi a banchettare sul senso di vulnerabilità, lo smarrimento e il timore del "diverso" che inevitabilmente s'insinuano dopo un attacco terroristico.

Inutile far nomi o citare esempi: perché sporcare questa pagina con i deliri altrui quando bastano i miei?

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giovedì, giugno 12, 2014

 

Iraq: e ora come la mettiamo?


Iraq Army

In altre occasioni mi sono avventurato in giudizi sul calderone del Medio Oriente, con i calcoli opportunistici, le strane convergenze e i disinvolti cambi di alleanze che lo alimentano.

Per qualche tempo, almeno a giudicare dal basso interesse dei media occidentali e italiani in particolare, è sembrato quasi che l'Iraq dell'interminabile, fragile e insanguinata transizione post-Saddam fosse avviato a diventare un'anonima, debole, ma relativamente tranquilla nazione guidata da un governo espressione dell'accordo tra gli Stati Uniti e la maggioranza sciita. Non che mancassero le auto-bomba e le scaramucce con milizie qaediste e gruppi armati sunniti guidati da ex del partito Baath, ma il governo iracheno sembrava in grado di controllare la situazione sul campo e di non farsi invischiare nel ciclone siriano.

La facciata si è sgretolata in fretta, liquefacendosi come l'esercito iracheno dopo la disastrosa rotta di Mossul e la perdita di città e province del nord sotto i colpi delle milizie jiahdiste dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante (ISIS).
Se serviva una dimostrazione di come non basti spendere decine di milioni di Dollari in addestramento e armamenti per costruire un esercito se poi non si fa nulla per pacificare e ricostruire una identità nazionale, questa è stata servita. Nonostante i rinforzi ricevuti dal teatro siriano, l'ISIS da solo difficilmente riuscirebbe a controllare il territorio se non godesse di appoggi presso i sunniti in cerca di una rivincita.
Allo stesso tempo, non è dato sapere fino a che punto la comunità sciita, divisa in fazioni rivali, sia interessata a difendere il governo del premier Nuri al Maliki, cui molti sembrano non perdonare la litigiosità, la lentezza nell'affrontare gli enormi problemi di un Paese devastato e, soprattutto, l'insufficiente autonomia dalla tutela USA.

C'è un altro aspetto non meno importante nel riacutizzarsi della crisi irachena: il ruolo dei Paesi vicini e delle diplomazie internazionali.
Una guerra civile in Iraq non può in alcun caso essere un semplice affare interno, sia perché ne va del controllo dei pozzi petroliferi sia perché offre a nazioni da sempre in competizione per affermarsi come potenze regionali un'ulteriore opportunità di ridisegnare a loro vantaggio gli equilibri geopolitici.

Il gioco delle parti, difatti, ricalca grosso modo quello che tiene la Siria in un pantano insanguinato. Chi, come l'Amministrazione Obama, il governo britannico, la Turchia di Erdoğan e alcuni Paesi del Golfo Persico, aveva scommesso sulla cacciata di Bashir al Assad finanziando e armando l'opposizione, ora si trova in imbarazzo vedendo le fila dell'ISIS ingrossate da gruppi armati provenienti dalla Siria.
L'Iran, ovviamente, si dichiara pronto a scendere in campo, ufficialmente in difesa dei "fratelli sciiti iracheni", e persino Assad si è offerto di aiutare l'Iraq, in parte per spezzare il fronte jihadista e scongiurare la minaccia di un califfato iracheno ostile, in parte per sdebitarsi con l'Iran per l'aiuto fornito inviando a suo fianco le milizie libanesi del partito Hezbollah.
E allora, come la mettiamo?

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domenica, settembre 15, 2013

 

Syrian connection



La guerra civile in Siria che, tra svolte annunciate e rimandate, si trascina in uno stallo sanguinoso, resta un rebus assai più complicato di quanto non appaia dai resoconti dei media. Finora, l’unica cosa evidente è che né l’esercito fedele al governo di Bashir al-Assad né le forze dell’opposizione riescono a ottenere una netta prevalenza territoriale e sul campo nonostante i sostegni economici e militari di cui dispongono.

Syria
Le origini della contrapposizione stanno nelle dinamiche interne della Siria: un paese che per un trentennio è stato messo sotto vetro dall’efficienza dell’apparato poliziesco messo in piedi dalla “Volpe di Damasco”, Hafez al-Assad, un leader particolarmente abile nell’imporre il peso politico-militare di Damasco ad alleati e avversari, ma anche cinico e spietato nella repressione del dissenso.

Il rovescio della medaglia dei decenni di stabilità interna è stato l’immobilismo sociale ed economico affiancato da una corruzione strisciante. Si diceva che in Siria non si muovesse foglia senza l’assenso e la “compartecipazione agli utili” dei fedelissimi di Assad, collocati in tutti i gangli vitali dello Stato e in larga misura legati al Presidente anche dalla comune appartenenza alla minoranza religiosa Alawita, una frangia “scismatica” dell’Islam Sciita diffusa in circa il 10% della popolazione siriana.

Da questo sonno forzatamente tranquillo, la Siria si è svegliata dopo la morte di Hafez al-Assad, nel 2000, e l’avvento del figlio secondogenito Bashir.
La politica di caute riforme economiche e di ammorbidimento del regime poliziesco avviata da quest’ultimo, però, è stata troppo blanda e lenta rispetto all’evoluzione del quadro internazionale e al deterioramento dell’economia nazionale, aggravato dal peso eccessivo delle spese destinate all’esercito.
Soprattutto, Bashir al-Assad non ha avuto il coraggio o il peso politico, dinanzi alle prime esplosioni di malcontento popolare coincise con la “primavera araba”, di fare concrete aperture alle istanze di una maggioranza sunnita troppo a lungo bastonata ed esclusa dal potere.

Forse nulla avrebbe potuto evitare il ripetersi dello scontro armato tra governo e il composito fronte dell’opposizione già avvenuto nei primi anni ’80 e conclusosi con la spaventosa punizione inflitta alla città ribelle di Hama (dai 10.000 ai 35.000 morti).
Bashir al-Assad avrebbe dovuto rischiare di alienarsi il blocco di potere e le fedeltà che avevano garantito suo padre e la sua stessa ascesa al potere senza alcuna garanzia. Dall’altra parte, l’insofferenza e la sete di rivalsa covate per anni erano troppo forti per accontentarsi di concessioni o compromessi.

Tuttavia, probabilmente il complesso sistema di convenzioni che nel mondo arabo regola le relazioni sociali persino tra acerrimi nemici avrebbe potuto evitare alla Siria le peggiori crudezze della guerra civile e favorire qualche forma di componimento se sulla crisi interna non si fossero pesantemente inseriti gli interessi configgenti delle potenze regionali (Iran, Turchia, Egitto, Arabia Saudita, Qatar) e, dietro di loro, le superpotenze USA e Russia.

Quel che fa pensare è che il futuro della Siria appare sempre meno nelle mani dei siriani. Salvo colpi di scena, saranno i rapporti di forza nell’area mediorientale a decidere se in Siria si arriverà a una soluzione che recuperi la coesione e l’unità della nazione, con o senza Assad, oppure verso una “libanizzazione”, una “irachizzazione” o una “libizzazione” del Paese. Anche l’intervento militare “limitato” annunciato dagli USA, ufficialmente giustificato con l’impiego di gas nervini sulla popolazione in una situazione peraltro mai chiarita, è comprensibile solo come “spallata” data a scopo di ripristinare equilibri geopolitici e d’influenza.

Temo che ci siano fortissimi e innominabili interessi alla polverizzazione della Siria. Come spiegare altrimenti la voce che dal Golfo Persico sia arrivata l’ordinazione ai laboratori di un ben identificato Paese europeo di uno stock di agenti chimici che qualcuno, in alto loco, ha autorizzato e fatto giungere sottobanco sul teatro siriano, pareggiando l’analogo shopping fatto tempo prima dal governo siriano nel Regno Unito?
O ancora, come si spiega la segnalazione della presenza sul campo, dove già operano allo scoperto le milizie libanesi di Hizbollah e brigate qaediste, di mercenari europei con funzioni di addestramento e di comando?

Sarà un caso, ma di questo non si parla per niente sui media.

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lunedì, febbraio 25, 2013

 

La politica non risponde


Nell'aprile 2006 scrissi il mio primo post su un blog: era l'indomani della vittoria sul filo di lana del Centrosinistra.
Escludendo la fin troppo annunciata debacle del 2008, speravo di non dover mai più rivivere la sgradevole sensazione di vuoto allo stomaco, del terreno che ti viene a mancare sotto i piedi, di incredulità e di delusione a stento trattenuta di quel lontano lunedì da incubo di 7 anni fa.

A quanto pare ero in errore: stasera sotto il cielo della politica italiana c'è aria di bufera, al punto che la vittoria di Pirro del 2006 sembra il venticello stuzzicarello di Roma non fa' la stupida stasera.

Una mancata vittoria è una sconfitta, anzi è la sconfitta più bruciante: di questo dovrà prendere atto Pierluigi Bersani, che ha per destino quello di non arrivare mai a dimostrare totalmente quello che vale, e i fini strateghi della segreteria del PD che, come al solito, si sono persi per strada troppo impegnati a usare il bilancino per salvaguardare gli equilibri interni.

Quel che mi rode, però, non sono le sorti del PD, bensì l'assenza totale di risposte della politica; quelle risposte alle tante domande urgenti del paese reale che non vengono né da un voto puramente distruttivo come quello che ha gonfiato le vele dell'istrione di turno, né dalla fedeltà allo stesso tempo commovente e totalmente stolida al richiamo di uno spudorato bugiardo dai troppi lifting.

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giovedì, aprile 02, 2009

 

Hell on earth



Fucking hell by dubow on Flickr
Dettaglio di "Fucking Hell", opera di Jake e Dinos Chapman


Non so, davvero non so se sia sempre un bene avere tempo e modo di divagare. Ieri notte, ad esempio, mi ero messo comodo sul divano a leggere quando sono “inciampato” in una considerazione apparentemente innocua e banale sulla natura delle persone che ci circondano.
È possibile provare simpatia e attrazione per una persona poco perbene, ma la nostra simpatia per lei non la farà diventare buona. Siamo istintivamente portati a vederla sotto la miglior luce possibile, ad accordarle fiducia e attenzioni valorizzando ciò che ci piace e relativizzando eccessi e difetti perché vogliamo credere che in fondo sia buona."
Come vedete, nulla di particolarmente profondo: mero buonsenso applicabile tanto alla cerchia delle amicizie quanto ai colleghi di lavoro e a certi personaggi pubblici.

Anna PolitovskayaA quel punto, però, mi è tornato in mente un articolo dedicato al libro “Cecenia, il disonore russo” scritto da Anna Politkovskaya, la giornalista assassinata a Mosca nell’ottobre 2006.
In particolare, il recensore metteva in risalto come lo sguardo della Politkovskaya si fosse mantenuto miracolosamente freddo e al di sopra della faziosità annotando puntigliosamente il cinismo, l’arroganza, la corruzione e la crudeltà efferata che dilagavano nelle truppe russe, ma anche quanto di sordido, spietato e disumano riscontrava nella resistenza cecena.

Navigando su Internet per documentarmi sulla Cecenia, sono casualmente incappato in un’altra di quelle tragedie su larga scala tenute nascoste sotto lo zerbino perché non disturbino la nostra rassicurante visione del mondo come casa comune di un’umanità spontaneamente incline alla bontà, che si commuove davanti alla bellezza struggente di un tramonto, di un verso o di una melodia.

Guardate il video qui sotto, parte di un dossier di Médicins Sans Frontières:



Questa è solo una piccola galleria degli orrori della guerra che ha sconvolto il Congo ufficialmente dal 1998 al 2003, in realtà continuata in modo strisciante negli anni seguenti come dimostrano le testimonianze raccolte sul sito Women in War Zone.
Il lato più raccapricciante di quel conflitto è stato l’uso sistematico della violenza sessuale come tattica di guerra.
Molte delle vittime sono state assalite in modo sadico, lacerate a colpi di baionetta o massacrate a bastonate al punto che i danni ai loro apparati digerenti e riproduttivi sono oltre qualsiasi intervento ricostruttivo,” ha commentato Jeffrey Gettleman, caposervizio della sezione Est Africa del New York Times. “Nel 2006 sono stati registrati 27.000 casi di stupro nella sola provincia di Kivu, e con tutta probabilità questa è solo una frazione di quanto è successo a livello nazionale.
Tirando le somme, dopo aver vagabondato sul web tra le fosse comuni di Darfur e Congo, Bosnia Herzegovina e Ruanda, è rimasta in sospeso una domanda che vi giro: che significato ha l'invito "restiamo umani"?

Azz...Vedete che succede a guardare troppo poca televisione?

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