venerdì, giugno 09, 2017

 

Riina: il sassolino in piccionaia





Art. 27 3º comma Costituzione
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità...

In questi giorni ho letto - ahimè senza il minimo stupore - carrettate di commenti improntati a incredulità, indignazione e livore all’asserita notizia che la Corte di Cassazione aveva aperto un varco alla scarcerazione di Totò ‘o curtu, Salvatore Riina da Corleone, anni 86 e una collezione record di ergastoli da scontare in regime di 41bis per la ferocia sanguinaria con cui ha regnato da capo dei capi della mafia siciliana. La giustificazione di tale gesto di “buonismo" sarebbero state le condizioni terminali di Riina, cardiopatico e affetto da tumore ai reni in stadio avanzato.

È stato scritto che Riina non meritava alcuna pietà o trattamento di favore, inclusa la somministrazione di morfina (sic!), dato che alle decine di vittime ammazzate per strada, sciolte nell’acido o fatte saltare in aria su suo ordine era stata negata quella possibilità di una morte dignitosa che adesso implorava per se.

Una reazione di pancia, scandalizzata, intollerante dinanzi all’ennesimo presunto cedimento dello Stato, all’oltraggio alla memoria delle vittime della mafia, ma anche una reazione superficiale, fuori misura e poco aderente ai fatti.
Va precisato, infatti, che la Cassazione non si è espressa a favore di Riina rispedendo al Tribunale di Sorveglianza di Bologna la sentenza con cui quest’ultimo aveva rigettato l’istanza di differimento della pena o di ammissione agli arresti domiciliari presentata dai legali del boss.
Gli ermellini hanno semplicemente ravvisato che alcuni punti nella motivazione del rigetto erano carenti e contraddittori, ragion per cui la situazione di Riina dovrà essere nuovamente esaminata dal Tribunale di Sorveglianza.

Torniamo al terzo comma dell’articolo 27 della Costituzione. Cosa significa “trattamenti contrari al senso di umanità”?
Non esiste un riferimento univoco a qualche fonte del diritto nazionale o internazionale che aiuti a definire questo concetto, tuttavia una sentenza della Cassazione - la n.165 del 1996 - contiene un passo illuminante:

“perché la stessa restrizione in carcere possa ritenersi contraria al senso di umanità deve verificarsi una situazione di vera e propria incompatibilità tra regime carcerario, comunque disciplinato, e condizioni soggettive del condannato.”

Ed è qui il nocciolo autentico della questione: le condizioni di salute di Riina sono divenute incompatibili con la detenzione?
Le strutture sanitarie interne al carcere di Parma sono in grado di apprestare cure continue e dignitose per cui le esigenze di sicurezza - evidenti nel caso di Riina - possono senz’altro prevalere?
Se la risposta alla seconda domanda è sì non c’è motivo di discutere.
Se la risposta è no, allora neanche alla belva può essere negato il diritto, residuale ma insopprimibile, alla dignità umana.

Parteggiare per la negazione a prescindere di qualsivoglia pietas significa:

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Comments:
La reazione "di pancia" è sempre la più facile: non richiede analisi, non richiede nulla se non un'emozione; per cui è evidente che gli Italiani --da quei grandi superficiali quali sono-- su questo siano sempre prontissimi.

Ma c'è un ulteriore elemento da considerare: io ho trovato un'incoerenza grave nella nostra normativa tra il voler (giustamente!) garantire una morte dignitosa a chiunque, posto che lo Stato non è mica Cosa Nostra, e lo stesso assetto giuridico che, ad esempio, impedisce --senza se e senza ma-- che persone in coma irreversibile o affette da malattie gravi, dolorosissime ed incurabili possano essere aiutate a cercare una morte dignitosa; e che anzi, punisce con un'ammenda o persino il con il carcere chi dovesse offrirsi a prestare tale aiuto.

A me è questo che ha dato davvero fastidio.
Non Riina.
Il paventare come possibile un SÌ a Riina e il negare con un NO --rifiutandosi di entrare nel merito-- la morte dignitosa ad Eluana Englaro o a dj Fabo.

Sì, va bene, sono casi molto diversi, eccetera.
Ma uno Stato degno di dirsi tale, il diritto ad una morte dignitosa deve garantirlo a tutti.
Chiunque essi siano.
 
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