domenica, settembre 15, 2013
Syrian connection
La guerra civile in Siria che, tra svolte annunciate e rimandate, si trascina in uno stallo sanguinoso, resta un rebus assai più complicato di quanto non appaia dai resoconti dei media. Finora, l’unica cosa evidente è che né l’esercito fedele al governo di Bashir al-Assad né le forze dell’opposizione riescono a ottenere una netta prevalenza territoriale e sul campo nonostante i sostegni economici e militari di cui dispongono.
Le origini della contrapposizione stanno nelle dinamiche interne della Siria: un paese che per un trentennio è stato messo sotto vetro dall’efficienza dell’apparato poliziesco messo in piedi dalla “Volpe di Damasco”, Hafez al-Assad, un leader particolarmente abile nell’imporre il peso politico-militare di Damasco ad alleati e avversari, ma anche cinico e spietato nella repressione del dissenso.
Il rovescio della medaglia dei decenni di stabilità interna è stato l’immobilismo sociale ed economico affiancato da una corruzione strisciante. Si diceva che in Siria non si muovesse foglia senza l’assenso e la “compartecipazione agli utili” dei fedelissimi di Assad, collocati in tutti i gangli vitali dello Stato e in larga misura legati al Presidente anche dalla comune appartenenza alla minoranza religiosa Alawita, una frangia “scismatica” dell’Islam Sciita diffusa in circa il 10% della popolazione siriana.
Da questo sonno forzatamente tranquillo, la Siria si è svegliata dopo la morte di Hafez al-Assad, nel 2000, e l’avvento del figlio secondogenito Bashir.
La politica di caute riforme economiche e di ammorbidimento del regime poliziesco avviata da quest’ultimo, però, è stata troppo blanda e lenta rispetto all’evoluzione del quadro internazionale e al deterioramento dell’economia nazionale, aggravato dal peso eccessivo delle spese destinate all’esercito.
Soprattutto, Bashir al-Assad non ha avuto il coraggio o il peso politico, dinanzi alle prime esplosioni di malcontento popolare coincise con la “primavera araba”, di fare concrete aperture alle istanze di una maggioranza sunnita troppo a lungo bastonata ed esclusa dal potere.
Forse nulla avrebbe potuto evitare il ripetersi dello scontro armato tra governo e il composito fronte dell’opposizione già avvenuto nei primi anni ’80 e conclusosi con la spaventosa punizione inflitta alla città ribelle di Hama (dai 10.000 ai 35.000 morti).
Bashir al-Assad avrebbe dovuto rischiare di alienarsi il blocco di potere e le fedeltà che avevano garantito suo padre e la sua stessa ascesa al potere senza alcuna garanzia. Dall’altra parte, l’insofferenza e la sete di rivalsa covate per anni erano troppo forti per accontentarsi di concessioni o compromessi.
Tuttavia, probabilmente il complesso sistema di convenzioni che nel mondo arabo regola le relazioni sociali persino tra acerrimi nemici avrebbe potuto evitare alla Siria le peggiori crudezze della guerra civile e favorire qualche forma di componimento se sulla crisi interna non si fossero pesantemente inseriti gli interessi configgenti delle potenze regionali (Iran, Turchia, Egitto, Arabia Saudita, Qatar) e, dietro di loro, le superpotenze USA e Russia.
Quel che fa pensare è che il futuro della Siria appare sempre meno nelle mani dei siriani. Salvo colpi di scena, saranno i rapporti di forza nell’area mediorientale a decidere se in Siria si arriverà a una soluzione che recuperi la coesione e l’unità della nazione, con o senza Assad, oppure verso una “libanizzazione”, una “irachizzazione” o una “libizzazione” del Paese. Anche l’intervento militare “limitato” annunciato dagli USA, ufficialmente giustificato con l’impiego di gas nervini sulla popolazione in una situazione peraltro mai chiarita, è comprensibile solo come “spallata” data a scopo di ripristinare equilibri geopolitici e d’influenza.
Temo che ci siano fortissimi e innominabili interessi alla polverizzazione della Siria. Come spiegare altrimenti la voce che dal Golfo Persico sia arrivata l’ordinazione ai laboratori di un ben identificato Paese europeo di uno stock di agenti chimici che qualcuno, in alto loco, ha autorizzato e fatto giungere sottobanco sul teatro siriano, pareggiando l’analogo shopping fatto tempo prima dal governo siriano nel Regno Unito?
O ancora, come si spiega la segnalazione della presenza sul campo, dove già operano allo scoperto le milizie libanesi di Hizbollah e brigate qaediste, di mercenari europei con funzioni di addestramento e di comando?
Sarà un caso, ma di questo non si parla per niente sui media.
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