sabato, febbraio 24, 2018

 

Un "cold case" spinoso




Nel 1998 un blitz animalista liberò in un colpo solo circa 6.000 visoni dalle gabbie di un allevamento britannico dove erano tenuti in vista di essere sacrificati alle esigenze del settore pellicceria.
L’incursione seminò il caos nelle campagne circostanti perché i mustelidi, spinti dalla fame, saccheggiarono nidi e tane della fauna selvatica, attaccarono le fattorie facendo strage di pollame e conigli e finirono sotto le ruote delle auto di passaggio prima di essere riacciuffati.

Al blitz assistette anche una agente sotto copertura della Met(ropolitan) Police londinese infiltrata nel gruppo, autorizzata a partecipare al reato dai vertici del reparto con la garanzia che non avrebbe dovuto subire in futuro conseguenze disciplinari e penali.

Qualche anno dopo l’agente si dimise dal reparto e dalla polizia. L’incarico le stava creando seri problemi psicologici perché la vita in comune con i membri del gruppo animalista aveva creato un coinvolgimento emotivo tale da rendere insostenibile il doppio ruolo. Di lì a poco andò a convivere in campagna con uno dei leader del gruppo e la sua vita tornò, faticosamente, a scorrere sui binari di un anonimato borghese.

Vent’anni dopo, un’inchiesta giornalistica ha ripreso in mano il caso irrisolto dei visoni, per cui non era stato arrestato e incriminato nessuno, e ha rivelato la presenza delle barbe finte della Met Police.
La risposta della polizia londinese è stata uno scarno comunicato in cui ha ammesso il proprio ruolo, si è scusata con i colleghi della polizia locale per la mancata condivisione di informazioni e ha messo nero su bianco il nome (finto) dell’agente infiltrata, tenendo nel contempo coperta l’identità dei dirigenti che avevano gestito l'operazione.

L’ex agente ha replicato con una lettera alla stampa, addolorata e infuriata per il comportamento sleale che la smascherava, dandola in pasto a un processo mediatico e, soprattutto, al risentimento delle persone che avevano avuto fiducia in lei, accogliendola e trattandola come una di loro.

Fin qui i fatti, dopodiché è arduo farsi un’opinione e trarre una qualsivoglia morale. Lealtà, senso del dovere, fiducia, ambiguità, tradimento, bene e male sono mescolati troppo strettamente; né può essere diversamente ogni volta che per perseguire un interesse superiore “si scende a patti con il diavolo”.
Chi ha agito correttamente? Chi ha tradito la fiducia di chi?

[fonte della notizia: The Guardian online]

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Comments:
Burlato? 1 Sono stato burlato? Il mio primo contatto con la logica lo ebbi all’etA di sei anni. Le cose andarono così: il primo aprile 1925, ero a letto col mal di gola o influenza, o qualcosa del genere. Al mattino mio fratello Emile (che aveva dieci anni più di me) venne nella mia camera e disse: «Bene, Raymond oggi è il primo aprile, e io ti farò un pesce d’aprile come non ne hai mai avuto in vita tua!». Io aspettai tutto il giorno che venisse a farmi questo pesce d’aprile, ma lui non si fece vivo. A tarda notte mia madre mi chiese: «Come mai sei ancora sveglio?» Io risposi: «Aspetto che Emile venga a farmi una burla». Mia madre si rivolse a Emile e disse: «Per favore, Emile, vuoi fare al bambino la burla che gli hai promesso?» Emile allora si rivolse a me e questo è il dialogo che ne seguì: Emile: «Così tu ti aspettavi che io ti facessi una burla, non è vero?» Raymond: «Sì». Emile: «Ma io non te l’ho fatta, no?» Raymond: «No». Emile: «Ma tu te l’aspettavi, vero?» Raymond: «Sì». Emile: «Così io ti ho burlato, no?» Ricordo che, dopo aver spento la luce, rimasi tanto tempo sveglio a chiedermi se ero stato veramente burlato. Da una parte, non avevo avuto la burla, per cui non avevo avuto ciò che mi aspettavo, quindi ero stato burlato. (Questo era l’argomento di Emile.) Ma, con ugual ragione, si poteva sostenere che, se ero stato burlato, allora avevo effettivamente avuto ciò che mi aspettavo; ma allora, in che senso ero stato burlato? Ero stato burlato o no?
(R.Smullyan, "Qual è il titolo di questo libro?")
 
Nella fattispecie, non parlerei di tradimento della fiducia di nessuno, forse sono state usate troppe parole (la polizia) o troppo poche parole (lei).
Le conseguenze penali o disciplinari non ci sono state, la tipa è stata libera di andare e fare un'altra vita; l'anonimato perenne non mi sembra fosse nei patti: ecco, la Polizia forse poteva rispettare la sua privacy,
Allo stesso tempo la tipa ha tenuto nascosto tutta la vita il suo passato da barba finta? Forse, col compagno, e cambiando vita, poteva anche parlarne, salvo non ci fossero vincoli di segretezza eterni con la polizia.
Aveva dato prova per trent'anni di essersi "redenta", cosa temeva venendo alla luce la storia, non si fidava di lui che la capisse, e lo stesso gli amici? o temeva perchè questi potevano avere ancora dubbi su di lei?
Boh.

 
@TipTop - Dall'articolo di The Guardian si desume che l'ex agente di polizia non avesse rivelato la sua vera identità né l'incarico che aveva abbandonato alle amicizie che aveva allacciato all'interno del mondo dell'attivismo animalista. La cosa è abbastanza comprensibile umanamente, visto che anche in una situazione "normale" è difficile comprendere e perdonare chi improvvisamente si rivela come un impostore, uno che ha mentito, ingannato e tradito sistematicamente; figurarsi in un ambiente settario come il Fronte di Liberazione Animale.
Si direbbe, inoltre, che l'ex agente, alla fine, si fosse non dico immedesimata nel ruolo che recitava, ma che avesse finito per provare stima e ammirazione per l'idealismo delle persone che sorvegliava, senza contare la relazione intima avuta con uno dei leader.
Quel che emerge è che si è risentita con gli ex colleghi sia perché erano al corrente di quanto le era costata la missione in termini di salute mentale e di terapie sia per essere stata l'unica pedina ritenuta "sacrificabile" all'operazione trasparenza. Per il resto molti degli appunti che hai mosso sono condivisibili.
 
@tipTop - bello il brano che hai postato. Grazie :-)
 
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