giovedì, agosto 08, 2024

 

la guerra ibrida ai lettori


Due notizie diverse per rilevanza lette in questi ultimi giorni mi hanno indotto a riflettere su una realtà di cui si sente parlare spesso ma che, a torto, siamo portati a sottovalutare nell’illusione che sia una minaccia che non ci riguarda da vicino: la guerra ibrida.

Il concetto di guerra ibrida è semplice. Le guerre oggi si combattono non solo sui campi di battaglia ma anche e sempre più immettendo nel circuito della comunicazione un costante flusso di disinformazione. Lo scopo è quello di condizionare, distorcere ed estremizzare il dibattito pubblico nelle nazioni-bersaglio per destabilizzarle screditando istituzioni, partiti o singoli esponenti politici, oltreché per portare acqua al proprio mulino rappresentando i nemici come mostri capaci di qualsiasi efferatezza.
E’ un gioco di manipolazione su scala globale che sfrutta la collaborazione locale di agguerrite fazioni sule piattaforme di social media, ma soprattutto la sempre maggiore permeabilità dei media “mainstream” alle notizie non verificate.

Dopo questa premessa andiamo ai fatti.

I presunti complici nell'UNRWA

Verso la fine del 2023, al culmine di feroci polemiche tra il governo israeliano e i vertici dell’ONU per gli spaventosi costi umani della campagna militare nella Striscia di Gaza, Israele diffuse la notizia che a Gaza almeno il 10% dei dipendenti dell’UNRWA, l’Agenzia ONU che si occupa di assistenza ai rifugiati palestinesi, avesse rapporti con fazioni armate islamiste e fosse implicato nell’assalto e nei massacri di civili israeliani del 7 ottobre scorso.
Le accuse israeliane furono riportate dall’autorevole Wall Street Journal e lo scandalo conseguente portò diversi governi occidentali - tra cui quello italiano - a sospendere gli stanziamenti destinati all’UNRWA.

A distanza di mesi e al termine di un’inchiesta interna, l’ONU ha annunciato il licenziamento di 9 dipendenti dell’UNRWA a Gaza perché POTREBBERO essere coinvolti nei fatti del 7 ottobre. In merito, un portavoce ONU ha affermato: “Abbiamo raccolto informazioni sufficienti per assumere le decisioni che abbiamo preso”.
Tutto lascia pensare che l’ONU abbia raccolto solo indizi a carico dei dipendenti ma che, per scelta politica, abbia deciso di procedere ugualmente al licenziamento.

A non uscire benissimo da questa vicenda non è solo il diritto internazionale del lavoro, ma anche il giornalismo. In oltre sette mesi di verifiche, infatti, il Wall Street Journal non è riuscito a raccogliere prove sostanziali che suffraghino le accuse mosse all’UNRWA.

A scanso di sterili polemiche, la gestione dell’assistenza ai rifugiati palestinesi da parte dell’UNRWA è tutto fuorché al di sopra di ogni sospetto. Da decenni l’UNRWA è accusata, non solo da Israele, di essere un carrozzone costoso, inefficiente e soggetto a estesi fenomeni di corruzione e malversazione che, però, sono ben altra cosa rispetto alla complicità in azioni terroristiche.

ONG terroriste per forza

La seconda notizia, datata e passata inosservata ai più, ha visto coinvolto il più diffuso quotidiano italiano: Il Corriere della Sera.
I legali del quotidiano milanese, infatti, hanno scelto di chiudere in via stragiudiziale una causa per diffamazione con la pubblicazione di un articolo di rettifica e risarcendo con circa 15.000 € la ONG palestinese Al-Haq e il suo Direttore Generale Shawan Jabarin.

Chi frequenta il mondo dell’editoria sa che nel nostro Paese le querele per diffamazione a giornalisti e direttori responsabili sono quasi più frequenti e puntuali dei treni, per cui l'accordo transattivo del Corrierone potrebbe essere ridimensionato a banale “incidente di percorso”.
E allora?!? Allora per capire perché riporto la notizia devo chiedere al lettore di pazientare mentre spiego il contesto.

Nell’ottobre 2021 il governo israeliano, con un atto squisitamente politico, inserisce 6 ONG palestinesi impegnate nella difesa dei diritti civili nella lista nera delle organizzazioni terroristiche.
A dicembre 2021 la Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato organizza un’audizione proprio sulla criminalizzazione delle ONG palestinesi cui partecipano in videoconferenza i direttori generali di Al-Haq e Addameer.
Due giorni dopo Il Corriere della Sera, Libero Quotidiano e Il Tempo pubblicano articoli nei quali si biasima l’iniziativa parlamentare per aver ospitato due associazioni terroristiche e si qualifica Shawan Jabarin come terrorista e assassino, aderendo alle tesi del governo israeliano senza fornire a lettori spiegazioni essenziali sulla presunta matrice terroristica delle ONG né prove a sostegno delle accuse (prove che nemmeno Israele ha ancora prodotto).

Tirando le somme di questo post scandalosamente lungo a me pare evidente che ci sia un filo che lega le due notizie, e non è quello più ovvio dell'identità dei protagonisti.
Dovremmo riflettere sul paradosso di avere accesso a un numero teoricamente illimitato di informazioni per farci un'idea della realtà e l'essere più che mai esposti a manipolazioni, mistificazioni e rappresentazioni alterate quando il giornalismo cessa di differenziarsi da un utente medio qualsaisi dei social media omettendo per pigrizia, fretta, piaggeria o interessi di bottega l'indispensabile verifica delle fonti, propinandoci narrazioni preconfezionate.
Noi poveri lettori siamo trattati da popolo bue, vittime collaterali e inconsapevoli di tattiche di guerra ibrida.

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domenica, agosto 04, 2024

 

La macina al collo


In alcune zone della Sardegna le scuole rette dai Padri Scolopi hanno goduto a lungo di una fama di eccellenza come fucine da cui uscivano le future classi dirigenti che era pari a quelle istituite dai Salesiani.
L’istruzione e la formazione umana della gioventù rappresentano, d’altra parte, il fulcro della missione dei Chierici regolari poveri della Madre di Dio delle scuole pie sin dalla fondazione della Congregazione a opera del religioso spagnolo san José de Colasanz nella Roma dei primi del XVII secolo.

Per questo vedere gli Scolopi invischiati nell’ennesima inchiesta giudiziaria su abusi sessuali a danno di minori induce a qualche riflessione sull’effettiva capacità delle gerarchie della Chiesa Cattolica di monitorare, prevenire e gestire fenomeni socialmente dirompenti come le devianze dal voto di castità.

La responsabilità penale è sempre personale e la cautela nel vagliare segnalazioni che potrebbero essere frutto di equivoci o maldicenze è d’obbligo. Tuttavia, le dimensioni raggiunte non solo in Italia dal problema della mancata continenza sessuale nel clero diocesano e negli ordini religiosi sollevano le scomode domande se la risposta dei vertici ecclesiastici sia adeguata nei tempi e nei modi, se non ci sia un grave deficit di fondo nella preparzione di seminaristi e novizi o, addiritura, se ciò non sia spia di un tacito “don’t ask, don’t tell” fintanto che certe "licenze" avvengono con discrezione, salvando un decoro di facciata.

È del tutto irrealistico pensare che una situazione tanto delicata possa essere bonificata dall’oggi al domani in modo drastico e definitivo o di poter isolare i consacrati all’interno di campane di vetro sorvegliate H24. Ciò non toglie che la Chiesa sia sollecitata ad affrontare in profondità e senza reticenze il nodo della castità che, oggi più che mai, è una via stretta, impervia e oltremodo sdrucciolevole.

Il riferimento nel titolo è a un passo lapidario del Vangelo secondo Matteo (18:6)

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