giovedì, marzo 24, 2022

 

Gagauzia e l’Europa dell’Est delle piccole storie complicate



bandiera gagauzia

L’invasione russa dell’Ucraina ha risvegliato dolorosamente la consapevolezza di come, a 30 anni dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, l’assetto di tutta l’ampia fascia di Europa Orientale che va dalle repubbliche baltiche a Nord ai contrafforti del Caucaso a Sud-Est sia fragile e precario. E’ comprensibile, perciò, che nazioni come la Georgia e la Moldova siano in fibrillazione temendo che l’orso russo non si accontenti di appendere lo scalpo dell’Ucraina alla cintura ma abbia mire espansionistiche anche nei loro confronti.

La piccola e pacifica Moldavia/Moldova, poco più vasta del Belgio, solo negli ultimi anni ha cominciato a risalire la china dalla devastante crisi economica post-indipendenza che ha portato circa il 25% della popolazione a emigrare nel ventennio 1990-2010 (i moldavi sono la terza comunità straniera in Italia). Farebbe volentieri a meno, perciò, di essere riportata con le buone o le cattive nell’orbita di Mosca e, se solo potesse, sceglierebbe di entrare nell’Unione Europea anche domani.
A preoccupare e condizionare Chişinău non c’è solo la storica spina nel fianco della repubblica (separatista) di Transnistria, che le forze russe potrebbero facilmente utilizzare come testa di ponte, ma anche la situazione nella entità territoriale autonoma della Gagauzia, dove le spinte secessioniste e filo-russe sono sempre sul punto di deflagrare.

Gagauzia???

Hai mai sentito parlare della Gagauzia?” è quasi una domanda retorica. Senza l’aiuto di Google e Wikipedia, la stragrande maggioranza degli italiani ignora l’esistenza di quest’angolo del Sud della Moldova a due passi dal confine con l’Ucraina meridionale.

In fondo non c’è da stupirsi: si tratta di un territorio prevalentemente rurale con una superficie che è meno della metà del nostro Molise, spezzettato in diverse exclavi e la cui la città capoluogo, Comrat, conta poco più di 20.000 abitanti.
In altre parole, se la Moldova ultimamente vanta un crescente numero di estimatori come meta turistica low cost e la fosca Transnistria incuriosisce con le sue atmosfere sovietiche alla “Goodbye Lenin”, la Gagauzia sembra quasi volersi nascondere agli occhi del mondo.

La scena, però, cambia se si pensa che a un’ora e mezza di macchina dalla capitale Chişinău la Repubblica Moldova (quasi) cessa di esistere. Formalmente si resta in territorio moldavo, non ci sono valichi di frontiera da superare e il paesaggio agricolo non muta. Tuttavia spariscono il moldavo (variante del rumeno) e l’alfabeto latino, sostituiti dal russo e dal cirillico, benché la lingua nativa sia il gagauzo, un idioma strettamente imparentato con il turco, l’azero, il turkmeno e lo uiguro.
Su circa 150.000 abitanti della regione, infatti, l’etnia maggioritaria (82%) è quella dei Gagauzi, popolo di origini turciche ma di religione cristiano-ortodossa insediatosi nell’area in un momento imprecisato del medioevo. Dal 1994, inoltre, la Gagauzia gode di un’ampissima autonomia amministrativa con lo status di entità territoriale autonoma, per dare un'idea qualcosa di più simile a uno stato federato che a una regione a statuto speciale.

Nazionalismi e separatismi “tattici”

Proprio l’autonomia ci porta al nocciolo della questione gagauza e, più in generale, al modo in cui nazionalismi, indipendentismi e il risiko della geopolitica interagiscano creando situazioni di conflitto semi-permanente (vedi Transnistria, Donbass, Abkhazia e Nagorno-Karabakh). Procediamo con ordine per non perdere il filo.
Al tracollo dell’URSS la Repubblica di Moldova, dichiaratasi indipendente, puntò a soddisfare due aspirazioni nazionaliste a lungo covate: riunificarsi con la Romania e de-russificare cultura e società imponendo il moldavo come lingua nazionale e l’alfabeto latino in luogo del cirillico.
Tali dichiarazioni d’intenti, fortemente simboliche, scatenarono le rivolte dei Russi e degli Ucraini stabilitisi in Transnistria e dei Gagauzi perché interpretate come volontà di imporre un’omologazione culturale e di ridurli allo status di minoranza linguistica. Transnitriani e Gagauzi preferivano mantenere i loro tradizionali legami di fedeltà alla Russia, riconoscenti alla compianta URSS che per settant’anni li aveva fatti sentire cittadini sovietici con pari diritti e dignità, almeno sulla carta.

A differenza della Transnistria, tuttavia, la secessione proclamata dalla Gagauzia nel 1992 non sfociò in un conflitto armato ma venne riposta nel cassetto nel 1994 con la concessione dell’autonomia.
Razionalmente era nell’interesse reciproco continuare a convivere, ancorché da separati in casa. Dopo la perdita della Transnistria, infatti, la Moldova non intendeva affrontare le conseguenze di un secondo, umiliante smembramento territoriale. Per la Gagauzia in gioco c’era lo sbocco per le sue produzioni agricole (vino, olio di girasole, ortofrutta, carne, lana), troppo limitate in volumi e periferiche per essere competitive su mercati esteri quali quello russo, ucraino o rumeno.

Sicuramente quasi tre decenni di recessione e feroce stagnazione economica non hanno giovato alla popolarità dello stato moldavo in Gagauzia. D’altro canto, le autorità gagauze hanno lavorato in senso contrario, portando avanti un’agenda politica filo-russa gradita alla popolazione e apertamente sostenuta da Mosca, cui si è aggiunta l'apertura alla cooperazione con la Turchia.

Se vi state chiedendo come mai due potenze regionali come Russia e Turchia si interessino a una regione piccola, povera e di scarsa rilevanza strategico-militare, la risposta è semplice.
Per la Federazione Russa l'allineamento ai suoi interessi della Gagauzia è importante per avere in mano una leva (la minaccia della seccessione) con cui ostacolare ed eventualmente bloccare l’inviso percorso di avvicinamento della Moldova alla UE.
Per la Turchia di Erdogan, che negli ultimi anni ha finanziato l’apertura di scuole e centri culturali nonché il rifacimento della rete idrica, il beneficio consiste invece nel rafforzare la narrazione neo-ottomana della "Turchia faro e patrono dei popoli turcofoni".

C’è, però, un altro punto di vista da considerare: quello dei Gagauzi. Per chi governa a Comrat danzare sul filo del rasoio tra autonomia e separatismo significa disporre di un potere contrattuale superiore al proprio peso specifico; vuol dire avere le spalle coperte dall’orso russo, flirtare con la Turchia e allo stesso tempo non rompere definitivamente con la Moldova, approfittandone per raccogliere tutti i vantaggi possibili.
Si tratta di una “politica dei tre forni” rischiosa in una parte d’Europa dove situazioni e rapporti di forza possono evolversi in modo repentino, ma per ora ha ampiamente pagato in termini di consenso popolare.
Basti pensare che nel 2014 in Gagauzia si tenne un referendum consultivo nonostante il parere di incostituzionalità dell’alta corte moldava. Sull’onda dell’annessione della vicina Crimea alla Russia, salutata in Gagauzia come un trionfo con gran sventolio di bandiere russe e gagauze, la popolazione si espresse “a maggioranza bulgara” (tra il 96 e il 98%) per il NO all’adesione della Moldova alla Unione Europea, Sì all’unione doganale con Russia, Bielorussia e Ucraina proposta da Mosca e Sì alla indipendenza da Chişinău.
L’ipotesi di un allargamento delle operazioni militari russe alla Moldova appare al momento uno scenario di fantapolitica ma, casomai si concretizzasse, è difficile pensare che la lealtà dei Gagauzi non vada spontaneamente a Mosca.

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giovedì, marzo 10, 2022

 

Il megafono dello zar non conosce la vergogna



"La Russia non ha intenzione di attaccare altri Paesi e non ha attaccato l’Ucraina. Stiamo rispondendo agli attacchi degli ucraini” (Sergej Lavrov)

Quella vecchia volpe del ministro degli esteri della Federazione Russa, Sergej Lavrov, ha rilasciato questa stupefacente dichiarazione nella conferenza stampa al termine del summit di Antalya (Turchia) non tradendo il minimo imbarazzo, quasi stesse riferendo qualcosa di ovvio e incontestabile.
Dobbiamo supporre, pertanto, che ciò che stiamo vedendo da giorni è una guerra finta, una serie TV con un budget faraonico girata in una imprecisata Cinecittà della Russia o dell’Europa orientale.

In subordine, sia pure a prezzo di un intenso sforzo d'immaginazione, dovremmo prendere in considerazione l'ipotesi che il governo ucraino abbia trovato il modo di scagliare case, palazzi, ospedali, ponti, centrali elettriche e aeroporti contro le batterie di artiglieria, i tank e gli aerei russi impegnati in una pacifica scampagnata nella "nazione sorella". Non contenti, i provocatori al potere a Kiev avrebbero tolto luce, gas e acqua alla popolazione ucraina per costringerla a partire in vacanza all'estero.

Non c’è che dire: se mai Lavrov dovesse rinunciare all'incarico ai vertici della Federazione Russa, avrebbe un futuro assicurato come star delle produzioni Marvel: pochi possiedono un talento naturale pari al suo per interpretare il ruolo di villain.

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domenica, febbraio 27, 2022

 

Ucraina e la geopolitica non farlocca



Mi sono ripromesso di non condividere le mie riflessioni su quanto sta accadendo in Ucraina. Media, web e social letteralmente traboccano di informazioni e analisi della fattura più disparata, non raramente frutto di notizie non verificate, di opinioni farlocche e non qualificate o di pure e semplici mistificazioni di propaganda perché vi aggiunga ulteriore aria fritta a esclusivo beneficio della mia autostima.
Ho deciso, tuttavia, di tradurre e condividere questa articolata analisi geopolitica di Dmitri Alperovitch letta su Twitter per due motivi:
a) è stata postata il 21 dicembre 2021, due mesi circa prima che l’invasione russa avesse luogo, mostrando capacità analitiche e previsionali davvero notevoli;
b) fornisce chiavi di lettura straordinariamente acute e attuali sull’altrimenti poco comprensibile azzardo di Vladimir Putin.

Nelle ultime settimane sono diventato sempre più convinto che il Cremlino abbia, purtroppo, preso la decisione di invadere l'Ucraina alla fine dell'inverno. Sebbene sia ancora possibile per Putin ridimensionare l’esclatation e cambiare rotta, credo che la probabilità sia ora piuttosto bassa. Permettetemi di spiegare il perché.
Ci sono numerosi segnali che la Russia ha inviato di recente che mi fanno credere che l'invasione sia quasi certa, oltre a un numero consistente di ragioni per cui questa sarebbe la strada imboccata da Putin.

Segnali

1) Quello più ovvio: il massiccio dispiegamento militare ai confini dell'Ucraina (a Nord, Est e Sud in Crimea).
Questa mobilitazione è qualitativamente e quantitativamente diversa dal passato. Il 75% del totale dei gruppi tattici delle divisioni russe è stato spostato. Artiglieria, unità di difesa aerea, carri armati, APC, attrezzature per la posa di ponti, sminatori, escavatori corazzati, attrezzature ingegneristiche, rifornimenti di carburante, enormi quantità di logistica, ecc.
Questa mobilitazione imponente è una chiara preparazione per un’invasione su larga scala, non un bluff.
Inoltre, non si può tenere per sempre in stand by tutta questa attrezzatura, truppe e logistica. Rob Lee pensa che le forze russe dovrebbero ritirarsi entro l'estate al più tardi.
Come un fucile in una commedia di Cechov, non lo fai comparire se non ti aspetti di usarlo...

2) Preparazione informatica. Dall'inizio di dicembre c'è stato un drammatico aumento delle intrusioni informatiche dalla Russia nei siti del governo ucraino e nelle sue reti civili. Come ho detto ieri, gli obiettivi sono esattamente quelli che ti aspetteresti siano presi di mira per la raccolta di informazioni e la preparazione del campo di battaglia prima di un'invasione.

3) Ultimatum diplomatici. L'elenco delle richieste che la Russia ha presentato la scorsa settimana non è stato un punto di partenza per gli alleati degli USA e della NATO: semplicemente non è una proposta seria per l'avvio di negoziati.
In effetti, sarebbe con tutta probabilità respinto dalla stessa Russia se si trattasse di misure reciproche per non schierare missili Iskander a Kaliningrad e missili da crociera nel territorio russo occidentale.

4) Rendere pubblico l'elenco delle richieste - rendendo di conseguenza difficile fare marcia indietro senza perdere la faccia - è un passo diplomatico senza precedenti che segnala ulteriormente come non vi sia una seria intenzione di intavolare negoziati e si cerchi un pretesto propagandistico per l'invasione.

5) Rifiuto dei negoziati multilaterali e richieste di colloqui one to one USA-Russia. Questo passo è progettato per provocare un rifiuto da parte degli Stati Uniti (ancora un altro pretesto per la guerra) o creare una spaccatura tra gli USA e i suoi alleati in Europa. In ogni caso, una mossa win-win.

6) La richiesta perentoria di una risposta urgente. Una vera trattativa sui punti sollevati dalla Russia richiederebbe anni. Aspettarsi che si risolva rapidamente non è realistico e la Russia lo sa. È un ulteriore pretesto per l'invasione sostenendo che gli USA non prendono sul serio le preoccupazioni russe.

7) Retorica. Con il ricorso a una retorica infiammata le cose stanno raggiungendo il punto di ebollizione. Il linguaggio diplomatico viene scaraventato fuori dalla finestra e ogni giorno c’è una nuova escalation.

8) Si sta preparando il campo di battaglia dell'informazione per una provocazione che possa essere addossata a Ucraina, USA o NATO (o tutti e tre); sarà usata come parte di una scusa per giustificare un'invasione.

Motivi

Parliamo ora dei motivi per invadere - dal punto di vista di Putin - che sono altrettanto numerosi

1) Timore che si modifichi l'equilibrio di forze militari tra Kiev e i separatisti del Donbass.
Putin ha osservato la guerra nel Nagorno Karabakh e ha potuto apprezzare ciò che un esercito armato con moderne armi NATO, come i droni turchi TB2 al servizio degli Azeri, può fare per riconquistare un territorio.
Inoltre, ha perso la fiducia che il presidente ucraino Zelensky sia interessato a risolvere per via diplomatica la questione del Donbass e crede di aver bisogno di prevenire con un intervento militare un cambiamento dello status quo negli oblast separatisti.
Per inciso, la spinta di Saakashvili (ex presidente della Georgia n.d.r) a riarmare l’esercito e riconquistare i territori separatisti di Ossetia e Abkhazia, cambiando lo status quo imposto da Mosca, è ciò che ha innescato la guerra in Georgia nel 2008. Le somiglianze con la situazione attuale sono inquietanti.

2) Preoccupazioni per l'espansione della NATO. Si può discutere quanto si vuole sul fatto che la NATO rappresenti davvero una minaccia per la Russia, ma l'importante è che le élite del Cremlino ne è convinta.
Negli ultimi trecento anni, ci sono state numerose e devastanti invasioni della Russia lanciate da quelle che oggi sono Bielorussia e Ucraina. La prospettiva che uno dei due Paesi aderisca alla NATO (un'implicita alleanza militare anti-russa) è stata e sarebbe inaccettabile per qualsiasi leader russo - Putin, Eltsin, Gorbaciov o persino qualcuno come Navalny, ed è vista come una minaccia mortale.

3) Manovre ostili dell’Occidente. Il governo filo-occidentale in Ucraina, le manifestazioni e contestazioni al presidente bielorusso Lukashenko, la rivoluzione colorata in Georgia, le proteste di piazza a Mosca ecc. sono state tutte lette da Putin attraverso la medesima lente: tentativi segreti dell’Occidente di sabotare e destabilizzare la Russia e creare coalizioni di stati antagonisti ai suoi confini.

4) Cavallo di Troia. Putin si è convinto che un'Ucraina filo-occidentale rappresenti una seria minaccia dato il dispiegamento di armamenti e consulenti NATO anche senza un’adesione formale all’Alleanza.
Il suo discorso sui missili piazzati a 4-5 minuti di volo da Mosca o sulla minaccia alla Crimea può suonarci come una paranoia, ma lui ci crede ed è tutto ciò che conta in questo momento.

5) Punizione esemplare. Putin sa che un'invasione dell'Ucraina porrebbe fine in modo permanente sia a tutti i discorsi su una possibile adesione alla NATO di Ucraina, Georgia, Bielorussia o qualsiasi stato dell'Asia centrale, sia sul dispiegamento di armi e truppe NATO nei loro territori senza il benestare della Russia.
Sa,inoltre, che in questo modo ripristinerebbe istantaneamente la sfera d’influenza della Russia in quella parte del mondo: nessuno stato dell'ex URSS (a parte i Paesi baltici) oserebbe flirtare nuovamente con la NATO o l'Unione Europea.

6) Finestra delle opportunità. Dal punto di vista della scelta dei tempi, potrebbe non esserci momento migliore per invadere l’Ucraina.
Gli USA, infatti, sono distratti dalla politica interna e dal nuovo confronto geopolitico con la Cina, i prezzi dell'energia sono alle stelle, l’Europa dipende dal gas russo e persino gli Stati Uniti attualmente stanno importando petrolio russo. Di conseguenza, ci sono scarse possibilità che scatteranno sanzioni economiche sui combustibili fossili.

7) Le sanzioni non sono un deterrente efficace. La Russia ha imparato a convivere con le sanzioni, anche se non le piacciono. La sua economia è molto più resiliente oggi rispetto ad esse grazie anche all'aiuto della Cina.
La Russia, inoltre, ha imparato ad aspettarsi sanzioni qualsiasi cosa faccia. Le sanzioni comminate quest'anno (2021 n.d.r) per attività tradizionalmente considerate “spionaggio accettabile” - come le intrusioni nei database e il malware disseminato nelle reti di enti federali e aziende USA - hanno minato il loro uso come deterrente poiché inviano il segnale che l’Occidente sanzionerà la Russia per tutto ciò che fa.

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