domenica, ottobre 05, 2025

 

Arte e antisemitismo


Non è una notizia fresca, ma continua a produrre un certo clamore nel mondo dell’arte e sul web il procedimento penale in corso nei confronti del pittore barese Giovanni Gasparro, artista quotato non solo in Italia come autore di soggetti prevalentemente sacri.

Gasparro è chiamato a rispondere del reato di cui all’articolo 604-bis c.p, ovvero “Propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa” per un suo dipinto del 2000 raffigurante il martirio di Simonino da Trento e per alcuni commenti a riguardo postati sulla sua pagina Facebook.
Oltre a rischiare una condanna da 6 mesi a 4 anni di reclusione, nelle more del processo Gasparro si è visto rimuovere alcune opere dal catalogo di una esposizione in programma alla pinacoteca della città metropolitana di Bari.

Una vicenda storica rognosa

Un excursus storico è necessario per spiegare come mai un episodio locale di cronaca nera avvenuto 550 anni fa possa ancora oggi essere un argomento capace di innescare polemiche.
Tutto ha inizio a Trento il 27 marzo 1475 - giovedì santo - allorché il padre del piccolo Simone Unverdorben denuncia alle autorità la sparizione del bimbo. Il giorno di Pasqua, Simone viene ritrovato cadavere in una roggia con ferite tali da far ipotizzare la morte per dissanguamento.

Sull’onda di voci incontrollate e di un clima di diffuso antigiudaismo, le indagini si indirizzano sulla pista dell’omicidio a sfondo magico-rituale maturato in seno alla locale comunità ebraica “in odio ai cristiani”.
Diciotto ebrei vengono arrestati e sottoposti a tortura finché non confessano: saranno tutti arsi al rogo. Le esecuzioni non placano la persecuzione. Nel mirino dell’inquisizione e del suo braccio secolare finiscono anche le donne, accusate di complicità nell’omicidio e di avere usato il sangue della vittima nell’impasto del pane azzimo secondo lo schema tipico della diceria sul cosiddetto delitto del sangue.

Dal punto di vista giudiziario e sociale la vicenda si chiude con una bolla del principe-vescovo di Trento Johannes Hinderbach, massima autorità religiosa e civile nonché aperto sostenitore della tesi colpevolista, nella quale si fa divieto agli ebrei di risiedere in città. In risposta, i rabbini ashkenaziti pronunciano un anatema su Trento e la sua popolazione.

Sul piano religioso, Hinderbach non perde tempo nell’avviare la pratica per la beatificazione del fanciullo, ma la Santa Sede concederà il suo benestare solo nel 1588.
Si arriva al 1965, anno in cui il culto del beato Simonino viene soppresso dalle autorità ecclesiastiche.
Simonino è rimosso dal martirologio della chiesa cattolica, le sue reliquie sono traslate dalla chiesa di San Pietro in un cimitero di Trento ed è abolita anche la tradizionale processione religiosa del 27 marzo in cui venivano esposti ai fedeli i presunti strumenti utilizzati nel martirio.

D’altra parte mantenere una venerazione basata sugli esiti di un processo che, se non pilotato, appariva inquinato da pesanti pregiudizi antisemiti si scontrava con il nuovo clima di distensione nei rapporti con le altre confessioni religiose ispirato dal Concilio Vaticano II, tradottosi - tra l’altro - in un gesto di forte valenza simbolica come la rimozione dalla liturgia della millenaria invocazione “per la conversione dei perfidi giudei”.

Torniamo al presente

Giovanni Gasparro si è liberamente ispirato per il suo dipinto alla consolidata iconografia del martirio di Simonino da Trento, rielaborata secondo uno stile personale che si richiama alla pittura tardo-rinascimentale e alla metafisica mescolate a una peculiare cura per la resa tridimensionale delle figure.
Simonino, pertanto, è rappresentato circondato e ghermito da una turba di uomini eccitati dalla cattura. L’origine israelita degli aguzzini è suggerita da particolari dell’abbigliamento e dal ricorso quasi caricaturale a tratti fisici esasperati quali i nasi adunchi, le folte barbe e le peot (i boccoli portati dagli ebrei ortodossi).
Ed è proprio nell’uso di stereotipi da lungo tempo impiegati per denigrare gli ebrei, combinato all’allarme per il montare dell’antisemitismo in polemica con le azioni del governo israeliano a Gaza che si fonda la denuncia sporta dal rabbino capo di Roma e dal presidente dell’UCEI.

Se si arriva a comprendere la reazione delle comunità ebraiche italiane dinanzi a un’opera e a un post su Facebook percepiti come provocatori, non si può sfuggire a una domanda scomoda:
la libertà di espressione di un artista può essere censurata e punita basandosi su un’interpretazione che ne viene data?
Non è eccessivo e pericoloso che un dipinto sia fatto rientrare nella fattispecie dell’articolo 604-bis come istigazione a commettere violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi ?

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