venerdì, febbraio 18, 2022

 

La Corona Ferrea: la storia complicata, leggendaria e oscura della corona più ambita d'Italia


Le pretese recentemente avanzate dagli eredi dell’ultimo sovrano d’Italia sui gioielli della Corona d’Italia sembrano, al momento, escludere quella che nel nostro Paese è la corona con la C maiuscola: la cosiddetta “Corona Ferrea” custodita come reliquia in una cappella del Duomo di Monza.
È singolare ma anche affascinante come sulle origini e la storia movimentata di un diadema con cui sono stati incoronati personaggi che hanno scritto la storia si sappia quasi nulla di certo mentre abbondano le leggende più o meno plausibili.

Il manufatto

Materialmente, la Corona Ferrea è composta da 6 piastre di oro puro incernierate tra loro, con zaffiri, granati e ametiste più alcuni vetri colorati - forse inseriti nell’alto medioevo in luogo di pietre andate perdute o rovinate - incastonati tra rosette d’oro e smalti.
A giustificare il suo nome e lo status di reliquia è la presenza nella parte interna di una sottile lamina che a lungo si è creduto fosse stata ottenuta fondendo il ferro di uno dei quattro chiodi rinvenuti sul Golgotha insieme alla vera Croce da Flavia Giulia Elena, madre dell’imperatore Costantino. Le analisi svolte nel 1993, tuttavia, hanno smentito questa devota vox populi: la lamina è argento al 100%.

Le origini

La storia (nota) della Corona Ferrea inizia ufficialmente nel VII sec. d.C , quando viene donata insieme ad altri oggetti preziosi dalla regina longobarda Teodolinda alla cappella palatina che rappresenta il nucleo originario del futuro Duomo di Monza.

Il manufatto, tuttavia, ha origini più antiche. Residui di cera d’api emersi nell’esame del 1993 hanno permesso di datare la corona al IV/V sec. d.C, ovvero nella tarda antichità comprendente il regno di Costantino (306 - 337 d.C.), con ulteriori lavorazioni e modifiche di epoca carolingia o medievale.

Alcuni studiosi ritengono che il diadema in origine fosse montato sull’elmo di tipo “intercisa” o “Berkasovo” (tipici dell’esercito romano nel tardo impero) con cui Costantino è raffigurato in tre diversi multipli d’argento oggi conservati a San Pietroburgo, Monaco e Vienna. Se questa tesi è esatta si può solo ipotizzare che il diadema sia stato successivamente sganciato dall’elmo per essere usato come corona e conservato nel tesoro imperiale, forse a Costantinopoli ma senza escludere Ravenna o Roma.

Viaggi ipotetici

Restando nel campo delle congetture, la corona potrebbe essere stata inviata a Costantinopoli con le altre insegne imperiali da Odoacre dopo la deposizione di Romolo Augustolo (476 d.C.) in cambio del riconoscimento imperiale del suo status di re/patrizio d’Italia. Sarebbe tornata in Italia dopo il 493 d.C., inviata dall’imperatore romano d’oriente Anastasio I “Dicoro” in dono a Teodorico il Grande, re degli Ostrogoti e re d’Italia.
Proprio a quest’ultimo viaggio risalirebbe una particolarità della Corona Ferrea: le dimensioni troppo piccole per essere cinta sul capo di un adulto. Pare, infatti, fosse abitudine della corte di Bisanzio mandare in dono ai re barbari federati corone di dimensioni ridotte per sottolineare il loro rango formale di subordinati al Basileus. In sintesi, la corona sarebbe stata “mutilata” passando da 8 a 6 piastre.
Un’ipotesi alternativa è che la corona sia stata fatta modificare da Carlo Magno per adattarla al figlio Carlomanno (passato alla storia come Pipino d'Italia), incoronato re dei Longobardi in tenera età (781 d.C). In subordine, la riduzione potrebbe essere stata opera dei Longobardi per sancire definitivamente la destinazione votiva della corona, in un parallelismo con le coeve corone del cosiddetto.Tesoro di Guarrazar (V.di fotina a SX), donate alla Chiesa da due sovrani visigoti.

L’importanza simbolica

Non si sa esattamente come e quando la Corona Ferrea sia finita nelle mani dei Longobardi e della regina Teodolinda. Secondo fonti posteriori sarebbe stata inviata alla regina da Papa Gregorio Magno quale segno di apprezzamento per aver promosso la conversione dei Longobardi, superficialmente cristianizzati e seguaci dell’eresia Ariana, alla fede cattolica: non ci sono, però, riscontri in proposito.

In ogni caso i Longobardi, pur attratti dalla spettacolarizzazione e sacralizzazione del potere tipica dei complessi cerimoniali di corte romano-bizantini, avevano tradizioni proprie per l’investitura dei loro capi e non assegnavano alle corone un valore che non fosse estetico e accessorio alla dignità nobiliare o regale. Perciò è solo con Carlo Magno e il suo ambizioso disegno di restaurazione imperiale che l’incoronazione con la Corona Ferrea inizia a essere ambita come elemento simbolico di legittimazione divina e umana del potere regale sui territori della Penisola controllati dai Franchi, dal Sacro Romano Impero e, successivamente, dal Sacro Romano Impero Germanico. Da Ottone III di Sassonia a Napoleone Bonaparte e Ferdinando I d’Asburgo saranno nove le teste coronate a essere intronizzate con la Corona Ferrea.

Il prestigio acquisito non eviterà, tuttavia, alla veneranda corona l’umiliazione di essere data in pegno nel 1273 con il resto del Tesoro del Duomo di Monza dal Comune di Milano a garanzia di un ingente prestito contratto con l’ordine monastico degli Umiliati, venendo riscattata solo 40 anni dopo da Matteo I Visconti.
Con Napoleone Bonaparte la Corona Ferrea rischierà seriamente d’essere trafugata e trasferita a Parigi. All’ultimo momento il Grande Corso rinunciò al colpo gobbo sacrilego, forse perché il rischio di uno scandalo fu considerato eccessivo e inopportuno, e ripiegò sul resto - tutt'altro che disprezzabile - del Tesoro del Duomo di Monza.
Nella stampa celebrativa, Napoleone è rappresentato con la corona calzata sulla fronte. In realtà nella cerimonia Bonaparte tenne sospesa la corona sopra il capo non potendo fare altrimenti per le ragioni esposte in precedenza.


La Corona Ferrea e i Savoia

Il capitolo finale di questo excursus storico è dedicato al rapporto tra la Corona Ferrea e la monarchia sabauda.
Per diversi motivi nessuno dei quattro re d’Italia espressi dalla Casa di Savoia è stato incoronato con la Corona Ferrea.
Vittorio Emanuele II non aveva materialmente a disposizione il diadema, custodito a Vienna sino alla fine della Terza Guerra d’Indipendenza. Umberto I rinunciò a usare la Corona Ferrea per non esacerbare le tensioni con il Vaticano e i cattolici, rimaste a livello critico dopo l’annessione manu militari di Roma. Vittorio Emanuele III e Umberto II, semplicemente, salirono al trono senza cerimonie d’incoronazione.
Va detto, tuttavia, che la Corona Ferrea era presente, poggiata su un cuscino, tanto nella camera ardente di Vittorio Emanuele II quanto in quella di Umberto I.

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venerdì, gennaio 08, 2016

 

Agonia



C’è un’esperienza comune a tutti che tendiamo a censurare, tener lontana dai nostri discorsi e che mai e poi mai desideriamo concedere a sguardi indiscreti: quell’ultimo tratto della vita - nostra o delle persone che ci sono care - che precede l’arrivo della morte.
Mi hanno colpito, in questo senso, due schizzi realizzati dalla giornalista-illustratrice di San Francisco Wendy MacNaughton - QUI il suo sito - che tra i tanti soggetti e flash di vita quotidiana ha scelto di dedicare un reportage al tema-tabù dell'agonia.

agonia -©Wendy MacNaughton
Agonia2 -©Wendy MacNaughton

Quelle linee tracciate sulla carta del blocco di appunti contengono le chiavi di un racconto lasciato alla sensibilità di chi guarda, privo della fredda, meccanica mancanza di pudore dell’obiettivo fotografico ma, proprio per questo, aperto a tutti quei dettagli, emozioni, gesti, silenzi e parole inespresse che custodiamo sepolte nella penombra della memoria.

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domenica, gennaio 16, 2011

 

Mid-January Resume



La Calunnia del Sangue

Sarah PalinPotenze e disgrazie degli spin doctor. Sarah Palin, ex candidata repubblicana alla vicepresidenza USA nota per essere la versione intrigante e a stelle-e-strisce di Mario Borghezio per via le sue prese di posizione ultraconservatrici, ruspanti e “di pancia”, ma anche per le sue vistose lacune in fatto di cultura generale, ha stupito tutti con un’uscita colta.

Immediatamente additata come mandante morale della strage di Tucson, dove il ventiduenne Jared Lee Loughner ha aperto il fuoco contro un gruppo che ascoltava la deputata democratica Gabrielle Giffords ferendo gravemente quest'ultima, uccidendo 6 persone e ferendone altre 12, Sarah Palin è insorta con un comunicato in cui ha diffidato la stampa dal fabbricare contro di lei una “Calunnia del Sangue”.

Ora un numero limitato di persone su entrambe le sponde dell’Atlantico sa cosa sia questa “Calunnia del Sangue”.
Il riferimento, infatti, è a una diceria antisemita diffusa nel medioevo che imputava ai “perfidi giudei” la pratica del rapimento e dell’uccisione rituale di bambini cristiani al fine di bere o di impastare il loro sangue nel pane azzimo in occasione della Pasqua ebraica (un esempio alla voce San Simonino su Wikipedia).
Ironia della storia, i cristiani avevano ritorto contro gli ebrei un’accusa infamante circolata a Roma ai primordi del cristianesimo e riportata da alcuni autori classici, ovverosia che l’eucarestia fosse un rito barbaro e truculento che richiedeva il sacrificio di inermi fanciulli.

È evidente che la scelta di un termine così sofisticato, il cui significato poteva essere colto solo da chi è ferrato in storia medievale e dagli intellettuali ebrei, non è farina del sacco della Palin ed è tutto fuorché casuale.
C'è da pensare che lo spin doctor che lavora nello staff di Sarah Palin volesse mandare un messaggio trasversale ai giornalisti e alle lobby ebraiche affinché moderassero i commenti e le reazioni critiche nei confronti dell’ex governatrice dell’Alaska, rea di aver avallato sul suo sito la lista nera dei bersagli del movimento dei Tea Party nella quale Gabrielle Giffords - ebrea, liberale, sostenitrice della ricerca sulle cellule staminali - figurava ai primi posti.

In ogni caso la citazione colta, messa in bocca alla “supercafona” Sarah Palin, ha avuto il suono sgradevole di un avvertimento rozzo e inappropriato, esattamente come le recenti esternazioni dell’eurodeputato Borghezio sugli abruzzesi “peso morto”.


Noi umani

Trovo ammirevole questo video diffuso dalla NASA: spero condividiate.




Rabbia e ironia su Carta da Musica


chitarra pescatrice by Valerio PisanoHai la pretesa di fare l’artista? Cazzi tuoi.
Nel nostro Paese, dove tutti segretamente si sentono scrittori, cantanti, musicisti, pittori e scultori, chi ha qualcosa da esprimere è guardato con sufficienza e compatimento, quasi fosse un disadattato, un mitomane, un ciarlatano o un nullafacente in cerca di un mezzo per sbarcare il lunario a sbafo.

Questo vale per chi esce da Accademie e Conservatori e, a maggior ragione, per personalità eclettiche, fuori dei circuiti e dei salotti che contano, come Donatella D’Angelo e Valerio Pisano.
A quest’ultimo, autore di disegni a penna e creazioni cariche di sardonica ironia, appartiene la chimerica “Chitarra da pesca” dell’immagine.


Cattivo gusto o sapido umorismo?

BMW Advertising
Non è una campagna pubblicitaria recentissima, ma la ripropongo per aprire (se possibile) una piccola finestra di discussione sul buono/cattivo gusto in pubblicità.

Spesso, infatti, ci scandalizziamo - a ragione - degli exploit dei pubblicitari di casa nostra come quello dell’incorreggibile Oliviero Toscani per il Consorzio Vera Pelle Italiana Conciata al Vegetale (primo piano di peluria pubica femminile), senza avere la percezione di quanto siano frequenti e grevi nell’advertising internazionale gli ammiccamenti al bric à brac erotico maschile.

Questa campagna per BMW, ad esempio, potrebbe essere ribattezzata, in omaggio a un modo di dire prettamente maschile, “Basta che respiri... e abbia una carta di credito Platinum”.
L’ironia starebbe nel rovesciamento dei ruoli rispetto allo stereotipo dell’uomo rattuso (per cui ogni buco è pertuso), capace di copulare meccanicamente con qualsiasi rappresentante del sesso femminile a disposizione nascondendone all'occasione le fattezze non gradite con un cuscino.

Buona settimana

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domenica, settembre 28, 2008

 

Sunday Resume 9/28



Dagli all'untore?

W3CNel giro di pochi giorni due ISP (Internet Service Provider) finlandesi hanno inserito il sito del World Wide Web Consortium (W3C), l’organizzazione internazionale che si occupa dello sviluppo degli standard tecnologici legati al web, nella lista nera dei siti pedopornografici il cui accesso è sottoposto a filtro.
Per chi si occupa di "fare web" si tratta di una notizia tra l’incredibile e il grottesco, più o meno come leggere sul giornale che il questore di Trapani ha mandato i suoi agenti a Roma per perquisire il Ministero degli Interni perché sospetta che nasconda una bisca clandestina.

Per spiegare cos’è e cosa fa il W3C basti dire che è gran parte merito suo se oggi le pagine web sono scritte in modo tale da essere visualizzate in modo più o meno uniforme su tutti i browser recenti, su un PC come su un Mac o sullo schermo di un telefonino.
Gli standard fissati dal W3C, infatti, sono le regole di una sorta di sintassi universale che vale sia per chi scrive il codice delle pagine web sia per i browser che si occupano di interpretarle e visualizzarle.
Prima che il W3C portasse le maggiori software house a collaborare tra loro ogni produttore cercava di imporre un suo “dialetto”, con il risultato che un sito internet sviluppato per Internet Explorer era, nella migliore delle ipotesi, un pugno nell’occhio per chi usava Netscape.

Non è dato sapere su cosa sia stata basata la censura dei due ISP, ma se mai ci fosse veramente “del marcio in Danimarca” si può dire che sia molto ben nascosto. La home page del sito W3C, infatti, è talmente istituzionale, fitta di rimandi a contenuti tecnici e priva di concessioni all’estetica da far scappare a gambe levate chiunque non sia interessato alla tecnologia.


Mai più un giorno senza?

Abu Ghraib tableDe gustibus non est disputandum, tuttavia cosa si può pensare di un concept deliberatamente e dichiaratamente provocatorio come l’Abu Ghraib Coffee Table disegnato da Phillip Toledano?

Il fatto che venga evocata una delle pagine più cupe, disgustose e degradanti delle operazioni militari americane in Iraq non basta a elevare l’opera a icona della memoria o ad arte "morale".

Toledano non è Allen Jones e neppure lo Stanley Kubrick di Arancia Meccanica: se il suo voleva essere un grido di protesta, la voce è rimasta strozzata in gola lasciando spazio al muto disagio di chi guarda, alla sensazione di essere complici di un esperimento malriuscito di cinismo.
Suppongo che l'Abu Ghraib Coffee Table troverà estimatori; personalmente credo che non riuscirei a digerire la sua presenza in casa neanche se me lo regalassero.


So long, Mr Newman

Paul Newman... e pensare che da bambino ti detestavo e guardavo controvoglia i film di cui eri protagonista perché eri l’attore “bello bello” preferito da mia madre.

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