giovedì, marzo 27, 2014
Il prezzo del sangue
A distanza di quasi un mese eccomi nuovamente a scrivere del mio paese di origine, balzato suo malgrado agli onori della cronaca per le circostanze in cui è morto Roberto Aresu, noto Birullo, ex rivenditore di automobili non ancora cinquantenne ucciso martedì mattina dalla deflagrazione di una carica di esplosivo collegata all’accensione della sua autovettura.
Un’esecuzione in piena regola, dunque, pianificata ed eseguita con freddezza nello stile tipico della criminalità organizzata.
La vittima aveva sì pendenze giudiziarie legate a un’inchiesta su un giro di truffe, ma niente che lo candidasse a bersaglio di una "punizione" tanto eclatante e feroce.
Proprio le modalità inusuali del delitto, insieme alla consapevolezza che solo circostanze fortuite hanno fatto sì che l’esplosione non avesse un bilancio finale ancora peggiore, hanno gettato il paese nello sgomento.
Ancora una volta, esattamente come nel maledetto ferragosto di sangue del 1972, è stata squarciata e messa a nudo la fragilità di un’irragionevole sicurezza: quella di Lanusei oasi (quasi) inviolabile di tranquillità dove, al massimo, si può morire di noia perché “tanto non succede mai niente”.
Senza voler essere irriverente, purtroppo non c’è alcun Arcangelo Michele che veglia alle porte di Lanusei per sbarrare il passo alle fiammate di violenza e al malessere che serpeggia da anni in Ogliastra, estrema periferia al collasso di una Sardegna economicamente in disarmo.
Da una parte, il boato assordante del tritolo non ha fatto precipitare Lanusei dal purgatorio di una decadenza dignitosa e ancora a misura d'uomo all’inferno dell’invivibilità, del sospetto e della paura.
Dall'altra, la morte di Roberto Aresu ha spezzato l'incantesimo, l'illusione che il male restasse a distanza di sicurezza e che la triste contabilità degli omicidi commessi nelle campagne, dei bossoli recapitati nei plichi, delle auto incendiate, delle vigne e degli uliveti devastati, delle rapine agli uffici postali e ai furgoni portavalori potesse solo sfiorare il paese.
La ferita, il lutto e il timore saranno metabolizzati e la quotidianità, con tutti i suoi problemi, tornerà ad avere il sopravvento non per un surplus di cinismo, ma perché così è la vita.
Per tornare a una normalità con i piedi per terra, però, servirà tempo e lo sforzo dei miei compaesani nel risaldare le fila, recuperando una coesione di comunità che forse è stata data per scontata mentre si era sfilacciata, svuotandosi come le strade del centro.
Al momento questa mi sembra la sola risposta perché i Lanuseini non si ritrovino a sospirare sfogliando album di fotografie ingiallite.
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