mercoledì, febbraio 05, 2020
goodbye my town goodbye
"Se vuoi far ridere Dio, raccontagli i tuoi progetti" (Woody Allen).
Dopo tre mesi è già tempo di dire arrivederci a Lanusei. Non avevo trascorso tanto tempo nel mio paese natale da quando facevo praticantato legale; di certo allora non avevo la stessa consapevolezza attuale, acuta sino quasi a essere dolorosa, di sentirmi a casa mia. Tanto meno tre mesi fa pensavo che mi sarei innamorato di questo posto nonostante i problemi e le incertezze riguardo il futuro.
Dovrei essere felice e concentrarmi sull'opportunità, unica e straordinaria, di "tornare in pista" nella città dove vive la mia compagna. La verità è che un po' mi rode lasciare le cose a metà, abbandonare i progetti e i lavori che mi ero ripromesso di fare in primavera dopo aver patito le condizioni tutt'altro che ottimali in cui ho trovato l'appartamento. Pensavo di avere tempo anche per mettere mano a situazioni e comportamenti indescrivibili, oggettivamente inaccettabili.
Forse la fatica più grossa non è quella di sbaraccare e fare nuovamente le valigie, ma rimettermi in discussione ed è giusto che la pianti una buona volta di fare lo struzzo... o lo stronzo.
Post Scriptum: cara Google/Blogspot, capisco che i blog derelitti come questo siano poco appetibili. Con tutto il rispetto, però, "parcheggiarli" sui server meno performanti di cui disponi - almeno a giudicare dai tempi di risposta e di aggiornamento pagina semplicemente imbarazzanti - non è che sia una mossa tanto carina e rispettosa.
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giovedì, dicembre 01, 2016
Apotropaico
Un’immagine come questa ha risvegliato il ricordo, lontano nel tempo, di un ciondolino scoperto da bambino in una vecchia scatola di latta tra ditali, spille, bottoni e monetine fuori corso. Era una minuscola mano serrata a pugno appartenuta - venni a sapere - alla primissima infanzia di mio padre.
Ingenuamente, non capivo cosa fosse quella lieve protuberanza tra l'indice e il medio che sembrava un’imperfezione, una sbavatura. Ero ben lontano dall'immaginare che quell'oggetto fosse una mano fi*a, un amuleto oggi desueto che veniva indossato legato al polso a difesa da s’ogru malu: il malocchio.
Oggi fare la fi*a è solo un gesto volgare o, in altre parti del mondo, un modo spiccio per esprimere il rifiuto di fare qualcosa.
Nulla che spartire con il significato apotropaico del ninnolo, vestigia di remoti rituali contro l’invidia malevola intesi a mettere i bambini e la fertilità, sia femminile che maschile, sotto la magica protezione della vulva di una divinità (Iside, Astarte, Venere, Giunone).
Superstizione, senza dubbio, tuttavia provo rispetto per i sentimenti materni di mia nonna o di chi fece quel dono tanto particolare, conservato con discrezione nel ripiano più alto della credenza di cucina, mezzo secolo fa.
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giovedì, marzo 27, 2014
Il prezzo del sangue
Un’esecuzione in piena regola, dunque, pianificata ed eseguita con freddezza nello stile tipico della criminalità organizzata.
La vittima aveva sì pendenze giudiziarie legate a un’inchiesta su un giro di truffe, ma niente che lo candidasse a bersaglio di una "punizione" tanto eclatante e feroce.
Proprio le modalità inusuali del delitto, insieme alla consapevolezza che solo circostanze fortuite hanno fatto sì che l’esplosione non avesse un bilancio finale ancora peggiore, hanno gettato il paese nello sgomento.
Ancora una volta, esattamente come nel maledetto ferragosto di sangue del 1972, è stata squarciata e messa a nudo la fragilità di un’irragionevole sicurezza: quella di Lanusei oasi (quasi) inviolabile di tranquillità dove, al massimo, si può morire di noia perché “tanto non succede mai niente”.
Senza voler essere irriverente, purtroppo non c’è alcun Arcangelo Michele che veglia alle porte di Lanusei per sbarrare il passo alle fiammate di violenza e al malessere che serpeggia da anni in Ogliastra, estrema periferia al collasso di una Sardegna economicamente in disarmo.
Da una parte, il boato assordante del tritolo non ha fatto precipitare Lanusei dal purgatorio di una decadenza dignitosa e ancora a misura d'uomo all’inferno dell’invivibilità, del sospetto e della paura.
Dall'altra, la morte di Roberto Aresu ha spezzato l'incantesimo, l'illusione che il male restasse a distanza di sicurezza e che la triste contabilità degli omicidi commessi nelle campagne, dei bossoli recapitati nei plichi, delle auto incendiate, delle vigne e degli uliveti devastati, delle rapine agli uffici postali e ai furgoni portavalori potesse solo sfiorare il paese.
La ferita, il lutto e il timore saranno metabolizzati e la quotidianità, con tutti i suoi problemi, tornerà ad avere il sopravvento non per un surplus di cinismo, ma perché così è la vita.
Per tornare a una normalità con i piedi per terra, però, servirà tempo e lo sforzo dei miei compaesani nel risaldare le fila, recuperando una coesione di comunità che forse è stata data per scontata mentre si era sfilacciata, svuotandosi come le strade del centro.
Al momento questa mi sembra la sola risposta perché i Lanuseini non si ritrovino a sospirare sfogliando album di fotografie ingiallite.
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