giovedì, febbraio 20, 2025

 

Via Gialeto e le carte false


Nel mio paese d’origine, come in altri comuni della Sardegna, c’è una via intitolata a Gialeto. In tanti anni non mi sono mai domandato chi o cosa fosse Gialeto: se uomo illustre o località meritevole d’essere ricordata nella toponomastica. Mai avrei immaginato, però, che una strada potesse essere dedicata a un personaggio inventato.

Già, perché Gialeto, condottiero sardo che sul finire del VII secolo d.C avrebbe cacciato i Bizantini dall’Isola diventando il primo Giudice-sovrano di Cagliari nonché l’artefice anche degli altri tre Giudicati della Sardegna medioevale, è esistito solo nella fantasia del frate francescano Cosimo Manca e dei complici che l’aiutarono a fabbricare, a metà Ottocento, il falso storico delle cosiddette Carte di Arborea.

Nascita di una contraffazione

La vicenda ha inizio nel 1845, quando il frate minore pattadese Cosimo Manca fa visita al caglaritano Pietro Martini, autorevole storico, politico e direttore della biblioteca universitaria di Cagliari, porgendogli un documento su pergamena scritto in una grafia antica e scolorita dal tempo al punto di risultare pressoché illeggibile.
Martini sobbalza: quel documento ha tutta l’aria di essere autentico, risalire al XIV secolo e provenire dalla cancelleria del Giudicato di Arborea durante la reggenza della giudicessa Eleonora Bas-Serra, la leggendaria eroina della resistenza all’invasione aragonese della Sardegna.

Martini, tuttavia, prende tempo: vuole che il documento sia studiato in modo scientifico. Cerca perciò il conforto del parere di altri eruditi isolani tra cui spicca Ignazio Pillito, scrivano e specialista in paleografia che lavora presso l’Archivio Comunale di Cagliari. Solo a posteriori si scoprirà che l’archivista era il braccio della macchinazione, ovvero colui che si occupava di realizzare le pergamene.

Nel giro di circa un decennio, al primo documento se ne aggiungono altri, andando a formare un corpus che spazia su vari argomenti: cronache, atti giuridici, poemi, sonetti e panegirici scritti in latino, volgare italiano e sardo medievale che Pillito, ovviamente, non ha problemi a decifrare e trascrivere.

Un miraggio troppo bello per essere vero

Nel clima romantico e nazionalista di metà Ottocento la scoperta di quell'incredibile tesoro è un’autentica bomba per vari motivi:

Le Carte di Arborea trovano il sostegno di personaggi di spicco nel regno sabaudo come Carlo Baudi di Vesme e Alberto La Marmora, che provvedono a farne pervenire copia all’Accademia delle Scienze di Torino.
Baudi di Vesme fa di più: riesce a strappare a Theodor Mommsen, storico e massima autorità mondiale in materia di filologia ed epigrafia, la promessa di analizzare le pergamene. Il responso del luminare tedesco arriva ai primi del 1870 ed è lapidario: le Carte di Arborea sono un falso.

Conseguenze

Il verdetto gela il mondo accademico isolano e piemontese che, tuttavia, accetta la sentenza senza protestare, consapevole di essere cascato con tutte le scarpe in una figuraccia di dimensioni colossali.
Mommsen mantiene il riserbo sui falsi di Arborea fino all’ottobre 1877 quando, ospite di un convegno a Cagliari, semina l’imbarazzo tra i presenti rievocando la vicenda. In più, lo storico conclude il suo intervento sostenendo in modo assai poco prudente che anche la giudicessa Eleonora d’Arborea non era altro che una leggenda.
Mal gliene incorse: un gruppo di sconosciuti lo affrontò mentre si dirigeva all’imbarco del piroscafo per fare ritorno in Germania e gli sottrasse taccuini e carteggi, facendoli a pezzi in quanto “non era degno di maneggiare argomenti che non conosceva”.

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