mercoledì, gennaio 14, 2009

 

Mivtza Oferet Yetzukah



Non posso definirmi esperto di questioni mediorientali, non ho congiunti, proprietà o attività in Israele, Egitto o nei territori palestinesi, non ho accesso a informazioni riservate e la mia opinione di blogger, di per sé influente quanto il 2 di briscola, non è stata sollecitata da alcuno. A rigore, date queste premesse, potrei - e forse dovrei - evitare di impelagarmi in un commento a quanto sta accadendo a Gaza e dintorni.

Stendiamo un velo pietoso sulla credibilità delle informazioni fornite dai media italiani, mai come in questo caso infima.
Come ci si può fidare di reportage che sono, per amore o per forza, la copia carbone dei briefing dello stato maggiore israeliano? Per lo stesso motivo, all'opposto, non prendo per oro colato le “corrispondenze militanti” da Gaza di Vittorio Arrigoni, reporter per Il Manifesto.
D'altronde, almeno sino a oggi, c'è ben poco di oscuro, imprevedibile e incomprensibile nel corso degli eventi.

Da una parte c'è Israele, per cui la Striscia di Gaza nelle mani di Hamas è un bubbone infetto o un tumore maligno da estirpare, che non poteva che reagire con la massima durezza alla nuova pioggia di razzi Qassam sulle città del sud.
Inoltre, l'inflessibilità e la metodicità con cui Tel Aviv sta martellando la Striscia di Gaza sono direttamente proporzionali all'orgoglio ferito e alla frustrazione accumulati nell'ultimo anno vedendo i suoi nemici giurati non solo sempre meglio organizzati e armati, ma anche ringalluzziti dopo l'esito fallimentare della campagna in Libano e l'umiliazione dello scambio tra 200 detenuti per terrorismo e le salme di due soldati catturati.

Dall'altra ci sono i vertici di Hamas, che si aspettavano una massiccia invasione via terra e l'hanno considerata un rischio accettabile.
Le vittime civili di un'operazione militare condotta in un'area densamente popolata, infatti, sono materiale di propaganda per Hamas, sono i “martiri” da ostentare al mondo arabo e non solo per accreditarsi come paladino della resistenza contro il mostro sionista.
Inoltre, forte delle esperienze passate, Hamas si aspetta che il governo israeliano ordini a T'zahal di entrare nel cuore di Gaza e dei campi profughi, così da costringerlo a logorarsi combattendo strada per strada, nel dedalo di vicoli, casa per casa.
Il fattore tempo è decisivo: Hamas è disposta a resistere a oltranza contando sul fatto che le perdite tra i soldati, la lunghezza delle operazioni ed eventuali mattanze destabilizzino l'opinione pubblica israeliana e inducano gli alleati internazionali di Israele a esercitare pressioni sempre più persuasive. Il costo in termini di vite umane e di distruzioni è quasi ininfluente, perché per Hamas l'obiettivo da raggiungere è una "vittoria ai punti", dimostrare di non poter essere piegata e costretta alla resa dalla poderosa macchina bellica israeliana.

A questo punto ci sono due considerazioni da fare.
In primis, entrambe le parti stanno giocando una partita di scacchi dove nessuna mossa è realmente risolutiva.
Per quel che posso capire, nella migliore delle ipotesi l'operazione Oferet Yetzukah (Piombo Fuso) fiaccherà per qualche tempo le capacità belliche di Hamas e costringerà l'organizzazione integralista a trattare una nuova tregua.
Ben difficilmente, invece, le cannonate daranno il risultato politico che sta a cuore al governo israeliano: infliggere la spallata decisiva alla credibilità e al potere di Hamas sulla Striscia di Gaza.
In secondo luogo, nessuno dei contendenti sembra aver incluso seriamente nei suoi calcoli il futuro della Striscia di Gaza, i costi della ricostruzione e le prospettive di oltre un milione di persone che già scontavano la pena di vivere sigillate in un lembo di Medio Oriente tra i più disastrati ed economicamente depressi.

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Comments:
Io l'unica cosa di cui mi sono reso conto è che l'odio in quelle zone è stantio, ormai trasuda anche dalla terra e finchè non si spegnerà l'odio cose come quelle di oggi succederanno sempre.
 
@Duhangst
- Giusta considerazione. Più si scava nello sforzo di comprendere le radici dell'odio, attribuire torti e ragioni e delineare un percorso di pacificazione, più le poche certezze di partenza si sfaldano, diventano fragili e irte di contraddizioni.
D'altra parte penso che la nostra visione del conflitto resti parziale e troppo "europea". E' un po' come se chiedessero a chi non ha mai sperimentato un cataclisma, una rapina o uno stupro di descrivere in prima persona le sensazioni di chi è sopravvissuto a tali prove.
 
Be', per qualcuno che non si ritiene esperto in materia, hai detto più della maggior parte degli "esperti".
E grazie a te ho capito chi sia Arrigoni, tanto decantato da quel cretino che viene ad insultarmi, adesso ho messo la moderazione dei commenti.
Ciao,brutti tempi.
 
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