martedì, agosto 30, 2022

 

Chi di GALSI ferisce...



Era inevitabile che, con le quotazioni del metano sul libero mercato schizzate alle stelle e il timore di un futuro prossimo di ristrettezze con i rubinetti dei metanodotti russi chiusi da Mosca, si riesumasse con rimpianto il ricordo del progetto - abortito - del gasdotto Algeria-Italia, noto come GALSI.
Nei giorni scorsi, infatti, eurodeputato eletto con la Lega ha presentato un’interrogazione per chiedere alla Commissione Europea chiarimenti in merito al GALSI, ricevendo in risposta il rabbuffo della Commissaria all’Energia, l’estone Kadri Simson, che ha avuto vita facile nel puntare il dito sull’incapacità dei governi italiani di utilizzare i 120 milioni di euro stanziati dall’Europa, non spesi e perciò tornati nel bilancio UE.

Cosa era, sulla carta, il GALSI?

Il progetto, sviluppato in partnership da Sonatrach, Edison, ENEL, Wintershall, Hera Trading, Sfirs (finanziaria della Regione Sardegna) e Snam Progetti, prevedeva la realizzazione di un gasdotto dai giacimenti nell’entroterra algerino sino a Piombino, dove il metano sarebbe stato immesso nella rete energetica nazionale.
Il percorso si sarebbe snodato per quasi 600 km attraverso condutture sottomarine e per circa 270 km in una dorsale a terra in Sardegna, con il territorio tagliato quasi in diagonale da SW (Porto Botte) a NE (Olbia).
Per il completamento dell’opera erano previsti 20 anni di lavori per un costo complessivo che stimato intorno ai 4 miliardi di €.
A pieno regime per il GALSI sarebbero fluiti 8 miliardi di metri cubi di gas metano l’anno: un contributo al fabbisogno energetico nazionale sostanzioso anche se non risolutivo, stante che i consumi annui di gas naturale in Italia sono nell’ordine di oltre 76 miliardi di mc, e in ogni caso una mossa intelligente in un’ottica di diversificazione dei fornitori.

Perché il GALSI non è decollato?

Questa è la parte più complicata del racconto. Spulciando gli articoli d’archivio risalenti a una dozzina e passa di anni fa è difficile destreggiarsi tra polemiche nimby, interrogativi legittimi, strategie idi mercato e decisioni prettamente politiche.

In discussione c’era la reale convenienza dell’opera. Le analisi di mercato, infatti, portavano a dubitare che anche nel lungo periodo le quotazioni del metano avrebbero avuto rialzi tali a rendere profittevole l’investimento; Edison, uno dei principali partner, fu la prima a mettere le mani avanti in questo senso.

Diverso è il discorso sulla vita operativa del gasdotto, legata allo stato delle riserve di idrocarburi nei giacimenti algerini. Se la stima di 25 anni prima dell’esaurimento era corretta, anche qualora fossero stati rispettati i tempi di consegna gli 8 miliardi di mc di gas sarebbero stati garantiti per un lasso di tempo di 5 anni o poco più.
Ne sarebbe valsa comunque la pena?
Sì, se si pensa alla nostra dipendenza energetica che rende attrattivi i giacimenti off-shore non ancora coltivati nell’Adriatico benché le stime sulle loro riserve di idrocarburi siano piuttosto modeste. Secondo alcuni esperti, se si sfruttassero tutti i giacimenti presenti sul territorio italiano si arriverebbe a coprire per alcuni anni circa il 10% del fabbisogno energetico in luogo dell’attuale 6% (3,3 miliardi di mc).

Ci sarebbero, poi, i controversi capitoli dell’impatto ambientale e del rapporto sacrifici/benefici per la Sardegna, non a caso gli argomenti su cui maggiormente infuriarono le polemiche.
L’attraversamento del territorio isolano avrebbe inevitabilmente comportato sacrifici notevoli in termini ambientali, di espropri e di limitazioni alle attività.
Anche prestando fede alle rassicurazioni sul ripristino ambientale presenti nel progetto, quali sarebbero state le contropartite per l’isola? Sulla carta NIENTE.
Nessuna royalty, dato che il gas sarebbe stato estratto all’estero, e non un solo mc del metano trasportato, di cui si prevedeva solamente il transito.
La metanizzazione della Sardegna, con le reti gas che tuttora coprono solo un numero irrisorio di comuni, non era un problema di competenza del GALSI. I costi - improponibili - di realizzazione degli allacci e delle diramazioni sarebbero stati, perciò, totalmente a carico delle casse comunali, consortili o regionali. Ancora di recente i vertici dell’ENEL hanno ribadito che nel futuro energetico della Sardegna non c'è posto per il metano (en passant, una manna per il GPL distribuito in bombole e bomboloni).
Era da scartare anche la possibilità di ottenere come partita di giro sconti sulle forniture alle imprese isolane energivore perché si dava per scontato che ciò avrebbe fatto scattare la mannaia dell’Unione Europea sugli "aiuti di Stato".

A torto o a ragione, pertanto, il GALSI si presentava come un progetto per molti versi solido e sensato, sfidante dal punto di vista ingegneristico ma mai del tutto convincente sotto il profilo della sostenibilità ambientale, economica e sociale. In altre parole, una mega infrastruttura difesa poco e male dagli stessi proponenti e - vista dalla Sardegna - l’ennesima servitù imposta all’isola.

Dal punto di vista politico, infine, è quanto mai probabile che il GALSI sia stato sacrificato dai governi succedutisi dal 2011 in poi un po’ per il mutato quadro economico mondiale e nazionale, con l’onda della recessione arrivata dagli USA e il debito pubblico italiano messo sotto stretta sorveglianza dall'Europa, un po’ perché, per una convergenza di interessi tra imprese e partiti, si scelse di andare al risparmio affidandosi al metano russo, conveniente e disponibile pronta cassa.

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