sabato, settembre 09, 2023

 

Nucleare: ciò che Salvini non dice



Uno dei temi di propaganda che la Lega sembra intenzionata a cavalcare in vista delle prossime elezioni europee è il ritorno al nucleare in nome della indipendenza energetica.

Secondo Matteo Salvini questa svolta nella politica energetica nazionale sarebbe fattibile nel giro di pochi anni: appena 5 per la costruzione della prima centrale atomica di "ultimissima generazione", sicura e "verde", in un programma che ne prevederebbe una decina da dislocare sul territorio nazionale.

Non sono contrario per principio all'energia nucleare ma, tanto per cambiare, le affermazioni del leader leghista nonché ministro dei trasporti sembrano affette da patologica “annuncite”, ovvero “mettere il carro davanti ai buoi”.

Ci sta che Salvini usi un linguaggio discorsivo e nebuloso sulla "ultimissima generazione" trattandosi di un aspetto tecnico. Basti considerare che la maggior parte delle centrali attive sono di seconda generazione, della terza se ne contano 3 o 4 nel mondo e hanno richiesto decenni e costi altissimi per essere completate, mentre sulla quarta generazione esistono solo ipotesi e studi, di cui l'unico fattibile in tempi relativamente brevi riguarda i reattori di piccole dimensioni.

Salvini, però, si guarda bene dal descrivere l'attuale situazione del nucleare in Italia, soprattutto per quanto riguarda la gestione delle scorie radioattive.
Dal 1987 (anno dei referendum) a oggi, infatti, non siamo ancora riusciti a completare il ricondizionamento e lo stoccaggio definitivo in sicurezza delle scorie radioattive provenienti in massima parte dalle 4 centrali nucleari smantellate e dai siti dismessi della filiera nucleare, ma anche da rifiuti industriali e di reparti ospedalieri di medicina nucleare. Stiamo parlando di circa 95.000 mc. di materiale a bassa, media e alta (solo il 3%) radioattività.

Manca un elemento-chiave presente in altri Paesi europei: il Deposito Nazionale.
Il progetto esiste da tempo e prevede una struttura interrata che occuperà una superficie di circa 150 ha. realizzata in moduli di calcestruzzo armato e di cemento disposti a più livelli di contenimento come una sorta di matrioska. Per il completamento dell’opera occorrerebbero, in teoria, 4 anni con 4.000 operai al lavoro per una spesa stimata in 900 milioni di €.
Solo che dal 2022 la lista ristretta dei siti con le caratteristiche ideali per accogliere il Deposito Nazionale giace secretata presso i ministeri competenti ed è ancora tutta da espletare la spinosa fase di negoziazione con gli enti locali coinvolti.

L’impasse è tutto politico perché nessuno - Lega inclusa - gradisce l’idea di intestarsi una decisione tanto controversa rischiando di alienarsi un territorio.
Traccheggiare, però, costa caro: abbiamo già speso cifre notevoli per mandare tonnellate di combustibile radioattivo a riprocessare nel Regno Unito e in Francia con la promessa di riprendercele entro il 2025 per stoccarle nel Deposito Nazionale ultimato (promessa chiaramente irrealizzabile), con Parigi che non pare più disposta a reggere il gioco accettando ulteriore materiale da trattare.

Ciò che Salvini omette di dire, infine, è che non basta costruire una o più centrali atomiche “sicure” senza sforare tempi e costi quando c’è anche da ricostruire tutta o quasi la filiera italiana dell’energia atomica.

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