mercoledì, maggio 28, 2008

 

Nelle pelle altrui



the bear surgeon
Su La Magia della Scrittura ultimamente si scrive spesso di linguaggio della salute e dell’importanza della comunicazione in campo medico.

L’argomento può sembrare astratto e poco attraente finché non iniziamo a riflettere sui tanti casi spiccioli in cui ci siamo trovati in difficoltà nel comprendere qualcosa d’importante o di essenziale che riguardava la salute nostra o dei nostri familiari.
C’è solo l’imbarazzo della scelta: dalle volte che abbiamo maledetto la pessima grafia del medico di famiglia tentando di decifrare le prescrizioni stenografate su una ricetta a quando siamo usciti interdetti e confusi dal consulto di uno specialista che ha liquidato sbrigativamente le nostre preoccupazioni quasi fossero bagatelle indegne della sua attenzione e del suo prezioso tempo.

Talvolta i problemi di comunicazione in campo medico si presentano con l’aspetto banale e dimesso dei foglietti informativi contenuti nelle confezioni dei farmaci, non a caso chiamati comunemente “bugiardini”, ma in altre occasioni si affacciano nei momenti più drammatici dell’esistenza di un individuo e dei suoi cari, com’è avvenuto giusto 10 anni fa con l’esplodere del “caso Di Bella”, la controversa terapia antitumorale proposta dal Dott. Luigi Di Bella.
Difficile spiegare a chi non c’è passato cosa significhi veder balenare una tenue speranza di salvezza e - sebbene si resti scettici - desiderare di afferrarla per poi doversi arrendere all’evidenza che è una chimera irraggiungibile, che non ci sarà né modo né tempo per tentare.

Cittadino, degente, essere umano

C’è un’altra esperienza - più comune ma non per questo meno sconvolgente e dolorosa - che mette a nudo la complessità del rapporto tra medici e pazienti, le invisibili barriere culturali, linguistiche e di sensibilità che possono separare chi detiene la conoscenza e chi ha estremo bisogno di capire e di essere rassicurato: il ricovero in ospedale.

Le strutture di cura non sono mete di villeggiatura, questo è sin troppo ovvio, ma è solo vivendo in prima persona la degenza che si ha una percezione chiara di cosa sia la fragilità, la vulnerabilità psicologica di una persona separata dal suo ambiente, dalle sue abitudini, dalla libertà di scelta.
Il gesto di spogliarsi degli abiti per indossare pigiami, camicie da notte e vestaglie è il simbolo visibile del passaggio dalla condizione di cittadino allo status di degente: una sottile e momentanea mortificazione e una parziale perdita di identità che sono un tributo accettabile alla speranza di essere restituiti quanto prima al mondo integri e in salute.

D’altra parte, la struttura ospedaliera è una comunità che ha regole inderogabili codificate per garantire prima di tutto il suo buon funzionamento. Il degente non può far altro che adattarsi assumendo un atteggiamento di subordinazione e di paziente remissività poiché la vita, la salute e il benessere futuri sono nelle mani di altri e dipendono da eventi su cui non ha controllo.

Non è un caso che visitare gli infermi e i carcerati siano annoverate tra le Opere di Misericordia: la degenza in ospedale, infatti, crea un bisogno relazionale di gran lunga superiore all’usuale.
Il “tempo morto”, l’inattività, l’essere confinati in un letto spesso nell’impossibilità di provvedere personalmente alle più elementari esigenze fisiologiche creano una dipendenza fortissima dai contatti umani rassicuranti e la necessità, altrettanto impellente, di ottenere risposte dal personale medico e paramedico.
E qui entrano in scena la sensibilità e la preparazione, non solo tecnica, di chi deve deve prendere decisioni che influiscono direttamente sulla salute del paziente.

Da una parte, il medico curante non può e non deve lasciarsi coinvolgere dal carico di ansia e di sofferenza che ha dinanzi e di cui è spettatore attivo. Dall’altra ci si può chiedere se l’applicazione formale del consenso informato sia da sola sufficiente a sollevare lo staff medico dalla responsabilità morale e professionale di fornire informazioni e delucidazioni comprensibili al ricoverato.

Senza voler fare ingiuste e ingiustificate generalizzazioni, l’impressione è che la necessità di spalmare il tempo a disposizione tra molti pazienti, unite alla convinzione che le prestazioni intese come erogazione puntuale delle terapie rappresentino una risposta assistenziale auto-evidente, portino i medici ospedalieri a non esporsi e a non uscire dalla neutralità scientifica del “medicalese” quando non lo ritengano inevitabile o strettamente indispensabile.
Forse si è indotti a trascurare che le capacità diagnostiche e la perizia professionale non hanno nulla a che vedere con un’effettiva conoscenza della sofferenza fisica e psicologica che c'è dall'altra parte del fonendoscopio. L’abilità e l’esperienza, infatti, non dovrebbero far dimenticare che attività di routine come, ad esempio, le endovene, le cateterizzazioni, i prelievi o il posizionamento di sondini creano tensione, dolore e angoscia che andrebbero stemperati con il dialogo, le attenzioni e comportamenti tali da minimizzare il disagio.

In definitiva, in un’attività delicata come quella medica non si dovrebbe sottovalutare un’elementare verità: la cosa più difficile è mettersi nella pelle degli altri.

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Comments:
Grazie per Prince in sottofondo..
Quanto alle tue ultime riflessioni..per brutte esperienze personali non posso che darti ragione..mentre in Italia stiamo sempre più copiando gli standard Americani..dove dopo 3 giorni successivi ad un operazione..ti spediscono a casa senza troppi complimenti..glissando sulla necessità di verificare realmente le condizioni del paziente..!
 
ok, che dire...
grazie per l'invito, e
a presto scambiare punti e linee di vista.
:)
ciao, e.
 
Grazie per la tua attenzione, Marcello, e per la consueta sensibilità e profondità con cui ti accosti agli argomenti.

Ciao,
a.
 
Mia moglie è infermiera: sono, siamo, assai sensibile/i all'argomento che tu, tratti, come sempre, molto bene.
Vedo con piacere che scrivi più spesso: spero di poterti venire a trovare con assiduità anch'io.

Meglio la Bachmann dei mutui, eh?
Buona giornata
Daniele (Macca)
 
Tocchi argomenti su cui sono molto sensibile... E' davvero difficile mettersi nei panni degli altri nel mondo che stiamo vivendo, Giulia
 
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