domenica, settembre 15, 2013

 

Zona Francamente Inconsistente



Zona Franca Integrale

Non ho alcun interesse specifico a schierarmi nella disputa sulla cosiddetta Zona Franca Integrale per la Sardegna. Anzi, a conti fatti schierarsi - soprattutto sul Web - significa cercare guai, data la crescente inclinazione di chi popola i social network a passare direttamente all’insulto, alla minaccia e al rogo in effige senza prendersi il disturbo di argomentare il dissenso verso le opinioni sgradite.
Tuttavia mi dispiace, e lo dico sinceramente, che molti si spendano con entusiasmo e generosità per una battaglia spacciata per l’accesso alla Terra Promessa e la panacea di tutti i problemi della Sardegna, mentre le basi giuridiche ed economiche appaiono fragili e fumose al punto di sembrare una fuga nell’immaginario.

Se le cose andranno come penso, non ci sarà nessuno abbastanza onesto da rivolgersi pubblicamente a questa base di attivisti ammettendo: “Scusate, abbiamo sbagliato”. Temo invece che la Zona Franca Integrale andrà a fare compagnia ai protocolli di cura rigettati, alle scie chimiche e ai chip sottocutanei di controllo nel repertorio della “informazione alternativa” come esempio di grande opportunità sfumata per il complotto demo-pluto-giudaico-massonico dei soliti poteri forti assecondati da politici sardi prezzolati.

Cerco ora di spiegare di cosa sto parlando. I fautori della Zona Franca Integrale vogliono l’estensione all’intero territorio regionale della Sardegna del regime di extradoganalità previsto per i porti e i punti franchi, ovverosia zone che fanno parte del territorio di uno Stato, ma sono considerate fuori dei suoi confini doganali e, perciò, esentate dall’applicazione di dazi doganali, IVA e accise su prodotti e servizi.

Che io sappia, in Italia esistono due località in cui si applica da tempo la Zona Franca: Livigno e l’exclave di Campione d’Italia. Altre due zone potrebbero beneficiarne, ma hanno preferito ottenere dallo Stato forme di fiscalità di vantaggio di altro genere: la Val d’Aosta (per Statuto Regionale) e il territorio di Gorizia.
A livello europeo, invece, gli esempi di Zona Franca applicata sono gli arcipelaghi delle Canarie e delle Azzorre e i territori francesi d’oltremare.
L’evidente ragion d’essere delle Zone Franche è compensare, attraverso un regime fiscale speciale, la penalizzazione dovuta a una collocazione geografica ultra-periferica e disagiata, promuovendo l’allineamento delle economie locali a quelle degli Stati di appartenenza e prevenendo lo spopolamento.
Senza questi oggettivi e riconosciuti presupposti di svantaggio, l’Unione Europea non è propensa a dare semaforo verde all’istituzione di nuove Zone Franche, classificandole come inammissibili “Aiuti di Stato”. Non a caso, l’istruttoria di Bruxelles sulla Zona Franca di Livigno è stata chiusa perché il regime extradoganale è applicato su un ambito territoriale talmente ristretto e isolato da non creare apprezzabili fenomeni di distorsione del mercato.

Problema numero 1: la Sardegna rientra nei parametri comunitari per ottenere lo status di Zona Franca integrale?
In linea di principio, l’insularità della Sardegna è indiscutibile, così come è oggettivo lo svantaggio competitivo delle merci prodotte sull’isola. Inoltre, sin dai trattati istitutivi della CEE uno degli obiettivi di fondo che l’Europa si è data è quello di ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle diverse regioni e il ritardo di quelle più svantaggiate e insulari.

Sta di fatto, però, che anche in sede di revisione del regolamento attuativo del codice dogale comunitario, avvenuta pochi mesi fa, la Sardegna non è nominata tra i territori esenti dai dazi doganali.
Dimenticanza? Tradimento? Complotto?
Forse sarebbe più giusto parlare di ignavia - antica e recente - a livello regionale, dato che l’istituzione di punti franchi è prevista dall’articolo 12, comma secondo, dello Statuto regionale approvato con Legge Costituzionale nel lontano 1948. Per inciso, il primo comma stabilisce la competenza esclusiva dello Stato in materia di regime doganale.
Inoltre, in attuazione dell’articolo 12 dello Statuto, il Decreto Legislativo 10 marzo 1998 n.75 dispone l’istituzione in Sardegna ”di zone franche nei porti di Cagliari, Olbia, Oristano, Porto Torres, Portovesme e Arbatax, nonché in altri porti e aree industriali a essi funzionalmente collegate o collegabili. La delimitazione territoriale delle zone franche e la determinazione di ogni altra disposizione necessaria per la loro operatività viene effettuata, su proposta della regione, con separati decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri”.

E qui viene il bello.
Sebbene io abbia abbandonato da oltre un ventennio gli studi giuridici, trovo fumosa e difficile da difendere l’interpretazione estensiva degli articoli citati fatta dai sostenitori della Zona Franca Integrale, secondo cui la Sardegna vanterebbe dal 1948, e tanto più dal 1998, un diritto all’extradoganalità per il 100% del suo territorio.
Si vorrebbe che la perimetrazione dei porti franchi e delle aree industriali a essi funzionalmente collegate o collegabili sia il grimaldello logico-giuridico per quest’operazione di copertura integrale. Per quanto mi riguarda, in punta di diritto la trasformazione implicita dei porti franchi in isola franca mi sa tanto di “credevo fosse amore, invece era un calesse”.
Inoltre, anche seguendo lo schema previsto dal decreto legislativo del ’98 è poco plausibile che il governo nazionale appoggi l’istituzione di una Zona Franca su scala regionale non fosse altro perché sarebbe come gettare un cerino acceso nella polveriera dei rapporti Stato-Regioni e sulla più che precaria stabilità dei conti pubblici.

In ogni caso le chiacchiere in libertà sono state tante, gli annunci roboanti pure, ma i fatti dicono che l’Europa tra pochissimo chiuderà a chiave il fascicolo delle zone franche e la Sardegna resterà al palo.

Quesito numero due: ammettiamo per ipotesi che la Regione abbia proposto, il governo nazionale acconsenta e l’Europa sia disponibile a fare buon viso a cattivo gioco. La Zona Franca Integrale è davvero la cura miracolosa contro il declino e la desertificazione della Sardegna?

La visione suggestiva propagandata dai promotori della Zona Franca Integrale è il cartello dei prezzi alle pompe di benzina, gli scaffali che traboccano di merci a prezzi da sballo, i casinò in stile Las Vegas e le imprese che bussano alla porta per investire e dare occupazione.
Si tratta, però, di una “cartolina” ampiamente ipotetica, perché ciò che funziona a Livigno o a Campione non è detto che sia replicabile su scala molto più vasta.
La ragione sta nel fatto che la Zona Franca Integrale non è sinonimo di paradiso fiscale alla San Marino o isole Cayman e, da sola, non basta ad attirare investimenti internazionali e creare nuovi posti di lavoro. I maggiori benefici del regime extradoganale consentito dalla UE, infatti, ricadono sulle imprese che fanno export su export come quelle che movimentano container nel Porto Canale di Cagliari.
Per vincere la concorrenza di Paesi come Turchia, Serbia, Montenegro, Croazia e Slovenia, che possono mettere sul piatto sgravi fiscali importanti e un costo del lavoro quasi irrisorio, occorre affiancare la Zona Franca con robusti incentivi da parte della Regione e dello Stato.
Ergo, ogni posto di lavoro creato dalla Zona Franca avrà un costo aggiuntivo semi-occulto a carico dei contribuenti, con tutto ciò che ne consegue in termini di stabilità e di sostenibilità economica.

Non dimentichiamo un altro dettaglio: con l’eventuale avvento della Zona Franca Integrale, la Regione Sardegna dovrebbe raddoppiare l’attenzione sulla tenuta del proprio bilancio perché i 9/10 del gettito IVA generato sul territorio regionale che oggi lo Stato deve ritrasferire ai sensi dell’articolo 8 dello Statuto regionale si ridurrebbero a un magro rivoletto.
A tutti questi inconvenienti, tuttavia, si potrebbe ovviare qualora la ZFI fosse realmente in grado di fare da volano a una robusta crescita dell’economia sarda.

Ok, fin qui le mie obiezioni di principio. Tralascio quelle legate al goffo intervento di un noto personaggio pubblico in cerca di maquillage all’immagine perché trattasi di soggetto notoriamente capace di provocare danni anche quando non prende iniziative.

Resta però il fatto che no ci si può limitare a dire NO schizzinosi, a difendere l’indifendibile classe dirigente sarda che in 60 anni si è baloccata in chiacchiere e nella spartizione di feudi, prebende e fondi pubblici, ad assistere inerti all’impoverimento e alla disgregazione di un’isola lasciata senza futuro, da cui chi può emigra.
Il merito dei promotori di Zona Franca Integrale è aver rimesso al centro dell’attenzione le questioni dell’isola che si sta spopolando e dell’insufficiente attuazione di misure di fiscalità di vantaggio e dei porti franchi.
Su questi argomenti chiunque reggerà le sorti della Regione Autonoma della Sardegna dopo le prossime elezioni amministrative dovrà misurarsi e dare risposte, possibilmente con i fatti.

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