sabato, marzo 26, 2016
desslisia-dislessia
Mettersi nei panni altrui non è facile, tanto più quando non riusciamo a immaginare cosa si provi a vivere una situazione anomala rispetto a ciò che consideriamo l'assoluta "normalità".
Un disturbo alle facoltà di apprendimento (DSA), ad esempio, è qualcosa di difficile da concepire perché si tratta di un freno nascosto, elusivo, che non interferisce né con l'intelligenza né con le facoltà sensoriali, motorie o di socializzazione.
E' arduo mettersi nei panni di un ragazzino in età scolare che abbia una forma anche lieve di dislessia, disgrafia o discalculia. Ciò che si percepisce dall'esterno è solo la lentezza tormentosa e la fatica - fisica e mentale - nella decodifica di un testo, nella stesura di un compito scritto o in quello che un tempo si definiva far di conto.
Da genitori, la reazione standard è raddoppiare gli sforzi, gli esercizi di lettura, scrittura e calcolo aritmetico, nella speranza che un allenamento intensivo possa vincere le resistenze e gli impacci di un figlio che sembra "poco portato" o incline a perdere facilmente la concentrazione.
Nelle aule scolastiche, poi, il problema si amplifica all'ennesima potenza nel confronto con il resto della classe e gli insegnanti. Se anche un professore avesse il vago sentore di un DSA dietro le difficoltà di un alunno che non si applica, mancano il tempo, le competenze e le risorse per intervenire.
Tornando al problema di "visualizzare" il disturbo, mi ha colpito il simulatore dell'esperienza di lettura di un dislessico che trovate a questo indirizzo. Trovo che nella sua semplicità senza pretese sia un esperimento riuscito, ma soprattutto istruttivo.
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