lunedì, ottobre 10, 2022

 

In memoria di Antonio Russo, reporter scomodo e dimenticato



La mattina del 16 ottobre 2000 il cadavere di Antonio Russo, 40 anni, reporter free lance e collaboratore di Radio Radicale, veniva trovato sul ciglio di una strada poco frequentata a circa 25 km da Tbilisi, capitale della Georgia.
L’esame autoptico accerterà che il corpo del reporter, apparentemente integro, presentava lo sfondamento della cassa toracica e diffuse lesioni agli organi interni compatibili con un pestaggio condotto con tecniche in uso presso unità militari specializzate. Inoltre, l’alloggio di Russo a Tbilisi risultò svaligiato da ignoti che avevano fatto sparire bloc-notes, articoli, registratore, videocamera, nastri audio e video e il telefono satellitare, disdegnando denaro e altri oggetti di valore.

Qui finiscono le poche certezze: a distanza di 22 anni la morte di Antonio Russo è rimasta un cold case archiviato e, in larga misura, dimenticato. Le indagini condotte dalla Procura di Roma e dagli inquirenti georgiani, infatti, si conclusero in un nulla di fatto.
A questo punto, però, è necessario chiarire chi era Antonio Russo e cosa l’ha condotto a morire in Georgia.

Un reporter anomalo e scomodo

Antonio Russo approda al giornalismo alla fine degli anni ’80 proveniente dall’esperienza politica nelle file dei giovani federalisti e dei Radicali. E’ un reporter “anomalo” a cominciare dal rifiuto di sottostare alla trafila per l’iscrizione all’albo dei giornalisti. Malgrado la mancanza del tesserino, che talvolta gli verrà fatta pesare trattandolo da “abusivo”, Russo impara sul campo il mestiere dell’inviato di guerra seguendo i conflitti in Algeria, Rwanda, Zaire, Bosnia e Kosovo.

A Pristina, Antonio Russo è l’ultimo giornalista occidentale a lasciare la città nonostante i bombardamenti e l’ultimatum impartito da Slobodan Milosevic. Sa di essere finito nel mirino delle autorità di Belgrado a causa delle sue corrispondenze per Radio Radicale in cui denunciava le operazioni di pulizia etnica contro i kossovari di etnia albanese. Così quando le truppe serbe iniziano i rastrellamenti casa per casa, si mette in salvo rocambolescamente salendo su un convoglio di profughi diretto verso la Macedonia del Nord. Rimasto bloccato al confine, viene dato per disperso finché non raggiunge Skopje a piedi.

Le posizioni sul conflitto in Kosovo e sull’intervento militare della NATO espresse senza alcuna concessione alla diplomazia in collegamento con Radio Radicale e con il talk show Moby Dick di Michele Santoro procurano a Russo più problemi che benefici anche in Italia, tant'è vero che alla stazione ferroviaria di Mestre, di ritorno da un convegno a Treviso, viene riconosciuto, contestato e malmenato da un gruppo di pacifisti reduci da una manifestazione anti-NATO svoltasi ad Aviano.

Cecenia

Antonio Russo si trasferisce nella Repubblica di Georgia allo scopo di seguire, attraverso canali non ufficiali, la seconda guerra cecena.
Entrare in Cecenia a ostilità iniziate senza essere giornalisti accreditati da Mosca significava rischiare di essere passati per le armi sul posto dalle forze russe oppure finire catturati e uccisi dai separatisti musulmani perché scambiati per spie.
Malgrado la frontiera sia sigillata, Russo ricava dalle informazioni che filtrano in Georgia la conferma della volontà di Putin di sradicare il focolaio islamista nel Caucaso definitivamente e a qualsiasi costo, incluso il ricorso ad armamenti e tattiche di controguerriglia in deroga alle convenzioni internazionali.

Pochi giorni giorni prima di essere assassinato, Russo telefona ai familiari annunciando il rientro in Italia e accenna di aver acquisto un video scioccante sulle atrocità commesse dall’esercito russo e dai suoi alleati ceceni del clan Kadyrov. Secondo alcuni amici, il reporter avrebbe ottenuto le prove dell’impiego di granate all’uranio impoverito oppure di torture e massacri su donne e bambini; si tratta, però, di mere supposizioni.

Nonostante l’assenza di prove, è plausibile che Russo con quell’ultima telefonata a casa abbia firmato la propria condanna a morte. Resta un mistero insondabile come un inviato di guerra esperto abbia potuto lasciarsi andare al telefono a rivelazioni tanto incaute, quasi avesse deciso di sfidare la sorte mettendo alla prova la reattività degli apparati di intelligence russi o di altri Paesi.

Al di là di un'incongruenza forse rivelatasi esiziale, Antonio Russo merita di essere ricordato per il suo essere stato un hombre vertical, spigoloso, scomodo ma anche eticamente integro nell'assolvere la professione di giornalista e inviato di guerra.
«Fondamentalmente dobbiamo ricordarci che l’informazione è un veicolo diretto all’utente, non un soliloquio da parte del giornalista. Bisogna sempre tener presente che chi è dall’altra parte deve poter comprendere una realtà in cui non è presente. Questo, penso, è il massimo sforzo che i giornalisti devono compiere.»

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