giovedì, marzo 20, 2008

 

Need for peace


earthLe notizie che arrivano dal Tibet ripropongono per l'ennesima volta il nodo irrisolto del nostro approccio tiepido, superficiale ed emotivo agli eventi che hanno luogo fuori dei confini di casa nostra.

Diciamocelo pure, dopo aver sfogliato un quotidiano o quando parte la sigla di coda di un telegiornale qualsiasi ci sentiamo tutti un po' come Pasquale Cafiero, il brigadiere del carcere di Poggioreale cantato da Fabrizio De Andrè nella magistrale “Don Raffaé”
Prima pagina, venti notizie,
ventuno ingiustizie e lo Stato che fa?
Si costerna, s'indigna, s'impegna,
poi getta la spugna con gran dignità.
Mi scervello, m’asciugo la fronte
Per fortuna c'è chi mi risponde...
E se a stento riusciamo a raccapezzarci su quanto accade nostro piccolo orticello, figuriamoci che succede quando ci troviamo a decifrare la complessità di ciò che capita in altre parti del globo.
L'accesso alle informazioni, in questo caso, passa attraverso più filtri che spesso ci restituiscono solo ricostruzioni confuse e parziali dei fatti. Senza che ce ne accorgiamo, perciò, finiamo per basare la nostra visione del mondo su letture ideologicamente orientate che vengono spacciate per verità.

Però la nostra inconsapevolezza sconfina nella connivenza quando - vuoi perché la rotazione delle notizie è sempre più veloce, vuoi per "scelte editoriali" - una determinata situazione scompare dai mass media, cala cioè una cappa di silenzio che siamo indotti a interpretare come sintomo che tutto vada bene, che la crisi è rientrata e che possiamo dimenticare.
Non è quasi mai così, ma intanto l'ondata emotiva si è spenta e al suo posto è subentrata una sorta di apatia.

La situazione in Tibet presenta molti punti in comune con quella di alcuni mesi fa in Birmania. Tuttavia, se per qualche giorno ci sembrò possibile che la pacifica sollevazione popolare guidata dai monaci birmani potesse mettere all'angolo il dispotico regime militare, per i tibetani questa speranza appare da sempre totalmente fuori portata.
Pechino, infatti, non accetterà mai di trattare con il movimento che ha nel Dalai Lama la sua guida morale, né tanto meno rinuncerà a considerare il Tibet un fatto interno, una provincia acquisita da "uniformare" con ogni mezzo.
Non vorrei fare la Cassandra, ma temo che da qui a qualche settimana il mondo tornerà a girare le spalle al Tibet come in altre occasioni e com'è successo con il Myanmar. Si sa, la dignità e la libertà di un popolo sono "i beni più preziosi", sfortunatamente però non hanno un valore di mercato, al contrario dei contratti da svariati zeri, delle joint-venture e dell'import-export.

Facendo ruotare il mappamondo, potrei citare molti altri esempi di crisi di cui stentiamo ad afferrare cause e senso, che ormai vanno avanti nel silenzio generale o nella quasi totale indifferenza alla cruda contabilità delle mattanze.
C'è l'Iraq, dove sembra impossibile che si sia arrivati al quinto anno dall'inizio delle operazioni anglo-americane. Ma c'è anche il pantano ribollente del Caucaso ex sovietico dove, per una Cecenia in piena "febbre da ricostruzione", altre piccole e semi-sconosciute repubbliche (Inguscezia, Daghestan e Kabardino-Balkaria) stanno scivolando in un caos che sembra fatto apposta per permettere alle forze speciali russe di addestrarsi sul campo senza avere tra i piedi scomodi testimoni internazionali.
E che dire del Libano, dove pure siamo presenti sotto le bandiere dell'ONU? Tutto tace per cui la situazione è sotto controllo? Sì, come chi sta seduto al buio in una santabarbara senza sapere quando - a Damasco o a Teheran - qualcuno deciderà che è tempo di riaccendere le polveri.

tamil tigers' trainingTra sussurri e grida estemporanee si è persa traccia della guerra strisciante che oppone da anni le forze regolari dello Sri Lanka e le Tigri Tamil, di quella altrettanto endemica tra il governo filippino e i separatisti musulmani sull'isola di Mindanao e dell'instabilità del Kashmir, regione divisa tra India e Pakistan.
Mi fermo qui, tralasciando le esplosioni di violenza etnica in Africa, il caso Kosovo e il conflitto tra Israele e palestinesi, che per complessità e delicatezza meriterebbe un capitolo a parte.

Si dirà: "Ma che ci frega? Se si scannano saranno c.... loro!"
Rispondo con un piccolo esempio storico.
Tra il primo secolo D.C e la metà del secondo, l'impero romano viveva il periodo del suo massimo splendore: pace interna, confini consolidati, una prosperità che faceva volare le importazioni di generi di lusso come le spezie, che dall'India arrivavano via mare ai porti romani sul Mar Rosso, e la seta cinese trasportata dalle carovane che attraversavano l'Asia sino al Medio Oriente romanizzato.
Nessuno a Roma sospettava che proprio il flusso d'oro diretto in Cina avrebbe risvegliato l'interesse di un selvaggio popolo nomade di allevatori di cavalli, guerrieri e razziatori appena scacciato oltre i confini del Celeste Impero: gli Hyung-Nu (Unni), che con la loro migrazione verso Occidente misero in moto l'epocale "effetto domino" che conosciamo dai libri di storia come le invasioni barbariche.
Allo stesso modo, nessuno a Roma sospettava che insieme alle merci che viaggiavano via terra e via mare sarebbero arrivati i ratti e le loro pulci, vettori della pandemia di peste bubbonica che dimezzò la popolazione dell'impero alla metà del II secolo D.C.
E poi ditemi che la globalizzazione è nata ieri ...

Etichette: , , ,


Comments:
Post cui nulla si può aggiungere, e anche arduo da commentare se non per dirti: Marcello, la penso come te.

Resta comunque valida l'occasione per un saluto, e un abbraccio. E se anche tu fai pausa in questi giorni, che sia una pausa quanto possibile serena.

A presto.
A.
 
Concordo con annalisa. Hai scritto un post così esaustivo che mi sembra tondo. Perchè hai ragione, spesso chiudiamo il giornale e torniamo a pensare al nostro piccolo orticello...
 
Post perfetto...
Parto fra poco, quindi Buona Pasqua! A rileggerti presto!
 
Come al solito, ineccepibile.
Io continuo a trovarmi in difficoltà nel passare dalle parole ai fatti: non sembri una scappatoia, ma, alla fine, l'ingranaggio è talmente grande, sovrastante, che nel piccolo è difficile cambiare qualcosa.
Di certo l'unione di molti può fare qualcosa, ma è difficile trovare la maniera.
Daniele (Macca)
 
Molto bello e interessante, speriamo in bene, Giulia
 
@Annalisa @La Coniglia
-auspicio ricambiato, carissima Annalisa :-)
Dopo aver pubblicato il post, mi sono accorto di essere ricaduto in un vizio che mi era stato fatto notare a suo tempo: esporre "chiudendo il cerchio" (il "tondo" percepito da Francy), senza lasciare spazi che coinvolgano chi legge invitandolo a dialogare.
@BiancaC
- a rileggerci presto :-)
@Macca
- sollevi il problema più grosso: con il cuore sposteremmo le montagne e ripareremmo le ingiustizie, ma all'atto pratico tutto il bene che possiamo fare individualmente ha le dimensioni e la consistenza di un granello di farina.
@ Giulia
- grazie :-)
 
Già nessuna parte del mondo può credere di vivere in una campana di vetro! Siamo tutti collegati e ci influenziamo, ci distruggiamo ma anche ci dimentichiamo. L'unica cosa che si può fare nel nostro piccolo è non lasciarci troppo soli con le nostre parole scritte e non, e non farci prendere dalla sfiducia ma fare politica anche per chi ci sta intorno!
 
Posta un commento



<< Home

This page is powered by Blogger. Isn't yours?