martedì, febbraio 17, 2015
Sanremo memories
Lo confesso: dal 10 al 14 febbraio ho fatto una delle esperienze più inconsuete, sconcertanti, latu sensu sciagurate e divertenti degli ultimi anni: vedere e commentare ogni serata del 65º Festival della Canzone Italiana, a.k.a. Sanremo.
Potevo disertare, come ho fatto senza rimorsi per una quindicina d’anni, visto che non ero neanche precettato per motivi professionali. E sì che di ragioni per snobbare anche quest’edizione di Sanremo ne avrei avute diverse, a cominciare dal presentatore e direttore artistico Carlo Lampados Conti, esperto nel confezionare rimpatriate di vecchie glorie scongelate nonché spontaneo ed evocativo quanto un impiegato del Catasto (senza offesa per nessuno). La seconda e non meno importante ragione per disertare è la musica che gira intorno a Sanremo che, a mio modo di vedere, salvo rarissime eccezioni nasce già marinata nella formaldeide.
Invece è successo che sono stato “messo in mezzo” dalla mia compagna, che ha perorato la mia ammissione a un salotto virtuale di commentatori esperti, colti, salaci e implacabili.
Scodellato in cotanto loggione mentre mi stavo occupando di amenità come l’internazionalizzazione del comparto agroalimentare e il trattamento delle infezioni alle vie urinarie avrei potuto legittimamente estraniarmi e limitarmi a fare tappezzeria. Al contrario, ho deciso di mettermi in gioco: à la guerre comme à la guerre.
Mi sono lasciato coinvolgere dal turbinio di notifiche, dai continui giochi di sponda e dalle battute fulminanti che comparivano scoppiettando come fuochi d’artificio sulla pagina del divano virtuale.
D’altra parte, senza questi piacevoli diversivi avrei avuto una rapida reazione di rigetto al lexotan del paludato rituale sanremese e all’intossicazione da canzoni scontate, omologate nelle metafore “alate” e negli arrangiamenti al più banale FM Pop in salsa melodica.
Guarda caso, malgrado gli svariati passaggi in gara, la mia memoria sembra aver rimosso il ricordo dei pezzi presentati da Grignani, Raf, Nesli, Dear Jack, Atzei, Fabian, Fragola, Moreno, Masini, Chiara, Britti e Tatangelo.
Paradossale ma vero, mi sono rimasti in mente il refrain dell'energetico brano di Nek e, all'opposto, proposte d’insolita bruttezza come Elisa dei Kutso e Vita d’Inferno del duo Biggio & Mandelli, scombinato tentativo di cabaret-canzone che aspirava (forse) a essere “alta”, ispirandosi a Jannacci e a Cochi & Renato, ma che è rimasta a al di sotto del più abbordabile livello dei Gatti di Vicolo Miracoli.
Parlare di emozioni in relazione alle canzoni di Sanremo è più o meno come sostenere l’esistenza della vita su Venere. Tuttavia uno sfriccico, un lieve palpito è arrivato dalla naturale eleganza di Malika Ayane, di cui mi preoccupa la crescente abilità nel porgere con grazia ineffabile anche l’elenco telefonico, da Irene Grandi e dall'inedito duo Platinette & Grazia di Michele, reo di avere portato a Sanremo un testo davvero notevole, ma regolarmente bastonato in sede di esibizione da una tonalità di compromesso che non ha premiato due voci già non particolarmente attrezzate per vigore ed estensione.
Sanremo è stata anche l’ennesima celebrazione dell’osmosi con le fabbriche dei talent e i ramificati circuiti che oggi collegano industria discografica, syndacation radiofoniche e agenti nella promozione di vere e proprie "scuderie" di artisti. Non è casuale che sia arrivato il trionfo di una delle canzoni a mio parere più leziose, trite e banali del mazzo, eseguita a ugole spiegate dal trio degli pseudo enfant prodige del belcanto italico: Il Volo.
Per il resto, a parte i siparietti obituari spalmati su ogni puntata vista la recente ecatombe di big della musica italiana, la 65ma edizione del Festival di Sanremo ha vissuto momenti francamente imbarazzanti con i monologhi di Siano e Pintus.
Passi per l’emozione, passi per la difficoltà di ottenere un briciolo di risposta empatica dai Findus seduti in platea, ma non so ancora assistere con cinismo allo spettacolo di un artista che perde il filo mentre saccheggia il repertorio alla frenetica quanto vana ricerca di una battuta, di un colpo d'ala che raddrizzi un’esibizione che sta deragliando.
Dal naufragio delle ospitate comico/brillanti è uscito indenne e immacolato Giorgio Panariello, ma solo in virtù del fatto che padroneggia con mestiere la scena e i tempi della comicità televisiva. Panariello ha dato al pubblico esattamente ciò che ci si aspettava da lui, distribuendo salomonicamente graffi (in verità poco più che buffetti) e caramelle per non scontentare nessuno.
Quest’esperienza da divanista mi ha cambiato la vita? Ha cambiato il mio giudizio su Sanremo? Nope. Però è stata piacevole e mi ha ricordato che semel in anno licet insanire, ecchecazzo.
Etichette: musica e spettacoli, neurocopy deliri, The Smoking Pipe, vita da blogger
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