lunedì, maggio 11, 2020

 

Ricomincio dal coro



Nulla meglio di un capolavoro musicale assoluto come l'esecuzione del Vespro della Beata Vergine (1610) di Claudio Monteverdi da parte del Monteverdi Choir e orchestra barocca diretti da John Eliot Gardiner nella Basilica di San Marco, a Venezia, "decontamina" lo spirito e ridimensiona il vacuo chiacchiericcio social delle ultime 48 ore.


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venerdì, dicembre 08, 2017

 

Constant



25 anni fa usciva negli USA il singolo Constant Craving, una ballata avvolgente ai confini tra il genere country e il soft rock dominata da una voce femminile, quella di K.D. Lang, di cui si percepiva la spiccata personalità.

Per certi versi, il clamoroso successo dell’album che conteneva la hit (6 dischi certificati platino solo nei mercati USA/Canada) e l’aspetto prettamente musicale hanno avuto un impatto minore rispetto al “personaggio" K.D. Lang.
Il taglio di capelli, l’inclinazione per i blazer e il vestiario di taglio maschile portati con eleganza e il suo tranquillo coming out come lesbica fecero della cantante l’icona di stile “differente” che ancora mancava nello showbiz.

Non ha avuto la carriera lunga e sfolgorante che ci si poteva aspettare da una voce come la sua, ed è un peccato.



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sabato, giugno 11, 2016

 

Vecchie canzoni & cronaca nera




Sono andato a riascoltare un vecchio hit di Riccardo Cocciante: “Quando finisce un amore”.
Sono passati oltre 40 anni dall’uscita dell’album che conteneva questa canzone, un must per generazioni di cuori infranti in vena di lacrime. Tuttavia, riascoltato oggi, il testo di Cocciante acquista una sua attualità in relazione all'epidemia di casi di femminicidio.

Quando una relazione finisce in malo modo si può realmente arrivare al punto di smarrire per mesi la ragione e la dignità tormentati dal senso lacerante di perdita e dal desiderio ossessivo di riavere la persona che è uscita dalla propria vita, fosse anche solo per il tempo di riscrivere un finale troppo brutto, sciatto, “sbagliato”, inaccettabile per l’orgoglio ferito.
Si dice che “ciò che non ammazza fortifica” e queste esperienze di buio e sofferenza sono, in un certo senso, una medicina molto amara ed educativa.

Oggi però le relazioni sembrano sempre più spesso minate da quel senso morboso di possesso che nasce in uomini dalle identità insospettabilmente fragili e incomplete, incapaci di elaborare il distacco, di concepire il fatto che la (ex) partner non è più - e probabilmente non è mai stata - un’estensione naturale e necessaria della loro esistenza.
Lo scollamento dei loro punti di riferimento affettivi diventa una sciagura, un cataclisma cosmico da scongiurare e da negare a ogni costo. Se non possono trattenerla a forza, ricattarla emotivamente e inchiodarla alla loro dipendenza, allora la donna deve pagare il prezzo più caro possibile per il torto di “essere cambiata”: va braccata, umiliata, impaurita, cancellata.
Imboccano una scorciatoia distruttiva per fuggire dal disagio e dalla sofferenza: massacrano di botte, sfregiano e ammazzano per poi mormorare tra i singhiozzi: “ma io l’amavo”.

Mi sono domandato se questi uomini abbiano mai capito chi hanno avuto accanto, se l’abbiano mai ascoltata sul serio, se non abbiano solo tollerato che avesse un’individualità, un’autonomia di giudizio sintanto che era il docile oggetto del loro “amore”.
Al momento non vedo una risposta certa, un’equazione risolvibile, un possibile vaccino.

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sabato, dicembre 26, 2015

 

Psicosi da ultimo strappo



panico da ultimo strappoSembra una delle tante bufale che girano sui social network, ma quanto avvenne nel dicembre 1973 in tutti gli Stati Uniti ha dell'incredibile: una vera e propria psicosi collettiva da mancanza di carta igienica.

Tutto ebbe inizio quando Johnny Carson, conduttore di un popolarissimo show televisivo serale, si rivolse agli spettatori dicendo: “Sapete cosa sta sparendo dagli scaffali dei supermercati? La carta igienica. C’è una drammatica penuria di carta igienica negli Stati Uniti.
Il mattino dopo scattò la corsa dei consumatori a fare incetta di carta igienica. I supermercati cercarono invano di razionarla, ma già nel primo pomeriggio le scorte di magazzino erano esaurite in tutti gli USA.

Dopo diversi giorni di questa isteria collettiva, Johnny Carson si scusò pubblicamente spiegando che la sua era stata solo una battuta. Tuttavia, proprio a causa del ridotto numero di confezioni disponibili nei supermercati, quelle poche in vendita continuarono a sparire in un batter d’occhio.
Ci vollero ben tre settimane prima che la situazione tornasse alla calma.

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giovedì, maggio 14, 2015

 

rimedi alle serate storte




Quelle sere che ti guardi intorno e vedi il vuoto che ti circonda. Quelle sere che non puoi rifiutarti di ammettere che la tua malandata scialuppa è inclinata e imbarca acqua. Quelle sere che viene una voglia fottuta di mollare baracca & burattini ed emulare Bartleby Lo Scrivano rispondendo "Preferirei di no" a qualsiasi richiesta, puoi aspettare che passi oppure curarti con il fado: fa meno male di altri rimedi.



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martedì, febbraio 17, 2015

 

Sanremo memories



Divani & Sanremo

Lo confesso: dal 10 al 14 febbraio ho fatto una delle esperienze più inconsuete, sconcertanti, latu sensu sciagurate e divertenti degli ultimi anni: vedere e commentare ogni serata del 65º Festival della Canzone Italiana, a.k.a. Sanremo.

Potevo disertare, come ho fatto senza rimorsi per una quindicina d’anni, visto che non ero neanche precettato per motivi professionali. E sì che di ragioni per snobbare anche quest’edizione di Sanremo ne avrei avute diverse, a cominciare dal presentatore e direttore artistico Carlo Lampados Conti, esperto nel confezionare rimpatriate di vecchie glorie scongelate nonché spontaneo ed evocativo quanto un impiegato del Catasto (senza offesa per nessuno). La seconda e non meno importante ragione per disertare è la musica che gira intorno a Sanremo che, a mio modo di vedere, salvo rarissime eccezioni nasce già marinata nella formaldeide.

Crowded couch by Mickie at Deviantart.comInvece è successo che sono stato “messo in mezzo” dalla mia compagna, che ha perorato la mia ammissione a un salotto virtuale di commentatori esperti, colti, salaci e implacabili.
Scodellato in cotanto loggione mentre mi stavo occupando di amenità come l’internazionalizzazione del comparto agroalimentare e il trattamento delle infezioni alle vie urinarie avrei potuto legittimamente estraniarmi e limitarmi a fare tappezzeria. Al contrario, ho deciso di mettermi in gioco: à la guerre comme à la guerre.

Mi sono lasciato coinvolgere dal turbinio di notifiche, dai continui giochi di sponda e dalle battute fulminanti che comparivano scoppiettando come fuochi d’artificio sulla pagina del divano virtuale.
D’altra parte, senza questi piacevoli diversivi avrei avuto una rapida reazione di rigetto al lexotan del paludato rituale sanremese e all’intossicazione da canzoni scontate, omologate nelle metafore “alate” e negli arrangiamenti al più banale FM Pop in salsa melodica.

Guarda caso, malgrado gli svariati passaggi in gara, la mia memoria sembra aver rimosso il ricordo dei pezzi presentati da Grignani, Raf, Nesli, Dear Jack, Atzei, Fabian, Fragola, Moreno, Masini, Chiara, Britti e Tatangelo.
Paradossale ma vero, mi sono rimasti in mente il refrain dell'energetico brano di Nek e, all'opposto, proposte d’insolita bruttezza come Elisa dei Kutso e Vita d’Inferno del duo Biggio & Mandelli, scombinato tentativo di cabaret-canzone che aspirava (forse) a essere “alta”, ispirandosi a Jannacci e a Cochi & Renato, ma che è rimasta a al di sotto del più abbordabile livello dei Gatti di Vicolo Miracoli.

Platinette & Grazia Di MicheleParlare di emozioni in relazione alle canzoni di Sanremo è più o meno come sostenere l’esistenza della vita su Venere. Tuttavia uno sfriccico, un lieve palpito è arrivato dalla naturale eleganza di Malika Ayane, di cui mi preoccupa la crescente abilità nel porgere con grazia ineffabile anche l’elenco telefonico, da Irene Grandi e dall'inedito duo Platinette & Grazia di Michele, reo di avere portato a Sanremo un testo davvero notevole, ma regolarmente bastonato in sede di esibizione da una tonalità di compromesso che non ha premiato due voci già non particolarmente attrezzate per vigore ed estensione.

Sanremo è stata anche l’ennesima celebrazione dell’osmosi con le fabbriche dei talent e i ramificati circuiti che oggi collegano industria discografica, syndacation radiofoniche e agenti nella promozione di vere e proprie "scuderie" di artisti. Non è casuale che sia arrivato il trionfo di una delle canzoni a mio parere più leziose, trite e banali del mazzo, eseguita a ugole spiegate dal trio degli pseudo enfant prodige del belcanto italico: Il Volo.

Per il resto, a parte i siparietti obituari spalmati su ogni puntata vista la recente ecatombe di big della musica italiana, la 65ma edizione del Festival di Sanremo ha vissuto momenti francamente imbarazzanti con i monologhi di Siano e Pintus.
Passi per l’emozione, passi per la difficoltà di ottenere un briciolo di risposta empatica dai Findus seduti in platea, ma non so ancora assistere con cinismo allo spettacolo di un artista che perde il filo mentre saccheggia il repertorio alla frenetica quanto vana ricerca di una battuta, di un colpo d'ala che raddrizzi un’esibizione che sta deragliando.
Dal naufragio delle ospitate comico/brillanti è uscito indenne e immacolato Giorgio Panariello, ma solo in virtù del fatto che padroneggia con mestiere la scena e i tempi della comicità televisiva. Panariello ha dato al pubblico esattamente ciò che ci si aspettava da lui, distribuendo salomonicamente graffi (in verità poco più che buffetti) e caramelle per non scontentare nessuno.

Quest’esperienza da divanista mi ha cambiato la vita? Ha cambiato il mio giudizio su Sanremo? Nope. Però è stata piacevole e mi ha ricordato che semel in anno licet insanire, ecchecazzo.

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domenica, febbraio 20, 2011

 

Scherza con i fanti



San Cristoforo

Pagani Zonda “Chi ha pane non ha denti”.
Non è per invidia, ma per puro fastidio che desidererei azzoppare a pedate quell’ineffabile TdC ventottenne che sulla Genova-Ventimiglia ha distrutto una Pagani Zonda.
Il rampollo di buona famiglia, con residenza a Montecarlo, ha perso il controllo della berlinetta supersportiva a produzione limitata, una cosuccia da mezzo milione di Euro, andandosi a schiantare contro il guardrail per finire la carambola su un’altra vettura mentre viaggiava alla modica velocità di circa 320 kmh.
Il tizio se l’è cavata praticamente senza una ciocca fuori posto, mentre l’amica che sedeva a fianco ha riportato appena qualche graffio.
Forse è il caso che, dopo il ritiro della patente e il pagamento dei danni alla Società Autostrade, questo esemplare di homo deficiens si rechi nella prima cappella innalzata a San Cristoforo per accendere un maxi cero votivo: si vede che ha trovato il santo in vena di fare gli straordinari.


Gheddafi? santo subito!

Mu'ammar GheddafiE ora come la mettiamo?
Abbiamo fatto tanto per ingraziarci il nostro “caro” alleato libico, chiudendo un occhio e genuflettendoci davanti alle sue pittoresche stravaganze, ai metodi con cui la sua “rivoluzione” ridicolizza concetti astrusi come democrazia e diritto, per non parlare dei suoi sempre garbatissimi solleciti di pagamento... e adesso anche lui, Muʿammar Abū Minyar al-Qadhdhāfī, traballa e rischia di ruzzolare nella polvere.

Può anche darsi che per questa volta il rais riesca a rimanere in sella, sia pur spargendo sangue a destra e manca.
Un leader non resta in piedi per oltre 40 anni senza aver intessuto una fitta e collosa ragnatela di clientele, prima di tutto nelle alte sfere delle forze armate. Quella stessa ragnatela che, da decenni, fa carne di porco dei proventi di gas naturale e petrolio non messi in quota - direttamente o indirettamente - alla Guida della Rivoluzione Libica e alla sua cerchia più intima.

Tuttavia lo scossone di questi giorni è forte, perché la popolazione urbana non beneficiata dalle briciole del sistema è stufa di vivere imprigionata in una cella fatiscente, dove i servizi più elementari funzionano per scommessa e il tempo sembra essersi fermato alla fine degli anni ’60, dove non sai mai se il vicino di casa non “arrotondi” facendo il delatore per i servizi di sicurezza, dove la disoccupazione è alle stelle.
Il desiderio di rispetto, di libertà, di riscatto da regimi arroganti e corrotti che accomuna i libici agli algerini, tunisini, egiziani, yemeniti, iraniani e ai cittadini del Bahrein potrà essere tenuto localmente sotto il tacco della repressione, ma prima o poi ci sarà un redde rationem.

Sta di fatto che un vuoto di potere in Libia sarebbe uno smacco clamoroso, una vera iattura per l’attuale governo italiano e la sua spregiudicata politica estera, che porta la partnership italo-libica come uno dei suoi più vistosi fiori all’occhiello.
Sfido io che il Cavaliere sia in ambasce e tifi, neanche tanto segretamente, per lo stagionato Gheddafi.
Difatti, ha liquidato le domande sulla situazione libica con una dichiarazione in punta di forchetta, un pudico “non mi permetto di disturbare nessuno” (sottinteso mentre l’interlocutore è occupato a fare ammazzatine al riparo da occhi indiscreti) che suona involontariamente comico in bocca all’uomo che non si fa scrupoli a imperversare telefonicamente tanto per galvanizzare fedeli e alleati quanto per insultare giornalisti, magistrati e politici non compiacenti.


Ambra la peccatrice



Forse qualcuno si sorprenderà, ma a me ciò che Ambra Angiolini ha dichiarato ad Annozero è piaciuto non solo perché la Angiolini ha messo insieme frasi di senso compiuto in un italiano discretamente fluente e incisivo (cosa non da poco di questi tempi), ma anche e soprattutto nel merito.

Diverse persone in questi giorni hanno arricciato il naso rimproverandole i suoi trascorsi di ninfetta smorfiosa e ammiccante davanti alle telecamere Fininvest all’epoca di “Non è la RAI”.
Altri, con assai meno signorilità, sono arrivati a rinfacciarle di essere l’archetipo delle olgettine del bunga bunga anche nelle prestazioni sessuali a telecamere spente, se non, addirittura, di averli indotti in una lontana adolescenza a praticare l’onanismo davanti alla TV.

Trovo insopportabile questo pseudo-moralismo d’accatto che etichetta e incasella sine die le persone, che cassa e ridicolizza giudicando dal barattolo senza nemmeno guardare, sfiorare o annusare il contenuto.

La Angiolini di “Non è la RAI” era una starlette senza particolare talento che mi era indifferente, esattamente come altre scoperte di Gianni Boncompagni quali Laura Freddi, Antonella Elia, Claudia Gerini e Isabella Ferrari.
Questi antecedenti non hanno impedito alle ultime due - già baby fidanzate di Boncompagni - di maturare e di farsi strada per meriti propri come attrici di buon livello, rispettate non solo sul set, ma sembrano marchiare Ambra Angiolini come shallow mind a vita, una "miracolata", e per ciò stesso priva del diritto ad avere e a esprimere un’opinione personale, giusta o sbagliata che sia.
Mi pare francamente che sia un controsenso molto "all'italiana", tanto più becero e inconsistente nel paraculissimo Paese di “Uomini e Donne”, delle indulgenze plenarie e degli sdoganamenti senza pudore.

Buona settimana.

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domenica, aprile 25, 2010

 

Sunday Mix & Match 04.25.2010



Ligabue inconsueto e d'autore


Variazione su temi tzigani

Sogno un gran falò
e brucio nel mio sogno
Aspetta ancora un poco il sonno
che poi il senno arriverà.
Ma all'alba niente va
no, nessuno danza,
ti alzi, fumi e bevi un po'
per smaltir la sbronza

E allora andiamo in là,
un po' più in là
ancora un poco un poco un poco
un po' più in là, ancora in là
sempre un poco un po' più in là

Fiasche verdi in osteria
bianco il tovagliolo
clown, se i miseri hanno un cielo
e io nemmeno un volo.
La chiesa sa di umidità
bruciano l'incenso
niente in questa chiesa va,
niente segue un senso

E allora andiamo in la,
ancora in là
ancora un poco un poco un poco
un po' più in là, ancora in là,
dietro un altro fuoco

Io mi affanno verso il colle
cerco scampo in su
c'è solo un olmo accanto a me
non c'è nient'altro qui
Se almeno un po d'edera poi
abbracciasse il colle
sarei felice e invece no,
niente qui mi attira

In là insieme, più in là insieme
ancora un poco un poco un poco
un poco un po' più in là
verso un altro fuoco

Rincorro il fiume e Dio non c'è
la luce qui colora
campi e i fiori intorno a me
la strada è lunga ancora
Lungo la strada un bosco, e lì
danzano le streghe
nelle pieghe dell'oscurità
danzano le scuri

Ben sicuri, dei cavalli
ritman la cadenza
in questa danza niente va
e io ne ho già abbastanza
Non c'è chiesa, non c'è osteria
niente è più sacro, ma è già sera
No, ragazzi, niente va
niente qui mi attira

E allora andiamo in là,
un poco un poco un poco
un poco un po' più in là
ancora in la, ancora in la
dietro un altro fuoco
E allora andiamo in là
ancora in là, ancora un poco un poco un poco
ancora in là, ancora in là
dietro un altro fuoco.



Non sono mai stato un fan di Luciano Ligabue, pur trovandolo superficialmente più simpatico e genuino di altri musicisti italiani.
Condivido l’opinione di chi ritiene che da qualche anno il Liga abbia esaurito la benzina; le sue ultime fatiche discografiche sono rock mediamente ben confezionato, ma a mio parere anche vuoto e di maniera, come se il suo marchio di fabbrica incartasse poche idee non particolarmente memorabili.

Forse proprio per questo mi piace ancora di più il Ligabue totalmente fuori dagli schemi che, al Club Tenco, si confronta con l’adattamento in italiano di “Moja tsyganskaja”, canzone piuttosto impegnativa da rendere del repertorio del poeta e cantautore russo Vladimir Vysotskij (1938-1980).


Esteri: le crisi dimenticate


Non è inconsueto che i reportage dall’America profonda si soffermino sulla mentalità ristretta e sulle vistose lacune in storia, geografia e geopolitica dei “burini a stelle-e-strisce”.
Il fatto che gli abitanti della sterminata provincia americana si dimostrino poco interessati a ciò che avviene oltre l'orizzonte fisico, in giro per il mondo, fa sentire noi europei su un gradino più in alto, più smaliziati e cosmopoliti: ma è davvero così?
Cosa ci autorizza a sentirci più acculturati e informati di un farmer dell'Arkansas o dell’Idaho?

Mmmh, prendiamo un caso tuttora d’attualità: cosa può aver capito un italiano medio dell’arresto e del successivo rilascio dei tre connazionali volontari di Emergency in Afghanistan?
Se la sua unica fonte sono i telegiornali italiani, c’è da scommettere che l'italiano medio sia rimasto confuso, interdetto, e che - sotto sotto - abbia pensato che Emergency si sia meritata una bella bastonata perché s’impiccia troppo di politica.

Un altro esempio? Cosa sappiamo della situazione in Somalia?
A voler essere generosi con i media italiani, le sole informazioni sulla nostra ex colonia passate con qualche risalto sui telegiornali riguardavano le navi abbordate dai pirati del Puntland.

Lo stesso test può essere ripetuto con altri focolai di guerra e di crisi umanitaria: Darfur, Eritrea, Congo, i campi di internamento libici per i migranti clandestini che respingiamo al limite delle acque territoriali ecc. ecc..

La realtà è che manager, direttori di testata e investitori pubblicitari sanno bene quello che tendiamo a nascondere a noi stessi: le nostre riserve d'interesse, sollecitudine e amore per il prossimo sono decisamente sovrastimate.
Uno spettatore a disagio, depresso o saturato dall’esposizione quotidiana di morti e distruzione è solo un pessimo affare: non alza gli indici di ascolto e non è nello stato d'animo giusto per recepire gli stimoli all’acquisto.
Così meglio nascondere tutto sotto lo zerbino o deviare l’attenzione del pubblico mandando in onda un bel servizio distensivo sul gossip, sulla moda bimbo o su un’esposizione canina.


Le fabbriche della resistenza:
testimoni silenziosi e dimenticati


fabbriche dismesse di Sesto San Giovanni

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venerdì, maggio 29, 2009

 

Thrill



Monica, uno dei miei contatti su FB, senza volerlo mi ha fatto un gran bel regalo condividendo il video della performance di un coro bulgaro.
Non so dirvi se il brano eseguito sia un classico del folklore nazionale né cosa dica il testo, però in tutta sincerità non me ne curo perché la musica sa esprimersi benissimo nella lingua franca delle emozioni.
Io trovo che l'esecuzione sia splendida, di una bellezza struggente in alcuni passaggi, e che la voce cristallina della giovane solista Neli Andreeva metta i brividi.


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giovedì, maggio 28, 2009

 

Chuckling beneath the shroud



De Profundis

C'è uno scontro tra due macchine
al di là della Moscova
E si son conciati tutti,
anche quello che guidava.
Eran tre con dietro un quarto,
che però era già morto
e difatti nella bara
lui non s'è nemmeno accorto.
Nel corteo si procedeva
tutti quanti alla rinfusa
quasi fossero cateti
in cerca dell'ipotenusa.
Il diacono sfiatava
su ogni mezzo do di petto
Il defunto, solo lui,
nel suo ruolo era perfetto...

Perché, senza entrare nel merito,
è soltanto questione di spirito
Perché, senza entrare nel merito,
è soltanto questione di spirito

Le piagnone nei singhiozzi
eran scarse d'energia
L'oratore a ogni frase
dava sfoggio d'amnesia.
Lo baciava sulla fronte,
poi sputava disgustato
e lì il morto, assai discreto,
è rimasto senza fiato.
Ecco il cielo s'indispone
e scoppiettano due tuoni,
ma si sa che la natura
e ne frega dei sermoni.
Tutti quanti a scantonare
per cercare almeno un tetto
e soltanto il caro estinto
non si è messo a far fagotto...

Perché, senza entrare nel merito,
è soltanto questione di spirito
Perché, senza entrare nel merito,
è soltanto questione di spirito

Che gli importa del diluvio,
non è poi questo svantaggio
nei viventi, a dire il vero,
c'è carenza di coraggio.
I defunti, gli ex-umani,
han più stabile fermezza,
mica fatti come noi
sono proprio un'altra razza.
Poi in quanto a sangue freddo
non si fanno compatire
non li vedi mai scomporsi,
mai avranno da ridire
Sanno star nel loro ambiente,
quieti quieti fino in fondo,
non si sente anima viva,
proprio cose d'altro mondo...

Perché, senza entrare nel merito,
è soltanto questione di spirito
Perché, senza entrare nel merito,
è soltanto questione di spirito

Là nel regno delle ombre
non si sente una parola
e di notte una signora
ci può andare anche da sola
ché non corre nessun rischio,
né pericoli di sorta
qui nessuno la importuna
o le fa la mano morta.
E va beh che prima o poi
dovremo andarci tutti quanti,
ma se c'è chi ha molta fretta
che mi passi pure avanti
Sembra proprio che a schiattare
qui si faccia tutti a gara
con la debita eccezione
di chi sta dentro a una bara....

Perché, senza entrare nel merito,
è soltanto questione di spirito
Perché, senza entrare nel merito,
è soltanto questione di spirito


Una bella esibizione live di Giorgio Conte, fratello del più celebre Paolo, che interpreta De Profundis, adattamento in Italiano di una canzone composta dal poeta e cantautore russo Vladimir Vysotskij (Mosca, 25 gennaio 1938 – 25 luglio 1980).
Le origini del pezzo nella musica di strada e nei quartieri malfamati di Mosca, regno del ribelle e "non allineato" Vysotskij, è evidente.
Giorgio Conte e la band che l'accompagna hanno dato al testo un'impronta deliziosamente ironica e surreale, mentre dal punto di vista musicale traspaiono chiare e godibilissime coloriture Klezmer.

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domenica, maggio 17, 2009

 

Sunday Resume 05.17.2009



Il sapore dei ricordi

"Disse l’oste al vino: tu mi diventi vecchio,
ti voglio maritare con l’acqua del mio secchio.
Rispose il vino all’oste: fai le pubblicazioni,
sposo l’Idrolitina del cavalier Gazzoni!
"

Per curiosità e nostalgia, ho fatto un piccolo esperimento: ho acquistato al supermercato un pacchetto di quelle polverine solubili che rendono effervescente l'acqua del rubinetto.

Credevo che simili preparati non fossero più in commercio almeno dai primi anni '80, soppiantati dall'acqua minerale imbottigliata.
In fondo ai ricordi d'infanzia, però, restava il gusto di quelle bollicine quasi artigianali portate a tavola, per cui non ho resistito alla tentazione di mettere la scatoletta nel carrello della spesa.

Alla prova pratica, l'impatto è stato crudele (con i ricordi). Il sapore strano - non del tutto sgradevole, ma nettamente salato - dell'acqua ha spazzato via ogni residuo di nostalgia, a conferma della regola che c'è sempre un buon motivo per cui il passato sta bene dove sta.

Dubbi atomici

Datemi pure del NIMBY (Not In My BackYard), ma io le centrali termonucleari in Italia non le voglio, tanto meno sono disposto ad accettare che il futuro della Sardegna sia ipotecato da un governo nazionale che nella faccenda sta giocando un ruolo ben poco trasparente.

Alla faccia di tutte le smentite di facciata, l'attuale esecutivo ha preparato con cura il progetto di ritorno al nucleare, al punto che è lecito sospettare che dietro la sua stesura ci sia la manina di una lobby ben introdotta nelle stanze del ministero retto da Claudio Scajola.
Da un punto di vista strettamente programmatico, infatti, il governo (o chi per lui) ha confezionato e fatto approvare in Senato un trappolone perfetto - fin troppo perfetto - per blindare la realizzazione delle future centrali termonucleari.

Tuttavia, anche a voler saltare tutta la complessa trafila per le localizzazioni, ci sono aspetti che per ora restano oscuri e incomprensibili a un lettore qualsiasi come me.
a) Per la la costruzione delle 4 centrali EPR di terza generazione (un gran favore fatto ai cugini francesi) e delle opere connesse si parla di investimenti da 30 miliardi di Euro a salire, spalmati su un decennio.
Chi metterà i soldi sul piatto? Dove e come saranno reperiti?
Se guardiamo alle casse statali mi sa tanto che stiamo freschi, visto l'andamento negativo dell'economia e del gettito fiscale. Non sottovaluto l'abilità e la creatività del ministro Tremonti, però non stiamo parlando né di noccioline né del gioco delle 3 carte.
La verità elementare è che, allo stato attuale, il nostro Paese non può permettersi la messa in cantiere di grandi opere infrastrutturali se non facendo schizzare a livelli siderali il debito pubblico, aumentando la pressione fiscale sui contribuenti e tagliando ulteriormente i servizi.

b) Che ruolo avrà l'ENEL nel grande affare?
Se i bilanci non sono semplici pezzi di carta, la principale utility energetica del Paese (di cui lo Stato è azionista con una quota del 31%), è zavorrata da un indebitamento finanziario pari a 50 miliardi di Euro, contro un fatturato annuo di 61 miliardi di Euro: decisamente troppo per avventurarsi nel nucleare senza concreti rischi di tracollo.
Togliendo l'ENI, le altre imprese che operano nel mercato libero dell'energia non hanno il know how e le dimensioni per entrare in partita sia nella fase di costruzione che in quella della gestione delle future centrali termonucleari.
Delle due l'una: o il governo riuscirà nella quadratura del cerchio o ci ritroveremo tra le mani il più pericoloso tra tutti i pasticciacci all'italiana.

Santa pazienza

Dal sito BBC arriva una notiziola curiosa, quasi d'altri tempi.
Le iscritte a un piccolo "Club del cucito" si sono messe d'impegno e hanno sferruzzato la riproduzione dettagliata di un intero villaggio inglese.

Punto dopo punto, gomitolo dopo gomitolo, il villaggio di Mersham, nel Kent, è stato minuziosamente riportato in scala attraverso un lavoro ai ferri portato avanti con una pazienza invidiabile, dato che per completare l'opera ci sono voluti oltre 23 anni!
La riproduzione verrà presto messa all'asta per beneficenza. Sarei curioso di sapere quanto verrà valutato il tempo e la tenacia delle gentili (e volitive) dame britanniche.

Rockin' boy

Il bambino del video è un giapponesino di soli 9 anni che non spiccica una parola d'inglese. In compenso, suona la chitarra elettrica come un rocker fatto e finito.
Giudicate voi se è un autentico fenomeno o un piccolo mostro.

Poteva mancare la "carrambata" finale con l'entrata in scena dell'immarcescibile Ozzy Osbourne?
Ma che domande: ovviamente no!! ;-)

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domenica, febbraio 22, 2009

 

L'insostenibile inconsistenza dell'essere



Cyanide and Happiness, a daily webcomic
è tutta musica leggera
ma come vedi la dobbiamo cantare
è tutta musica leggera
ma la dobbiamo imparare.

Ivano Fossati - Una Notte in Italia

Chiamatemi pure Didimo, l'apostolo scettico del "se non vedo non credo", ma ieri sera trovavo bizzarra ed esilarante la voce che accreditava Marco Carta tra i possibili vincitori del Festival di Sanremo.

Tanto per cambiare, eccomi smentito dai fatti.

Se la canzone italiana è rappresentata da artisti dello spessore di Marco Carta o del clone di Gigi D'Alessio, allora c'è speranza per tutti i talenti inespressi che cantano sotto la doccia, con tanti cari saluti agli snob che tengono in nota "sfigati" come Benvegnù, Baustelle, Capossela & Co.
Al di là dell'infima importanza dell'argomento, ha ragione chi sostiene che Sanremo non è un inutile e decrepito baraccone: è lo specchio fedele dell'Italia e dell'attuale cultura nazional-popolare, di questa frittura globale dove nessuno si preoccupa più di quel che c'è sotto la pastella, tanto l'importante è che sia ben impiattato e abbia un aspetto passabile.

Quanto a me, forse è meglio che mi dedichi alle previsioni del tempo sul pianeta Marte: si sa mai che ne imbrocchi una. :-)

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lunedì, novembre 17, 2008

 

Cavalleria rustica



4 Mori

Qualche giorno fa sono andato vicino - del tutto involontariamente - all’incidente diplomatico.
Avevo scovato su YouTube due file relativi al repertorio di Giulio Manera, nome d’arte di un cabarettista cagliaritano che nella seconda metà degli anni ‘70 aveva riscosso un certo successo sul mercato discografico isolano con un paio di 45 Giri che mescolavano umorismo popolano e robusta inclinazione al trash: in breve, materiale d’archivio ancora godibile, ma non proprio per palati fini.

Ho prontamente girato i link, con tanto di commento a tinte "vivaci", a un’amica - cagliaritana verace - pensando di sorprenderla e di farle fare due grasse risate prima di pranzo.
A stretto giro di posta mi è arrivata la replica: Giulio Manera per lei non era affatto un artista sconosciuto, anzi per la precisione era suo zio acquisito.

Stavo per iniziare la rotazione elicoidale “ a trivella” per sprofondare sotto il pavimento quando ho compreso che la mia corrispondente non se l’era presa troppo a male, semmai era stupita che qualcuno a distanza di tanto tempo ricordasse ancora le prodezze canore del congiunto.
Morale della favola: “come pestare un c’era una volta un cane e sopravvivere”.

A ogni buon conto, per darvi modo di apprezzare il filone umoristico-canterino che da decenni fa ridere i sardi, solitamente così ombrosi quando qualcuno si permette di fare la caricatura del loro piccolo mondo, ho scelto il maestro assoluto di questo particolarissimo genere: Benito Urgu, un artista completo e una sagoma irresistibile dal vivo.

Il primo reperto è Sexy Fonni (1976), gustosa parodia agropastorale di “Je t’aime, moi non plus” e di altri dischi a sfondo sexy/orgasmico/trasgressivo in voga nei primi anni ‘70...




La seconda chicca, beh, non è una canzone, bensì è una delirante intervista incrociata con l’ex calciatore Gianfranco Zola, dove emerge tutto il meglio (e il peggio) dell’umorismo di Benito Urgu.



Enjoy! (si vous voulez) :D

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martedì, settembre 16, 2008

 

Ciao Luther



Qualcuno lo considerava troppo zuccheroso, il "Phil Collins della black music". A mio parere, invece, Luther Vandross aveva un talento cristallino e il raro dono di trasmettere good vibes, positività.
D'altra parte non si vendono oltre 25 milioni di dischi né si vincono 8 Grammy Awards o si arriva 4 volte primi nella categoria Best Male R&B Vocal Performance smerciando gassosa.

Luther Vandross è morto poco più di tre anni fa, a soli 54 anni, e oggi mi va di salutarlo per quello che mi ha regalato la sua musica postando questa scintillante esibizione Live in cui interpreta un grande classico portato al successo da Dionne Warwick a metà degli anni '60: "A house is not a home".

Ciao Luther.


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giovedì, maggio 29, 2008

 

Uscire dal guscio




Questo breve spezzone del film Me and you and everyone we know mi ha fatto sorridere e riflettere. C’è qualcosa di buffo e di tenerissimo, infatti, nel comportamento della protagonista (Miranda July) che, nel silenzio e nella solitudine della sua stanza, usa un paio di ballerine rosa per ricostruire ogni passaggio dell’incontro avuto con un galante e attraente sconosciuto.

Ognuno di noi è capacissimo di fare cose bizzarre e vagamente assurde nell’intimità, quando è al riparo dai giudizi altrui, e nell’atteggiamento della giovane donna trovo un ché di candidamente adolescenziale. Filmando con la videocamera i suoi piedi, lei sembra cercare conferme e, soprattutto, il coraggio di osare, di seguire l’istinto piegando l’insicurezza e la paura di aver preso un abbaglio.

Vederla così seria e assorta fa passare in secondo piano l’aspetto surreale della scena e le buffe ballerine rosa pasticciate con il pennarello che fanno tanto Il favoloso mondo di Amelie.
La vita provvede a renderci cinici e navigati, ma abbiamo pagato tutti il prezzo di uscire dal guscio, di rischiare la faccia e il ridicolo cercando quel qualcuno per cui non siamo trasparenti, quello che dopo mille disillusioni e amari risvegli ci fa tornare a credere che in fondo siamo davvero unici e speciali.


L’autrice e attrice

Miranda July è, per così dire, una mia vecchia conoscenza. Circa un anno fa, su questo scalcinato blog mi sono occupato dell’originale e spiritoso sito web che Miranda ha realizzato per promuovere la sua raccolta di racconti brevi No one belongs here more than you (se non l’avete ancora visitato, l’indirizzo è questo).
Ciò che allora ignoravo è che dietro lo humour e la garbata autoironia del sito c’è l'intelligenza di un’artista poliedrica. Scrittrice, musicista, attrice e regista indipendente, Miranda July tra le altre cose ha vinto nel 2005 la Camera d’Or al Festival di Cannes proprio con il lungometraggio Me and you and everyone we know.

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mercoledì, novembre 07, 2007

 

Dolce come un bacio





Desde que o samba é samba

A tristeza é senhora
Desde que o samba é samba é assim
A lágrima clara sobre a pele escura
À noite a chuva que cai lá fora
Solidão apavora
Tudo demorando em ser tão ruim
Mas alguma coisa acontece no quando agora em mim
Cantando eu mando a tristeza embora

O samba ainda vai nascer
O samba ainda não chegou
O samba não vai morrer
Veja, o dia ainda não raiou
O samba é pai do prazer
O samba é filho da dor
O grande poder transformador

Caetano Veloso e Gilberto Gil

(traduzione)
Da quando il samba è samba

La tristezza è padrona
Da quando il samba è samba è così
La lacrima chiara sulla pelle scura
Di sera, la pioggia che cade là fuori
La solitudine spaventa
Tutto ritardando nel mostrarsi così brutta
Ma qualcosa accade, come adesso a me
Cantando io faccio andare via la tristezza.
Il samba deve ancora nascere
Il samba non è ancora arrivato
Il samba non morirà
Vedi, il giorno non è ancora spuntato
Il samba è padre del piacere
Il samba è figlio del dolore
Il grande potere trasformatore.

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mercoledì, settembre 19, 2007

 

Pura, irripetibile magia





Ogni volta che guardo questo video ritrovo - puntualmente - emozioni, languori e ricordi capaci di stemperare qualsiasi amarezza.
La magia dei vecchi amici non tradisce.

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lunedì, luglio 23, 2007

 

Quanno ce vo'


Me sarò chiesto cento, mille volte
io che non sò
né re né imperatore
che ho fatto
per trovamme 'sta reggina
nel letto fra le bbraccia
in fonno al core
e dato sì che sei così preziosa
stasera io te vojo dì 'na cosa....

Ma....te c'hanno mai mannato...
a quer paese
sapessi quanta gente che ce sta
er sindaco è n'amico mio
dije pure che te c'ho mannato io
e va e va
va avanti tu
che adesso c'ho da fà...


Sarai la mia metà
ma si nun parti
diventi un altro po' la mia trequarti
e va e va
nun puoi sape' er piacere che me fa'...
Magari qualche amico te consola
così tu fai la scarpa
e lui te sola
io te ce manno sola
sola senza de me
Già che ce sò
me levo st'altro peso...
co' tte che fai il capoccia
e stai più su
te sei allargato troppo
senti, a coso,
mica t'offendi se te do del tu
Ma....te c'hanno mai mannato...
a quer paese
sapessi quanta gente che ce sta
a tte te danno la medaja d'oro
e noi te ce mannammo tutti in coro
e va e va
chi va con la polenta e il baccalà...
Io so' salmone
e nun me 'mporta gnente
a me me piace annà controcorente
e va e va
che più sei grosso e più ce devi annà ...
e t'a ritroverai nel posto giusto
e prima o poi vedrai
ce provi gusto
Sto solo scherzando
giusto sto solo cantando
uh, sto solo a scherzà, pardon,
ma quanno alla mattina
sto allo specchio
c'è un fatto
che me butta giù er morale
io me ritrovo sempre
ar gabbinetto
e me ricanto addosso sto finale
te c'hanno mai mannato a quer paese
sapessi quanta gente che ce sta
così che m'encoraggio
e me consolo
cor fatto de mannammece da solo
e va e va
che si ce devi annà
ce devi annà...
tanto se te anniscondi dietro a un vetro
na mano c'hai davanti e l'altra dietro
e va e va
è inutile che stamo a litigà...
tenemoce abbracciati stretti stretti
che tanto, prima o poi,
ce annamo tutti a quer paese
tutti a quer paese tutti a quer paese là


Alberto Sordi

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domenica, aprile 01, 2007

 

Special Guests


“La Baaaanda!!!”

Ho fatto un sogno a occhi aperti, uno di quelli che mi fanno somigliare al compianto John Belushi in una memorabile scena di The Blues Brothers. Stavo ascoltando in cuffia il Boss e la E-Street Band che ci davano dentro con una tostissima versione extended di Glory Days quando la fantasia ha iniziato ad andare per i cavoli suoi.

Così vi ho visti riuniti al gran completo sotto il palco a vivere con me il concerto di Bruce Springsteen cantando, battendo le mani, ridendo, ballando: e con quel voi intendo esattamente VOI blogger con cui sono entrato in sintonia in questi mesi.
E’ stato bellissimo vedervi dal vero (si fa per dire) con mariti, mogli, fidanzati e bimbi al seguito mentre vi lasciavate trascinare dal clima di festa.

Non credete sia fantastico trovarsi a ballare con labelladdormentata anche scoprendo che vi dà la paga quanto a fiato e agilità? Per non parlare di Panzallaria che, affidata Frollina in mani sicure, fa scintille con Tino, o di Lemoni che ha una luce speciale negli occhi mentre guarda la piccola Micol ridere tutta felice e cercare di imitarla nel ballo.
Che dire di la Meringa se non che svetta tra la folla mentre saltella e si agita a tempo di The Raising con un altrettanto scatenato Seamus, del pimpante duo La Coniglia & Il Coniglio e dell’acrobatico pOpale, cui il saltare quotidianamente nel cerchio di fuoco deve fare lo stesso effetto della classica “prova staccionata” dell’Olio Cuore.
Poteva mancare all’appello una grintosissima Giuliana in versione streetwear con chiodo d’ordinanza? No ovviamente.

Neanche il tempo di mandare giù una birra con Vitadapubblicitario, Palmy e Marco Freccero che mi trovo ad ammirare l’indiavolato gruppo formato da SuperCopy, Fata Titania, OrsoCapriola, Parolamia, Kindofbeauty, Vegainthesky e Shehrazade. Non chiedetemi come o quando, ma le ragazze terribili si sono messe d’accordo per fare da coriste non ufficiali al Boss gorgheggiando e muovendosi scenograficamente... quando non scoppiano in risate fragorose che fanno perdere loro il tempo.
E’ una serata strepitosa, un Glory Day indimenticabile: lo leggo nell’espressione di Annalisa, Pubblivora, Gulliveriana, Fluid, Windy, Zoe, Kaiser e Occhidadonna. Sorrido a tanti altri volti che solo nella mia immaginazione posso riconoscere mentre tutto intorno a me la gente canta, salta, fischia, applaude.
Vorrei che questo momento non finisse mai, ma nella playlist di iTunes sta iniziando un altro brano, un’altra storia, un altro viaggio.

P.S. Mi auguro che nessuno dei blogger menzionati abbia a risentirsi. Con l’occasione, il bidone vi augura un approccio dolce e sereno alle festività pasquali.

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lunedì, novembre 27, 2006

 

Que viva l'Orchestra


orchestra di Piazza Vittorio Sabato scorso, rompendo un "digiuno" durato diversi anni, mi sono mosso di casa per andare a un concerto che si teneva al Teatro Smeraldo di Milano.
Di scena l'Orchestra di Piazza Vittorio, l'ensemble multietnica romana che da quattro anni porta avanti un coraggioso progetto musicale e d'integrazione sociale.
Nata nel cuore del popoloso e "complicato" quartiere dell'Esquilino (a ridosso della Stazione Termini), l'Orchestra di Piazza Vittorio ha raccolto intorno a se una quindicina di musicisti sbarcati in Italia da anonimi immigrati in cerca di un lavoro qualsiasi.
Il bello dell'Orchestra di Piazza Vittorio è che un gruppo tanto eterogeneo abbia trovato il modo di amalgamare, esaltandole, personalità e culture musicali diversissime.
Il risultato sono state 2 ore abbondanti, tiratissime, di World Music suonata e interpretata a ottimo livello. I musicisti, infatti, hanno saputo coinvolgere e trascinare il pubblico in sala con un'esibizione intensa che ha reso percepibile il piacere di suonare e di divertirsi insieme.

Veramente notevole, da consigliare.

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