martedì, luglio 01, 2025

 

La vittoria del bullismo negoziale trumpiano



Il ministro delle finanze Giorgetti ha definito l'accordo raggiunto in sede OCSE sull'esenzione delle big tech statunitensi dalla Global Minimum Tax come “un compromesso onorevole” che protegge le imprese italiane dalle ritorsioni automatiche originariamente contenute dalla Clausola 899 del Big Beautiful Bill, la manovra economica dell'amministrazione Trump in via di approvazione al Senato USA.

Benché la mia opinione conti come il proverbiale due di coppe quando la briscola è bastoni, a mio avviso l’accordo segna una vittoria per il bullismo trumpiano e una cocente capitolazione davanti a una estorsione per gli altri Paesi OCSE.

Bandiera bianca

Da una parte è comprensibile che si sia preferito cedere alle pretese di Trump per non rendere ancora più complicata e incandescente la negoziazione in corso sui dazi che gli USA intendono applicare sulle merci e servizi importati negli Stati Uniti. Dall’altra, tuttavia, si legittima una devianza creando un precedente pericoloso.

Per capirci, la riunione dell’OCSE aveva tra i principali punti in discussione un argomento spinoso: l’approvazione definitiva della Global Minimum Tax, normativa che prevede un livello base di imposizione per le imprese multinazionali o nazionali che abbiano ottenuto ricavi superiori a 750 milioni di Euro in almeno 2 dei 4 esercizi precedenti.
La normativa è concepita per porre un freno all’erosione fiscale e al trasferimento di utili attraverso l’imputazione a soggetto adempiente di una sede legale o di una filiale situata in Paesi con fiscalità di vantaggio.

Minacciando come suo solito ritorsioni immediate e agitando lo spauracchio della Clausola 899 - poi ritirata dal Dipartimento al Tesoro - Trump ha portato a casa l’esenzione delle multinazionali USA, fissando così un privilegio apertamente antitetico alla ratio delle norme in discussione.

L’arma dei dazi ritorsivi

È istruttivo esaminare il meccanismo della Clausola 899 citata da Giorgetti, così come le ragioni che hanno portato al suo ritiro e che, all’inverso, potrebbero favorire la sua riproposizione strumentale in futuro.
La Clausola 899 avrebbe conferito al Dipartimento al Tesoro USA il potere discrezionale, basato su valutazioni politiche più che economico-finanziarie, di far scattare anno per anno dazi ritorsivi contro i governi che che, a suo giudizio, avessero vessato e trattato ingiustamente le aziende statunitensi.
Attenzione però: la clausola non sarebbe andata a colpire i governi “cattivi”, prendendo invece di mira persone e aziende con legami con "Paesi stranieri discriminatori”.
Tra le potenziali vittime delle ritorsioni, infatti, sarebbero rientrate persone fisiche straniere, società la cui maggioranza azionaria non fosse detenuta da cittadini statunitensi, fondazioni e trust privati; in sostanza, qualsiasi società o struttura estera proveniente dalle giurisdizioni messe di volta in volta nel mirino.
L’obiettivo era chiaro: causare danni economici consistenti alle aziende e agli investitori esteri.

Il meccanismo principale era un aumento annuale del 5% delle aliquote fiscali sul reddito statunitense da dividendi e royalties, plusvalenze e vendite immobiliari delle "persone applicabili”. Le eccezioni contemplate erano pochissime: la Clausola, infatti, avrebbe annullato anche la Sezione 892, che esenta dalla tassazione i fondi sovrani.

A condurre al ritiro della Clausola 899 dalla manovra finanziaria sono state le reazioni allarmate di grandi investitori e analisti finanziari. L’opacità dei criteri per far scattare automaticamente i dazi ritorsivi e, soprattutto, la loro imprevedibilità avrebbero potuto generare insicurezza, scatenando un effetto boomerang sugli investimenti esteri negli USA, vitali per un’economia su cui pesano oltre 3.000 miliardi di debito pubblico da rifinanziare.

In conclusione, la Clausola 899 era un’arma di pressione difettosa, ma nella logica del bullismo negoziale seguita da Donald Trump questo aspetto era del tutto secondario rispetto al suo potenziale come leva intimidatoria. Perciò nessuno può escludere che - “buona la prima” - gli Stati Uniti si serviranno ancora in futuro di simili stratagemmi a danno dei suoi partner commerciali.

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venerdì, maggio 30, 2025

 

Dagli amici mi guardi Iddio...



Immaginate per un momento che un collega o un conoscente americano vi mandi una mail in cui scrive:

Ciao,
ti scrivo perché sono preoccupato per la tua situazione.
Mi spiace tanto che sia costretto a vivere in un’Europa abbruttita e in declino, votata al suicidio a causa di burocrati non eletti che hanno rinnegato i valori civili e religiosi dell’Occidente, patrimonio comune di noi americani e voi europei, e che stanno operando la sostituzione etnica attraverso l’accoglienza ai migranti.
Non so proprio come possiate sopportare questa élite laicista che calpesta apertamente la democrazia, odia e teme la libertà di espressione, perseguita i cristiani, utilizza la censura e la magistratura per reprimere il dissenso e mettere fuori gioco i partiti che hanno a cuore l’identità e la sicurezza delle loro nazioni come AfD in Germania e il Rassemblement National in Francia.
Ti pare accettabile che uno statista come Viktor Orban sia trattato dalla UE come un appestato o che le elezioni siano falsate in Romania e Polonia? non credo.
Malgrado questo, resto fiducioso che le cose presto cambieranno e che l’Europa si riallineerà agli Stati Uniti sulla base della comune identità culturale e cristiana.

Ipoteticamente, la mia reazione a questa mail oscillerebbe dall’inserire all’istante il mittente nello SPAM al chiedergli informazioni sui suoi fornitori di fumo e alcolici.

"Ricivilizzare" l'Europa

Ora possiamo smettere di immaginare e torniamo (purtroppo) con i piedi per terra. La narrazione distopica che avete letto è il succo del documento/manifesto "The Need for Civilizational Allies in Europe” ospitato dal 27 maggio scorso sul substack di cui il Dipartimento di Stato USA si serve per pubblicare discorsi programmatici, linee guida e documenti strategici.
L’autore, Samuel Samson, si fregia dell’incarico di consulente senior dell’Ufficio Democrazia, Diritti Umani e Lavoro (...) del Dipartimento guidato da Marco Rubio.

Il documento riprende e approfondisce i cardini del discorso-shock di J.D Vance alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco. Si tratta di una narrazione mistificante della situazione in Europa che disturba e allarma perché conferma l’impianto ideologico e gli obiettivi dell’amministrazione Trump nelle relazioni con l’Unione Europea: fare implodere la già instabile architettura della UE favorendo l’ascesa al potere dei partiti populisti e ultra-nazionalisti di estrema Destra. Si spiega così il titolo vago “La necessità di alleati civilizzanti in Europa”.

Non sfugge, peraltro, la specularità con le posizioni visceralmente anti-europee di intellettuali quali Aleksandr Dugin e di altri esponenti di spicco del nazionalismo russo fatte proprie da Vladimir Putin per nobilitare le sue politiche neoimperialiste e neozariste.
Con buona pace di chi aspira al ruolo di pontiere tra le due sponde dell’Atlantico, sembra proprio che sia lo zio Sam sia l’orso russo guardino all’Europa come a un grosso, grasso e stupido pesce destinato a finire nella padella di uno di due. Come recita il proverbio: “dagli amici mi guardi Iddio, che dai nemici mi guardo io”.

Lascio qui il link al documento originale in inglese. Un ringraziamento particolare al professor Fabio Sabatini per l’imbeccata.

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giovedì, aprile 24, 2025

 

Considerazioni sul 25 aprile "sobrio"


Buon 25 aprile, 80mo dalla Liberazione, da festeggiare con quella “sobrietà” che - a parer mio - è un solenne scartavetramento della vescica nonché il parto di un’ipocrisia elevata al cubo.

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mercoledì, marzo 26, 2025

 

This is not America


Prendiamo atto che sull’altra sponda dell’Atlantico è salita al potere gente a corto d'esperienza e di buone maniere; gente che non fa mistero di guardare all'Europa come a un consesso di bottegai avidi, rammolliti e pusillanimi cui va insegnato chi comanda e qual è il loro posto a tavola.

C’è un vicepresidente di belle speranze che nella sconsiderata chat di gruppo su Signal non si trattiene dal vomitare il suo disprezzo verso noi europei e la stizza perché i nostri commerci potrebbero beneficiare delle operazioni belliche decise unilatralmente dallo Zio Sam.
C’è un presidente che, non potendo negare oltre l’esistenza di una falla nella sicurezza nazionale causata dai dilettanti che ha nominato al governo, rincara la dose definendoci parassiti.
C’è, infine, l’incontinente deputata ultra-MAGA che, in conferenza stampa, zittisce una giornalista britannica di Sky News dicendole a muso duro: ”Non ce ne frega un ca**o della tua opinione. Tornatene al tuo paese che ha un enorme problema con l’immigrazione”

Prendiamo atto anche che da noi è in corso una gara tra esponenti del governo a chi si aggiudica l'ambito ruolo di scendiletto preferito delle deliziose personcine di cui sopra.

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giovedì, febbraio 20, 2025

 

Via Gialeto e le carte false


Nel mio paese d’origine, come in altri comuni della Sardegna, c’è una via intitolata a Gialeto. In tanti anni non mi sono mai domandato chi o cosa fosse Gialeto: se uomo illustre o località meritevole d’essere ricordata nella toponomastica. Mai avrei immaginato, però, che una strada potesse essere dedicata a un personaggio inventato.

Già, perché Gialeto, condottiero sardo che sul finire del VII secolo d.C avrebbe cacciato i Bizantini dall’Isola diventando il primo Giudice-sovrano di Cagliari nonché l’artefice anche degli altri tre Giudicati della Sardegna medioevale, è esistito solo nella fantasia del frate francescano Cosimo Manca e dei complici che l’aiutarono a fabbricare, a metà Ottocento, il falso storico delle cosiddette Carte di Arborea.

Nascita di una contraffazione

La vicenda ha inizio nel 1845, quando il frate minore pattadese Cosimo Manca fa visita al caglaritano Pietro Martini, autorevole storico, politico e direttore della biblioteca universitaria di Cagliari, porgendogli un documento su pergamena scritto in una grafia antica e scolorita dal tempo al punto di risultare pressoché illeggibile.
Martini sobbalza: quel documento ha tutta l’aria di essere autentico, risalire al XIV secolo e provenire dalla cancelleria del Giudicato di Arborea durante la reggenza della giudicessa Eleonora Bas-Serra, la leggendaria eroina della resistenza all’invasione aragonese della Sardegna.

Martini, tuttavia, prende tempo: vuole che il documento sia studiato in modo scientifico. Cerca perciò il conforto del parere di altri eruditi isolani tra cui spicca Ignazio Pillito, scrivano e specialista in paleografia che lavora presso l’Archivio Comunale di Cagliari. Solo a posteriori si scoprirà che l’archivista era il braccio della macchinazione, ovvero colui che si occupava di realizzare le pergamene.

Nel giro di circa un decennio, al primo documento se ne aggiungono altri, andando a formare un corpus che spazia su vari argomenti: cronache, atti giuridici, poemi, sonetti e panegirici scritti in latino, volgare italiano e sardo medievale che Pillito, ovviamente, non ha problemi a decifrare e trascrivere.

Un miraggio troppo bello per essere vero

Nel clima romantico e nazionalista di metà Ottocento la scoperta di quell'incredibile tesoro è un’autentica bomba per vari motivi:

Le Carte di Arborea trovano il sostegno di personaggi di spicco nel regno sabaudo come Carlo Baudi di Vesme e Alberto La Marmora, che provvedono a farne pervenire copia all’Accademia delle Scienze di Torino.
Baudi di Vesme fa di più: riesce a strappare a Theodor Mommsen, storico e massima autorità mondiale in materia di filologia ed epigrafia, la promessa di analizzare le pergamene. Il responso del luminare tedesco arriva ai primi del 1870 ed è lapidario: le Carte di Arborea sono un falso.

Conseguenze

Il verdetto gela il mondo accademico isolano e piemontese che, tuttavia, accetta la sentenza senza protestare, consapevole di essere cascato con tutte le scarpe in una figuraccia di dimensioni colossali.
Mommsen mantiene il riserbo sui falsi di Arborea fino all’ottobre 1877 quando, ospite di un convegno a Cagliari, semina l’imbarazzo tra i presenti rievocando la vicenda. In più, lo storico conclude il suo intervento sostenendo in modo assai poco prudente che anche la giudicessa Eleonora d’Arborea non era altro che una leggenda.
Mal gliene incorse: un gruppo di sconosciuti lo affrontò mentre si dirigeva all’imbarco del piroscafo per fare ritorno in Germania e gli sottrasse taccuini e carteggi, facendoli a pezzi in quanto “non era degno di maneggiare argomenti che non conosceva”.

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lunedì, gennaio 06, 2025

 

Quando non è suonata la tua ora


Durante le festività natalizie mi sono concesso qualche ora più del solito spaparanzato davanti alla TV. Il caso ha voluto che guardassi il film Odnà” (“L’unica”) del regista russo Dmitrij Suvorov e la prima stagione della serie TV canadese “Departure”.

Le due produzioni hanno in comune sia l’anno di uscita (2020) sia una trama che si sviluppa intorno a un disastro aereo cui sopravvive, miracolosamente, una sola persona.
Però mentre la sceneggiatura del serie TV è di fantasia, il film è tratto da una storia vera: quella di una ventenne unica superstite della collisione in volo tra un aereo di linea e un bombardiere sovietico avvenuta il 24 agosto 1981.

Nessun intento allarmistico. Gli incidenti sono eventi drammatici e scioccanti, ma rappresentano pur sempre una percentuale irrisoria rispetto al volume del traffico aereo civile; ancora meno sono quelli che provocano la morte di tutte le persone a bordo eccetto una. Tuttavia, se fate un salto su questa pagina web troverete una lista (in inglese) di 30 sciagure aeree avvenute tra il 1970 e il 2010 che hanno esattamente queste singolari caratteristiche.
Tra tutte, mi ha colpito particolarmente il disastro cui scamparono per un soffio il regista tedesco Werner Herzog e il suo attore-feticcio: l’eccentrico (eufemismo) e collerico Klaus Kinski.

Un colpo di sfortuna provvidenziale

Werner Herzog and Klaus Kinski
Lima,venerdì 24 dicembre 1971. Il ventinovenne Herzog si trova nella capitale peruviana in attesa di imbarcarsi su un aereo di linea che lo porti, insieme alla troupe, le attrezzature e il cast, alla cittadina di Pucallpa, da dove si trasferiranno nella foresta amazzonica per girare il film “Aguirre, furore di Dio”.
L’umore nel gruppo non è dei migliori: le riprese hanno già accumulato un giorno di ritardo per via della cancellazione dei voli causa maltempo. Non resta che affidarsi all’unico collegamento per Pucallpa programmato alla vigilia di Natale: il Volo 508 operato dalla compagnia aerea peruviana LANSA.
Solo che, giunti all’aeroporto internazionale di Lima, Herzog e compagni scoprono che i posti rimasti liberi sull’aeromobile - un quadrimotore turboelica Lockheed L-188A Electra - non bastano per tutti. Herzog e i produttori si vedono costretti, perciò, a posticipare ulteriormente la lavorazione del film. Ciò che il giovane regista al colmo della frustrazione ignora è che quel colpo di sfortuna gli sta salvando la vita.

40 minuti dopo il decollo, infatti, sulla rotta del Volo 508 si para l’ostacolo di un’estesa cellula temporalesca con forti turbolenze e fulmini. Tuttavia, forse per non rovinare il Natale ai passeggeri, i piloti decidono di proseguire verso Pucallpa.
20 minuti più tardi un fulmine colpisce l’ala destra causando un incendio. Lesionata dalle fiamme, l’ala destra si spezza, seguita a ruota da un troncone dell’ala sinistra. Ingovernabile e in balia della tempesta, l’aereo si disgrega e precipita. Lo schianto al suolo non lascia scampo ai 6 membri dell’equipaggio e a 91 dei 92 passeggeri.

Contro ogni probabilità, alla caduta da oltre 3.000 metri sopravvive la diciassettenne Juliane Koepcke, in viaggio con la madre. Malgrado fratture e lussazioni, una profonda ferita al braccio e una commozione cerebrale, Juliane trova la forza di trascinarsi per 10 giorni nella foresta pluviale sino a raggiungere un capanno di pescatori, dove viene trovata e soccorsa.

La scia del disastro

L’inchiesta sull’incidente da parte delle autorità peruviane evidenziò le responsabilità dei piloti per non aver invertito la rotta benché consapevoli del rischio per l’aeromobile e per l’incolumità dei passeggeri, ma anche la grave negligenza della compagnia aerea sul piano della manutenzione e della sicurezza dei suoi aeromobili. Dall’esame dei rottami, infatti, emerse che l’aereo non aveva conservato quasi nulla dell’Electra uscito 11 anni prima dallo stabilimento Lockheed, con la quasi totalità delle parti sostituita da pezzi recuperati da L-188 dismessi.
Come se non bastasse, LANSA era “recidiva”. Meno di un anno prima, un altro L-188A della sua flotta era precipitato mentre tentava un atterraggio di emergenza all’aeroporto di Cuczo avendo riscontrato il malfunzionamento di uno dei motori subito dopo il decollo.
Anche in quell’occasione il bilancio era stato pesantissimo: insieme all’intero equipaggio e a 91 passeggeri, nell’incidente avevano trovato la morte due sfortunati contadini.
Al termine delle indagini, LANSA era stata sanzionata con la sospensione per 90 giorni della licenza a operare. Il disastro del Volo 508 portò le autorità a revocare definitivamente la licenza a LANSA, che dichiarò fallimento.
Non ci furono invece conseguenze per la Lockheed. D’altra parte, il costruttore statunitense aveva già pagato caro i gravi incidenti che avevano stroncato sul nascere il successo commerciale del L-188 Electra. A dispetto della cattiva fama, però, l’Electra ha avuto una vita operativa lunghissima nell’allestimento cargo.

Werner Herzog, infine, rimase profondamente colpito dalla tragedia che lo aveva sfiorato e dalle circostanze del salvataggio di Juliane Koepcke, tanto da tornare sull’argomento nel 1998 con il documentario “Le ali della speranza”.

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