domenica, luglio 19, 2009

 

Sunday Resume 07.19.2009



Il futuro è già passato

immigrati scendono dal treno
Bastano questi tre dati relativi al 2008 raccolti dallo Svimez per fotografare lo svuotamento dello Stivale a sud di Roma, che si sta staccando dal resto del Paese come una suola logora.
La fuga dei giovani in cerca di un'occupazione, anche precaria purché remunerata con una busta paga appena non avvilente, non è certo una novità: c'è sempre stata sotto forma di stillicidio.
Ora però fanno le valigie in massa le intelligenze più promettenti, i laureati (38% di chi si è trasferito altrove nel 2007), e non si può dare loro torto se è vero - come è vero - che la previdenza sociale (trattamenti pensionistici e sussidi di disoccupazione) ha sostituito i redditi da lavoro come motore dell'economia di intere aree.

L'ho scritto tempo fa e con la stessa amarezza lo ripeto: oggi in regioni come Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna scegliere di non partire, cercare di farsi una vita nel paese dove si è nati e cresciuti vuol dire fare voto di ottimismo oppure essersi arresi alla rassegnazione. Come è stato fatto notare, il Meridione immobile e macilento cambia la pelle con la cartapecora.

Le Beatitudini aggiornate secondo il Piano Casa



Pubblicità - 1

La pubblicità in genere è un argomento che non richiede complesse elucubrazioni, almeno se la si guarda dalla prospettiva di chi sta davanti allo schermo o alla radio.
Gli spot, infatti, sono costruiti per essere consumati e metabolizzati velocemente, per destare attenzione, interesse e desiderio nel giro di una manciata di secondi; sarà la loro massiccia reiterazione nel tempo a fissare i messaggi nella memoria.
Ragion per cui quasi sempre uno spot piace o non piace, diverte o indispettisce "a pelle", senza particolari ragionamenti, senza che ci si debba impelagare in sottili distinguo tra contenitore e contenuto.

lapide ateaPerò ci sono casi in cui non si può fare proprio a meno di maneggiare uno spot con cautela.
Prendiamo questo spot che è stato in programmazione fino a venerdì scorso su un circuito radiofonico nazionale.
Il soggetto dello spot realizzato dall'agenzia Horace Kidman è un'opzione filosofica, una visione della vita e delle sue prospettive ultime capace di suscitare aspre controversie ovunque: quella di chi si definisce ateo o agnostico.

Se avete usato il link, forse converrete con me che dal punto di vista strettamente tecnico lo spot radio per l'Unione Atei Agnostici Razionalisti (UAAR) funziona, è incisivo anche grazie alla bravura dello speaker nel dosare tono, cambi di passo, pause ed enfasi.
Ben altra cosa è andare nel merito del messaggio, dove entrano in gioco fattori culturali e di educazione, ma soprattutto la capacità personale di tollerare l'esposizione di opinioni radicalmente in contrasto con il Credo professato.

La secolarizzazione e la caduta dei blocchi ideologici avranno anche annacquato il bando e l'ostilità latente verso i "senza Dio", però dubito che l'opinione pubblica di questo Paese sia pronta ad accettare che atei e agnostici divengano soggettivi attivi della comunicazione, che facciano proselitismo al di fuori di ambiti marginali.

Pubblicità - 2

- «Cos'è la vita senza un po' di... Arrogance
- «Già, e che sarà mai??»

- «Hey Gringo, la macchina vavabuma!»
- «???»

- «Chi fa le offerte come Opel? Nessuno Nessuno!»
- «Di', ma sei fuori??»

- «Ouì, je suis Catherine Deneuve...»
- «Ahahah! E io sono Ciccio di Nonna Papera!»

Chiedi chi erano i Beatles, cantavano gli Stadio, e un ventenne ti saprà sciorinare la discografia completa dei Fab-Four, bootleg inclusi.
Prova, invece, a esprimerti usando i tormentoni degli spot anni '80 e ci sono buone probabilità che il tuo giovane interlocutore ti scruti perplesso, indeciso se contattare la redazione di Voyager per segnalare un caso di possessione diabolica oppure concludere che il tuo ultimo neurone sano ha alzato bandiera bianca.

Sta a vedere che la vera frattura generazionale si consuma non nel look, nelle letture, nella musica o nei film, ma nella incomunicabilità che separa chi è cresciuto a pane e Carosello, che negli spot di un tempo riabbraccia un po' del suo io bambino, e chi, più prosaicamente, nella pubblicità vede solo... pubblicità.

Ogni generazione, divenuta adulta o adulterata, si guarda alle spalle e finisce per convincersi di aver vissuto anni formidabili, magici, creativi, assolutamente indimenticabili; è pronta a riabilitare con una lacrimuccia di commozione anche il ciarpame più ignobile.
Meglio, mille volte meglio, mettere in circolo gli anticorpi dell'ironia con una dose degli atroci, sgangherati, irriverenti Skiantos.




Buona settimana!

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mercoledì, marzo 25, 2009

 

Radio Voices


Non lo conoscevo personalmente, non avevamo amicizie in comune e sino a oggi ignoravo persino che faccia avesse, tuttavia quando questa mattina hanno dato per radio la notizia della morte di Marco Formigoni, 43 anni, giornalista di Peacereporter, sono rimasto impietrito sul divano.

È difficile spiegare razionalmente i legami che si creano attraverso un mezzo come la radio, specie se quest’ultima è l'espressione di un’identità collettiva in cui ci si riconosce malgrado molte sfumature e distinguo.
Marco Formigoni per me era una voce; una voce familiare che per qualche anno (dal 1993 al 1995) è entrata spesso e volentieri in casa mia attraverso le frequenze di Radio Popolare/Popolare Network, emittente che è da sempre uno dei punti di riferimento per l'area della Sinistra a Milano.

Riconoscevo Marco Formigoni non appena prendeva il microfono, provavo simpatia per come “stava sul pezzo”, per quel suo modo di raccontarti un fatto di cronaca o una situazione come se ogni dettaglio meritasse di essere spiegato affinché nulla restasse ambiguo o impreciso.
Con quella sua voce da bravo ragazzo mi dava l’idea di un "biondino", di un cronista giovane che stava ancora facendosi le ossa, però già capace di sciogliersi, di stare al gioco e di tenere botta a un peso massimo dallo stile ruvido e tranchant qual era l’allora direttore dell’emittente, Piero Scaramucci.
Mi faceva sorridere che proprio lui, con quel cognome ingombrante, fosse l’inviato di Radio Popolare ai congressi della Lega Nord, lo “specialista” mandato a misurare gli umori della base leghista e a decifrare i misteri altrimenti ineffabili del Bossi-pensiero.

Il bello della radio è proprio questo: basta una voce per avere l’impressione di conoscere a fondo qualcuno che è e resterà un perfetto sconosciuto.
Tante cose su Marco Formigoni, sul suo percorso umano e professionale, le ho apprese solo oggi e hanno aumentato esponenzialmente il rimpianto per quella sua voce “da bravo ragazzo”.

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