martedì, giugno 27, 2006
"Bruno fratello orso" ha finito la sua corsa
La favola di Bruno, il giovane esemplare maschio di orso bruno che dalle alpi italiane era sconfinato nei boschi della Baviera, è finita tragicamente all’alba di un’afosa giornata di fine giugno con una fucilata che non gli ha lasciato scampo.
Molti animalisti che avevano simpatizzato con l’orso in fuga dalle doppiette autorizzate dal governo del Land tedesco sono insorti alla notizia dell’avvenuta esecuzione che ha privato in un colpo solo l'ecosistema italiano, tedesco ed europeo di uno dei rarissimi esemplari di orso bruno ancora allo stato selvatico.
Però la sorte di Bruno era segnata da tempo e la condanna a morte era unicamente questione di tempo e di mira.
Il suo unico, imperdonabile errore è stato quello di non tenersi prudentemente alla larga dalle fattorie, dall’ odore dell'uomo, e di aver approfittato di pollai e ovili scambiandoli per altrettante mense apparecchiate da qualche istituzione caritatevole.
Un orso che prenda questa pessima abitudine mette in crisi la fragilissima convivenza tra l’uomo e la fauna selvatica perché, oltre al puro danno economico causato dalle razzie, crea un oggettivo problema di sicurezza. Un orso che vagabonda nottetempo nei paraggi di casa non somiglia certo a un tenero Teddy Bear, ma a 150/200 kg di muscoli poderosi, unghioni e zanne portati a spasso da un soggetto dalle reazioni imprevedibili.
Ciò che spaventa e indigna è la scelta senza se e senza ma del Land Baviera. Bruno avrebbe potuto essere catturato e messo nelle condizioni di non nuocere come succede ad alcuni suoi consimili marsicani in Italia, però quest’opzione pare non sia stata presa in seria considerazione o, forse, è stata scartata perché troppo costosa.
Più semplice e politicamente reddittizio mostrarsi decisionisti e comminare una punizione esemplare legalizzando la caccia all’orso transfrontaliero che razzia di frodonelle proprietà di onesti contribuenti.
Addio, Bruno, vittima delle paure e della mediocrità di un uomo che ama la natura purché stia a distanza di sicurezza o si metta docilmente in posa come una qualsiasi attrazione da zoo safari.
Ci dispiace, Bruno, avevi una vita davanti a te, ma la tua libertà e la tua ignoranza dei confini erano troppo pericolose per non incrociare il mirino di un cacciatore e il piombo di una cartuccia corazzata.
lunedì, giugno 26, 2006
The Smoking Pipe:
Un NO senza padrini né padroni
Questa volta non ci sarà la replica della notte di fiele per gli istituti demoscopici e per le provate coronarie gauchiste. Con spiccioli di risultati di sezione ancora da pervenire, il NO alle modifiche alla Costituzione appare stabilizzato sopra il 60%.
Non c’è da dubitare che nelle dichiarazioni dei portavoce della Casa delle Libertà si ripeterà ossessivamente che l’Italia è spaccata in due o che il Nord evoluto e produttivo (Lombardia e Veneto) ha detto sì: per l’asse Forza Italia-Lega Nord il colpo subito è durissimo, quasi una Caporetto. Cinque anni di ferreo patto elettorale e di feroci contrattazioni con i men che tiepidi alleati di AN e UDC vanno al macero insieme ai memorabilia della baita di Lorenzago di Cadore.
Sono curioso di vedere cosa farà adesso lo stato maggiore della Lega Nord. La coerenza tra il dire e il fare non è mai stata il punto forte dei politici italiani e, sotto questo aspetto, i celoduristi della Lega si sono dimostrati... italianissimi. Perciò sono scettico che da domani l’A8 e le frontiere di Chiasso e Ponte Ceresio si ingolfino in direzione Svizzera a causa dell’annunciato esodo in massa dei padano-leghisti.
A scanso di equivoci, quel 60,1% di NO non ha né padrini né padroni politici.
E’ l’Italia viva, l’Italia impegnata e che ha voglia di impegnarsi, l’Italia che vorrebbe essere un Paese normale e che ha valori sociali e civili che non sono in vendita ad aver detto NO a una riforma mediocre e pasticciata, che forse aveva qualche aspetto recuperabile, ma era basata su un architrave da buttare.
venerdì, giugno 23, 2006
Sogni mostruosamente proibiti
Ridicoli, irrazionali, ma anche a modo loro consolatori, i sogni a occhi socchiusi che si fanno prima di scivolare nel sonno vero e proprio o nel dormiveglia mattutino sono una delle poche cose belle della vita che si possono avere gratis.
Suppongo di non essere l’unico mentecatto che ha coltivato e coltiva tuttora fantasie sregolate e infantili, come quella di poter recuperare senza sacrifici tutte le passioni e le ambizioni che non si sono potute realizzare.
In fondo, in ognuno di noi c’è un campionario di luminose carriere mancate: la rock star, l’attore, il campione dello sport preferito, il reporter, il lupo di mare o - why not? - il solito supereroe in calzamaglia che trova sempre una cabina telefonica non devastata e che non puzzi come un vespasiano dove cambiarsi per entare in azione e salvare il mondo.
Incidentalmente, in questa dimensione follemente onirica c’è massima discrezionalità nel fare dell’allegra post produzione sugli aspetti meno entusiasmanti del fisico: gambe storte come mulattiere di montagna? No problem! Maniglie dell’amore che nel tempo sono divenute maniglioni antipanico o zampogne abruzzesi? Pfui! Agilità sulle piste da ballo degna di un nano da giardino? E che sarà mai!
Confesso che per qualche tempo il pezzo forte delle mie trasformazioni è stato il cosidetto plug-in multilingue.
Immaginate quanto sarebbe utile e comodo comprendere i principali idiomi del mondo come se fossero la madrelingua e poter selezionare istantaneamente un traduttore integrato che ci consenta di conversare in scioltezza con un inglese esibendo un lieve ma percepibile accento irlandese, con un russo usando la cantilena moscovita, con un francese da perfetto marsigliese ecc. ecc.
Ma il mio sogno mostruosamente proibito e piccolo borghese per eccellenza è ritrovarmi improvvisamente ricco da far schifo.
Il bello è che nel sogno non cambio quasi nulla nel mio attuale stile di vita (ok, una casa più grande e ben arredata è compresa di default) tranne una piccola cosa: rassegno le dimissioni seduta stante per accordarmi subito dopo per continuare a lavorare gratis, ovviamente senza alcun vincolo e per pura passione.
Nel sogno ho finalmente più tempo da dedicare alla famiglia e per seguire le cose che mi interessano, per sperimentare qualcosa di nuovo.
Nella mia nuova posizione di nababbo in incognito, inoltre, posso finalmente permettermi il lusso di selezionare un mio team di collaboratori di fiducia e di imporlo a muso duro (pago io, non scassatemi gli onusti attributi virili).
Non ditemelo...so già quel che state pensando:“Chi vive sognando muore......”.
Ma non sognate mai a occhi socchiusi, voialtri del pianeta Terra? ;-)
martedì, giugno 20, 2006
Strettamente personale
Questo è uno dei posti “speciali” dove sogno di essere per avere tregua e far respirare l’anima.
Ciò che non si vede sullo sfondo caliginoso è il mare: così scintillante sotto il sole da sfumare verso l’orizzonte dall’azzurro al bianco abbacinante striato d’infinitesimali pagliuzze d’oro.
Ciò che questa immagine non può catturare e far rivivere sono il silenzio quasi sospeso nel tempo e l’aroma del cisto riarso dal sole che va a mescolarsi a quello delle ginestre selvatiche, dei lecci e a quello sottile, pungente ed esotico dell’erba di Santa Maria, così simile al curry.
Nel cielo volteggiano gruccioni dalle ali multicolori venuti dall’Africa in tempo per la sciamatura delle api. Sembra giochino tra loro chiamandosi e sfidandosi in eleganti acrobazie. Molto più in alto, puntolini nel cielo, le poiane emettono il loro lamentoso grido di caccia.
Siedo su un masso e abbraccio con gli occhi i monti: vorrei essere di pietra anch’io, sereno, pacificato, finalmente parte integrante e non più esule e spettatore temporaneo di ciò che amo...
C’è chi decide consapevolmente di non avere radici, di non “appartenere” a nessun luogo in particolare.
Forse questa è autentica saggezza, perché tanti altri si portano per la vita il rimpianto e il richiamo impossibile di un posto che ormai possono visitare davvero solo nel sogno.
Per quelli come me ci sono luoghi, case, stanze, chiese, tombe che ci hanno segnati per sempre, che hanno un significato intraducibile se solo si cerca di separarli da un contesto, da un vissuto personalissimo, come se poi fosse possibile dare un’etichetta razionale alle emozioni.
Quanto sono pesanti queste valigie fatte di niente...
The smoking pipe:
Il narcisismo del copy
Un'amica blogger sensibile e acuta - che implicitamente e sentitamente ringrazio - mi ha fatto riflettere su un dettaglio insospettato del mio modo di scrivere su questo spazio.
Le mie annotazioni sono o sarebbero una sorta di circuito chiuso: tesi, approfondimento, eventuali corollari e digressioni, conclusioni. Magari l'argomento sarebbe anche interessante, però è trattato in modo tale da non offrire al lettore spunti, appigli e motivazioni per commentare e aprire una discussione.
In altre occasioni e in ambito professionale ho avuto occasione di sottolineare l'importanza di evitare il narcisismo compiaciuto di chi presume di saper scrivere e si pavoneggia a spese del lettore.
L'appunto che mi è stato fatto in amicizia mi tocca, perciò, sul vivo a prescindere dal principio assodato che su un blog non si deve rendere conto a nessuno di quel che si scrive, salvo che si abbiano ambizioni da blog star.
Tornare periodicamente con i piedi per terra è sempre cosa buona, così come rinfrescare di tanto in tanto un'altra regola della comunicazione: KISS, acronimo di Keep It Simple for Stupid o, più rudemente, di Keep It Simple, Stupid (semplifica, pezzo di stupido).
venerdì, giugno 16, 2006
The smoking pipe (riflessioni):
Millenarismo
Le guerre a fondo etnico e religioso, purtroppo, sono più che mai di moda.
Personalmente ritengo che il repertorio di orrori del terrorismo integralista e le mattanze quotidiane in Iraq, nella Striscia di Gaza, in Colombia e in altri angoli d’inferno troppo poveri, remoti o accuratamente sbarrati all’occhio dei media siano solo i podromi, l'antipasto di un processo planetario di lungo periodo.
Siamo portati a collocarci in uno scenario stabile, ancorato a punti di riferimento immutabili. I cambiamenti succedutisi dalla fine del secondo conflitto mondiale a oggi nell’economia, nell’industria e nella tecnologia hanno comportato, infatti, un processo di adattamento e d’integrazione che per le nazioni occidentali è stato (sinora) relativamente indolore.
Tuttavia dimentichiamo che le nostre sicurezze e i valori di cui ci facciamo vanto - il benessere, la civiltà, la democrazia, il libero mercato - si fondano su un ordine costituito che vige da soli 50 anni, 160 se si conta anche il periodo coloniale, e sulla sistematica depredazione delle risorse planetarie eseguita a spese dei 2/3 della popolazione mondiale.
In termini storici, 50 o 160 anni rappresentano un battito di ciglia, uno svolazzo, una bolla di sapone. Ciò che penso è che si sia messo in moto un rivolgimento generale, un sisma epocale che porterà al superamento traumatico dello status quo uscito dalla Conferenza di Yalta, riveduto e corretto in corsa dopo la caduta del Muro di Berlino.
Gli esiti sono in gran parte inponderabili, ma è probabile che se ci sarà una redistribuzione del potere e delle risorse, ciò comporterà rinunce dolorosissime per un Occidente ridotto a uno stato di subalternità economica e culturale.
Il mio non è un esercizio di millenarismo. Scorgo allarmanti analogie tra la situazione attuale e quella dell’impero romano sotto i regni di Traiano, Adriano e Antonino Pio nonché nelle strategie adottate per contrastare l’entropia di sistema.
Negli ultimi anni, infatti, si sta assistendo al costosissimo tentativo di spostare in avanti e di consolidare il limes della fascia cuscinetto dei Paesi amici e alleati, bonificando e sterilizzando in tutti i modi le aree di crisi che possono influenzare gli approvvigionamenti energetici e di materie prime.
Depurato di tutte le sovrastrutture ideologiche e propagandistiche, il principio è il solito, vecchio “se non puoi vincere, sottomettere e controllare i tuoi nemici, fatteli amici”, non importa quali argomentazioni e quali strategie usi.
Solo che il tentativo di cooptare e assimilare la fascia mediorientale trapiantando il modello occidentale, oltre a puzzare di neocolonialismo, sta rischiando seriamente una devastante crisi di rigetto.
E’ probabile che anche nel prossimo futuro si insisterà in questa terapia d'urto, associandola all’uso massivo di tutte le leve economiche e finanziarie a disposizione.
Siamo fuori tempo massimo per cambiare rotta?
Esistono alternative percorribili?
Il punto di domanda resta aperto.
Personalmente ritengo che il repertorio di orrori del terrorismo integralista e le mattanze quotidiane in Iraq, nella Striscia di Gaza, in Colombia e in altri angoli d’inferno troppo poveri, remoti o accuratamente sbarrati all’occhio dei media siano solo i podromi, l'antipasto di un processo planetario di lungo periodo.
Siamo portati a collocarci in uno scenario stabile, ancorato a punti di riferimento immutabili. I cambiamenti succedutisi dalla fine del secondo conflitto mondiale a oggi nell’economia, nell’industria e nella tecnologia hanno comportato, infatti, un processo di adattamento e d’integrazione che per le nazioni occidentali è stato (sinora) relativamente indolore.
Tuttavia dimentichiamo che le nostre sicurezze e i valori di cui ci facciamo vanto - il benessere, la civiltà, la democrazia, il libero mercato - si fondano su un ordine costituito che vige da soli 50 anni, 160 se si conta anche il periodo coloniale, e sulla sistematica depredazione delle risorse planetarie eseguita a spese dei 2/3 della popolazione mondiale.
In termini storici, 50 o 160 anni rappresentano un battito di ciglia, uno svolazzo, una bolla di sapone. Ciò che penso è che si sia messo in moto un rivolgimento generale, un sisma epocale che porterà al superamento traumatico dello status quo uscito dalla Conferenza di Yalta, riveduto e corretto in corsa dopo la caduta del Muro di Berlino.
Gli esiti sono in gran parte inponderabili, ma è probabile che se ci sarà una redistribuzione del potere e delle risorse, ciò comporterà rinunce dolorosissime per un Occidente ridotto a uno stato di subalternità economica e culturale.
Il mio non è un esercizio di millenarismo. Scorgo allarmanti analogie tra la situazione attuale e quella dell’impero romano sotto i regni di Traiano, Adriano e Antonino Pio nonché nelle strategie adottate per contrastare l’entropia di sistema.
Negli ultimi anni, infatti, si sta assistendo al costosissimo tentativo di spostare in avanti e di consolidare il limes della fascia cuscinetto dei Paesi amici e alleati, bonificando e sterilizzando in tutti i modi le aree di crisi che possono influenzare gli approvvigionamenti energetici e di materie prime.
Depurato di tutte le sovrastrutture ideologiche e propagandistiche, il principio è il solito, vecchio “se non puoi vincere, sottomettere e controllare i tuoi nemici, fatteli amici”, non importa quali argomentazioni e quali strategie usi.
Solo che il tentativo di cooptare e assimilare la fascia mediorientale trapiantando il modello occidentale, oltre a puzzare di neocolonialismo, sta rischiando seriamente una devastante crisi di rigetto.
E’ probabile che anche nel prossimo futuro si insisterà in questa terapia d'urto, associandola all’uso massivo di tutte le leve economiche e finanziarie a disposizione.
Siamo fuori tempo massimo per cambiare rotta?
Esistono alternative percorribili?
Il punto di domanda resta aperto.
martedì, giugno 13, 2006
Il potere dell'amicizia
sabato, giugno 10, 2006
L'amore bruciato
(dedicato a un'amica)
Dedicato
(lamento di donna)
Tutto è vano,
veglia senza alba,
la fatica d’ogni mio gesto.
Tutto è vano:
nulla c’è di sacro
nulla c’è di sano
finché sarai fuoco nelle mie fibre
finché il suono del tuo nome,
agro e mille volte amato,
avrà esaurito anche l’ultima scintilla.
Ti posso odiare,
profondamente,
con tutta la forza che mi resta.
Aizzarti contro vorrei
i neri mastini del rimorso
ogni giorno
ogni notte
che dal ricordo infierisci,
ogni volta che, incauto,
un pensiero si posa sul nostro passato.
Conchiglia relitta
vuota e avvizzita
mi trascino nella risacca
di volti e luoghi indifferenti,
ma nel non cercarti,
fuggendo la follia,
si fa più urgente e cupo
il bisogno d’avvampare ancora,
di riprovare quell’ebbrezza di noi
ch’eravamo zingari del mare.
‹Non con te, non con te›
mi ripeto, sconfitta e dolente,
cercando in me un angolo inviolato
qualcosa che sia solo mio
e non t’abbia dato.
Sola, serro i pugni
tra desiderio e vuoto
in un lamento
che i singhiozzi non sanno soffocare.
(2002)
venerdì, giugno 09, 2006
L'angolo del malumore
Egregio Responsabile Relazione Esterne, che vita stressante dev’essere la tua ai piani alti della mega azienda.
Capisco la tua solitudine, sperso in un ufficio appena più spazioso di un bilocale.
Sbircio la tua agenda fitta di appuntamenti e riunioni e comprendo perché ogni tanto evadi col pensiero in qualche paradiso remoto, inavvicinabile, dove non ci sono database da consultare, report da stendere, telefonate da fare o da ricevere, meeting, brunch, workshop e, soprattutto, i soliti squallidi personaggi da omaggiare e adulare.
Però
• spiegami perché solo alle 16:50 ti ricordi che in scadenza c’è un articolo di marketing da scrivere e firmare per il patinatissimo magazine aziendale
• spiegami cosa ti fa sentire così sicuro che ti basterà telefonare al solito pennivendolo a tassametro per avere l’articolo fatto e finito la mattina dopo nella posta elettronica
• spiegami come penseresti di far stare la strategia di comunicazione della tua azienda nonché la lista - debitamente commentata - degli eventi che la Corporation ha sponsorizzato e delle fiere cui ha partecipato nel 2005 entro lo spazio di 2.000 battute al massimo
• spiegami com’è possibile che, dopo che il pennivendolo è stato al lavoro fino a ora tarda a scrivere, rifinire e “asciugare” il testo perché restasse entro le fatidiche 2.000 battute pur mantenendo un taglio giornalistico decoroso, tu non provi il minimo disagio nel comunicare che hai cambiato idea sul contenuto dell’articolo.
Che cosa dici? Come sarebbe a dire che non sono (beep) miei??
mercoledì, giugno 07, 2006
Appunti di scrittura:
tra pratica e grammatica
0,00 US Dollar blog
Technorati m’informa asetticamente che questo blog attualmente non vale neppure un risicato, miserrimo centesimo di Dollaro USA. Non che mi aspettassi una quotazione da Blue Chip, ma neppure un rating da bond argentino, detto con tutto il rispetto e la simpatia che ho per i niños.
Niente di tragico: tra milioni di siti e blog di aspiranti giornalisti, scrittori, saggisti e opinion maker, Errori di stUmpa può essere considerato senza infamia uno zero in più che staziona negli inflazionati Giardini di Marvin.
Cari amici vicini e lontani...
Nel tentativo (ciclico e disperato) di mettere ordine nel lussureggiante marasma di carte, appunti, rassegne stampa ecc. che deborda ovunque si posi lo sguardo è rispuntato il brogliaccio preparato in occasione di una lezione.
La mia attenzione si è soffermata su un punto che avrei voluto trattare in quella sede ma che finì amputato senza anestesia per volgari questioni di tempo:
• esistono delle regole di scrittura che aumentano le probabilità di catturare il lettore, specialmente quello frettoloso e scorbutico del web?
• quanto conta lo stile personale, l’originalità e la capacità di variare i timbri?
Che scrivo a fare?
Sul primo aspetto esiste una prolifica produzione di saggi e tutorial, quasi sempre in lingua inglese, riguardanti tutto ciò che concerne il confezionamento dei contenuti: dalla pregnanza delle prime parole che si utilizzano al sofisticato modello di misurazione dell’eye tracking.
Si tratta di materiali di prim’ordine, utilissimi per fare il punto sulla qualità della propria scrittura. All’atto pratico, però l’adozione di poche, semplici regolette passepartout può migliorare l’appetibilità di qualunque testo: dalla brochure istituzionale al sito amatoriale.
a)ragionate sempre per obiettivi: cosa volete comunicare? A chi? Con quali argomenti e con quale linguaggio potete arrivare a conquistare la fiducia del lettore? Quali spazi di manovra avete a disposizione per giostrare tra argomentazioni razionali e persuasione emotiva?
b) non abbiate mai fretta di passare dalla singola idea creativa allo stato grezzo al testo completo e rifinito;
c) non innamoratevi di un concetto o di una frase al punto di sacrificare altre cose ben più importanti ai fini della comprensibilità e dell’efficacia complessiva del testo;
d)semplificare, sfrondare, sintetizzare sono procedure necessarie per fare chiarezza e non significano necessariamente banalizzare o mortificare la creatività. Quando un concetto o un passaggio logico non sono chiari nello spazio di qualche riga, trascinare il problema allungando il testo a dismisura è una perdita di tempo che può allontanare per sempre il lettore.
Ci sei o ci fai?
la capacità di variare il timbro a seconda dell’argomento e delle occasioni è un fatto di cultura, di sensibilità personale e di buon senso.
La scelta di restare coerenti a un’impostazione stilistica low profile può essere vissuta come un limite: si teme di risultare grigi, formali e sin troppo prevedibili. Il primo comandamento del business writer, però, è: “camaleontici quando serve, se stessi sempre”. La facondia, il sarcasmo graffiante, il non-sense sofisticato si possono imparare con la pratica e con l’imitazione dei virtuosi del genere, ma se non sono nelle vostre corde siate accorti e parsimoniosi.
Inoltre, saper sedurre intellettualmente e far sorridere con le armi dell’arguzia, dell’ironia o del calambour è molto più difficile di quanto si creda.
Il motivo è elementare: è necessario dosare gli ingredienti con il bilancino di precisione del farmacista e l’abilità manipolatoria del giocoliere. Avete presente la maionese? basta un banalissimo errore nelle dosi e la salsa si disfa.
L’errore più frequente che ho riscontrato nei giovani copy sta proprio nel voler dimostrare a tutti i costi di essere brillanti, finendo per mettere in secondo piano e azzerare con il proprio ego ingombrante un’idea di partenza apprezzabile.
I nuovi confessionali - Mode ON
Che lo si voglia o no, siamo un Paese che adora il chiacchiericcio, lo spetteguless, il pio-pio per linee orizzontali e il razzolare beatamente nel cestone della biancheria sporca altrui delle comari. Solo questa constatazione può spiegare come mai un popolo che odia cordialmente tutto ciò che è tecnologia sofisticata non conosca rivali al mondo nell’impiego del telefono fisso, del telefonino e del PC per le comunicazioni personali.
Confrontando siti web e blog italiani con quelli stranieri nonché occupandomi spesso di servizi per la telefonia mobile ho maturato l’idea - magari sballata, trita e banalissima - che per molti italiani adulti il telefonino e Internet surroghino il cattolicissimo confessionale.
Il filtro della tecnologia è la grata che crea uno spazio relazionale apparentemente neutro dove sono temporaneamente attenuati i condizionamenti, le sovrastrutture e gli omissis dell’io pubblico.
Fatta la debita tara per le imposture e per le fantasiose maschere che s’indossano nel creare una o più protesi magnificanti del sé che siano soddisfacenti, ho l’impressione che scrivere una e-mail, inserire un post, chattare, tenere un blog o prendersi il tempo di cercare nella rubrica del cellulare il numero telefonico da selezionare siano altrettante scuse per dialogare con se stessi con una franchezza altrimenti inpensabile e inammissibile.
Il monologo privato è destinato a diventare pubblico, l’interiore si trasformerà in esteriore con tutte le mediazioni, i formalismi, le circonlocuzioni e le censure del caso, tuttavia il breve spiraglio di virtuosa e virtuale sincerità che ci si è concessi è sufficiente per ottenere un terapeutico “effetto lavanderia”, per sentirsi momentaneamente assolti, riappacificati, redenti da tutto ciò che disturba e mina la certezza di appartenere alla Ordinary People.
giovedì, giugno 01, 2006
La cultura del buonumore
Cronaca mimima e irreale di un evento culturale mancato.
L’uomo più noioso a est del Flumendosa si schioda una tantum dalla scrivania per recarsi in una libreria del centro a visitare una collettiva su Giorgio Gaber.
Uscendo, sogghigna sprezzante all’indirizzo di un campionario di insalate in busta. «Con voi faccio i conti dopo» - mormora deponendo con enfasi la stilografica.
In centro l’aspetta l’occasionale complice: SuperCopy. Ma l’uomo più noioso... ecc. ecc. deve ancora superare la prova iniziatica number one: arrivare in tempo all’appuntamento malgrado il tram 3.
Riesce, infatti, a salire, scendere al primo ingorgo e rimontare sul leggiadro mezzo pubblico tre fermate dopo, esibendosi in perfetto stile “Cucù della Foresta Nera”.
L’incontro con SuperCopy sarebbe degno d’essere immortalato in una tela risorgimentale, più che altro perché davanti alla giovanile freschezza sfoggiata da SuperCopy l’uomo più noioso.. ecc. ecc. si sente pimpante e stiloso come un sigaro Garibaldi spento un secolo e mezzo fa dall'eroe dei due mondi.
Come Dio vuole, i due arrivano in Galleria Vittorio Emanuele II, ma nel “salotto di Milano” non c’è traccia della supposta mostra.
All’inizio l’uomo più noioso sospetta che la collettiva su Gaber sia ispirata al minimalismo, ovvero miniaturizzata per occupare giusto lo spazio di una mattonella dell’affollata e stretta libreria, ma si arrende all’evidenza che la rassegna sia stata rimandata.
Sul luogo del mancato evento piomba anche OrsoCapriola. L’assortito terzetto si fa presto una ragione degli scherzi del destino cinico & baro. Consapevoli di essere sottoposti a intercettazione ambientale da parte della Digos, i tre iniziano entusiasticamente a massacrare qualsiasi abbozzo di conversazione logica e a seminare una scia di risate scomposte lungo Via Torino.
Discettando di mock-up e del rapporto tra le mutande in cotone mercerizzato e l’etica della ragion pura, il terzetto approda in un notorio covo del gruppo terroristico Settembre Mariano camuffato da rileccato Caffè.
Cosa si dicano i tre resterà un mistero per tutti, specialmente per gli altri avventori del locale che restano perplessi dinanzi ai deflagranti scoppi d'ilarità elargiti a turno da OrsoCapriola e SuperCopy.
Se non altro, è stata una serata all’insegna della cultura: quella del buonumore.
L’uomo più noioso a est del Flumendosa si schioda una tantum dalla scrivania per recarsi in una libreria del centro a visitare una collettiva su Giorgio Gaber.
Uscendo, sogghigna sprezzante all’indirizzo di un campionario di insalate in busta. «Con voi faccio i conti dopo» - mormora deponendo con enfasi la stilografica.
In centro l’aspetta l’occasionale complice: SuperCopy. Ma l’uomo più noioso... ecc. ecc. deve ancora superare la prova iniziatica number one: arrivare in tempo all’appuntamento malgrado il tram 3.
Riesce, infatti, a salire, scendere al primo ingorgo e rimontare sul leggiadro mezzo pubblico tre fermate dopo, esibendosi in perfetto stile “Cucù della Foresta Nera”.
L’incontro con SuperCopy sarebbe degno d’essere immortalato in una tela risorgimentale, più che altro perché davanti alla giovanile freschezza sfoggiata da SuperCopy l’uomo più noioso.. ecc. ecc. si sente pimpante e stiloso come un sigaro Garibaldi spento un secolo e mezzo fa dall'eroe dei due mondi.
Come Dio vuole, i due arrivano in Galleria Vittorio Emanuele II, ma nel “salotto di Milano” non c’è traccia della supposta mostra.
All’inizio l’uomo più noioso sospetta che la collettiva su Gaber sia ispirata al minimalismo, ovvero miniaturizzata per occupare giusto lo spazio di una mattonella dell’affollata e stretta libreria, ma si arrende all’evidenza che la rassegna sia stata rimandata.
Sul luogo del mancato evento piomba anche OrsoCapriola. L’assortito terzetto si fa presto una ragione degli scherzi del destino cinico & baro. Consapevoli di essere sottoposti a intercettazione ambientale da parte della Digos, i tre iniziano entusiasticamente a massacrare qualsiasi abbozzo di conversazione logica e a seminare una scia di risate scomposte lungo Via Torino.
Discettando di mock-up e del rapporto tra le mutande in cotone mercerizzato e l’etica della ragion pura, il terzetto approda in un notorio covo del gruppo terroristico Settembre Mariano camuffato da rileccato Caffè.
Cosa si dicano i tre resterà un mistero per tutti, specialmente per gli altri avventori del locale che restano perplessi dinanzi ai deflagranti scoppi d'ilarità elargiti a turno da OrsoCapriola e SuperCopy.
Se non altro, è stata una serata all’insegna della cultura: quella del buonumore.