sabato, marzo 26, 2016
desslisia-dislessia
Mettersi nei panni altrui non è facile, tanto più quando non riusciamo a immaginare cosa si provi a vivere una situazione anomala rispetto a ciò che consideriamo l'assoluta "normalità".
Un disturbo alle facoltà di apprendimento (DSA), ad esempio, è qualcosa di difficile da concepire perché si tratta di un freno nascosto, elusivo, che non interferisce né con l'intelligenza né con le facoltà sensoriali, motorie o di socializzazione.
E' arduo mettersi nei panni di un ragazzino in età scolare che abbia una forma anche lieve di dislessia, disgrafia o discalculia. Ciò che si percepisce dall'esterno è solo la lentezza tormentosa e la fatica - fisica e mentale - nella decodifica di un testo, nella stesura di un compito scritto o in quello che un tempo si definiva far di conto.
Da genitori, la reazione standard è raddoppiare gli sforzi, gli esercizi di lettura, scrittura e calcolo aritmetico, nella speranza che un allenamento intensivo possa vincere le resistenze e gli impacci di un figlio che sembra "poco portato" o incline a perdere facilmente la concentrazione.
Nelle aule scolastiche, poi, il problema si amplifica all'ennesima potenza nel confronto con il resto della classe e gli insegnanti. Se anche un professore avesse il vago sentore di un DSA dietro le difficoltà di un alunno che non si applica, mancano il tempo, le competenze e le risorse per intervenire.
Tornando al problema di "visualizzare" il disturbo, mi ha colpito il simulatore dell'esperienza di lettura di un dislessico che trovate a questo indirizzo. Trovo che nella sua semplicità senza pretese sia un esperimento riuscito, ma soprattutto istruttivo.
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mercoledì, marzo 23, 2016
il carnaio
Il giorno più lungo di Bruxelles è stato un festino memorabile per gli avvoltoi, gli sciacalli e il bestiario dei leoni da salotto, accorsi a banchettare sul senso di vulnerabilità, lo smarrimento e il timore del "diverso" che inevitabilmente s'insinuano dopo un attacco terroristico.
Inutile far nomi o citare esempi: perché sporcare questa pagina con i deliri altrui quando bastano i miei?
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domenica, marzo 20, 2016
Un buon avvocato serve sempre
Un ingegnere muore e si ritrova alla porta del paradiso. San Pietro sfoglia il dossier sul nuovo arrivato, scuote la testa e dice: “Ah, vedo che lei è un ingegnere. Il suo posto non è qui, mi spiace.”
L’ingegnere viene spedito all’inferno, dove viene accolto. Ben presto, però, inizia a trovare insoddisfacente il livello di comfort del posto. Così inizia a progettare e realizzare una serie di migliorie quali l’aria condizionata, toilette con scarichi efficienti e scale mobili tra i vari gironi, diventando un personaggio molto popolare negli inferi.
Un giorno Dio telefona a Satana e con fare scherzoso domanda: “Beh, come vanno le cose giù da te?”
“Oh, qui le cose vanno alla grande!” - risponde Satana - “Adesso abbiamo aria condizionata, toilette che funzionano, scale mobili e non so cos’altro abbia in mente l’ingegnere che ci hai mandato.”
“Cosa? Come sarebbe a dire che hai un ingegnere?" - replica Dio colto alla sprovvista - “C’è stato un errore: non sarebbe mai dovuto arrivare da te. Rimandalo qui!”
Satana ribatte: “Nemmeno per sogno! Mi piace avere un ingegnere nel mio staff e me lo tengo!”
Indispettito, Dio sbotta: “Se non me lo rimandi ti faccio causa!”
“Ah sì?” - ribatte Satana con una risatina perfida - “Dimmi una cosa, conti davvero di trovare un buon avvocato in paradiso?”
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domenica, marzo 06, 2016
Non solo Regeni
«Sei un uomo forte, sheikh Kenawi: quanti figli hai?»
«Nove figli e sei figlie»
«Ringrazia il Signore»
«Basta che mi dica chiaro e tondo che avete ucciso mio figlio»
«Solo Dio è immortale»
Il 25 gennaio scorso Kenawi Hamdan, 67 anni, si è recato in un commissariato di polizia della città di Beni Suef, un centinaio di km a sud della capitale egiziana. Le autorità lo avevano convocato per informarlo della morte di suo figlio Mohammed, trentaduenne, ingegnere impiegato in un ufficio locale del Ministero dell'Agricoltura.
Di Mohammed Hamdan si erano perse le tracce il 10 gennaio, giorno in cui dei poliziotti in borghese si erano presentati in ufficio per prelevarlo, ammanettato, davanti ai colleghi attoniti. Nei giorni successivi, tuttavia, la famiglia Hamdan si era sentita rispondere dalle autorità che Mohammed non figurava nella lista delle persone trattenute in arresto.
Il 25 gennaio Mohammed Hamdan rispunta: cadavere e crivellato di proiettili.
La versione data dal Ministero degli Interni è che l'ingegnere sia stato ucciso nel corso di un conflitto a fuoco con le forze di sicurezza egiziane presso una fattoria dove si era nascosto insieme ad altri appartenenti a una cellula eversiva affiliata ai Fratelli Musulmani responsabile dell'omicidio di almeno tre poliziotti.
Ovviamente è poco credibile che l'uomo trascinato via in manette due settimane prima fosse contemporaneamente libero di spostarsi e di darsi alla clandestinità.
I riflettori sulle "sparizioni forzate" e sugli abusi commessi da polizia e altri apparati di sicurezza egiziani si sono accesi con il ritrovamento alla periferia del Cairo del cadavere di Giulio Regeni con segni di percosse, ferite da taglio, ustioni da sigarette e da scariche elettriche.
Per un caso Regeni, però, quante altre situazioni simili passano sotto silenzio perché riguardano cittadini egiziani?
Secondo l'Associazione Egiziana per i Diritti e la Libertà, le sparizioni forzate sono state 314 nel 2015 e 35 nei primi mesi di quest'anno.
Nella maggior parte dei casi, questi desaparecidos vengono arrestati e "torchiati" per giorni senza che ne venga data comunicazione alle famiglie e senza alcuna garanzia di difesa, salvo poi riemergere vivi quando le autorità decidono di formalizzare la detenzione.
A Giulio e Mohammed non è andata altrettanto bene; vittime di una "guerra al terrore con il terrore" che non ammette discussioni o dissensi e non ha tempo da perdere con le sottigliezze e i codicilli della democrazia standard.
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