sabato, ottobre 26, 2013
Scivolando oltre il bordo
An evening with Ariela
Che hanno a che fare con l’orso (che sarei io) le ombre elusive della possessione dionisiaca, trance liberatoria che riportava fuggevolmente l’uomo a contatto con una condizione di purezza pre-razionale, e quelle austere dei filosofi della arché, la critica irriverente a titani del pensiero strutturato come Kant ed Hegel e le riflessioni sul teatro di una singolare figura di intellettuale, attore, regista e teorico della rappresentazione teatrale?
C’entrano, perché in un uggioso giovedì sera di fine ottobre l’orso in questione ha fatto uno strappo alla routine casa-ufficio-casa per andare ad ascoltare gli argomenti di cui sopra.
Sfidando la contrarietà del fato, palesatasi con un guasto al treno della metropolitana che l’ha scodellato a metà strada in compagnia di centinaia di altri passeggeri imbufaliti, il plantigrado si è recato niente meno che alla presentazione di due libri di e su Alessandro Fersen.
D'altra parte, a spingere l'orso lontano dalla tana era un’occasione non facilmente ripetibile: conoscere di persona Ariela, di passaggio al Franco Parenti di Milano per presentare i due libri di suo padre, di cui una riedizione di un testo filosofico del 1936 e una raccolta di appunti.
Dopo anni di simpatici scambi sui reciproci blog e su Facebook è stato piacevolissimo incontrare questa pimpante signora zeneise trasferitasi da circa mezzo secolo nel kibbutz di Bar Am, nel nord della Galilea a un tiro di schioppo dalla frontiera con il Libano.
Al di là dell’aspetto prettamente social di abbandonare per una volta la dimensione mediata e virtuale del web, l’appuntamento serale con Ariela, la Fondazione Fersen e con un assaggino del mondo di Alessandro Fersen è stato puro food for thought.
Dove stiamo andando?
Avete presente quei momenti in cui ci si astrae dall'appiattimento sul presente e sul flusso caotico di azioni e reazioni, ritrovandosi ad osservare la propria vita come dall'alto di un balcone?
Beh, in uno di quei (rari) momenti di lucida astrazione mi è venuto spontaneo chiedermi dove cavolo stiamo andando noi italiani, chi realmente sieda al volante al di là del chiacchiericcio inconcludente e delle sagome senza spessore della politica da salotto e se, per caso, la sensazione di fluttuare pericolosamente nel vuoto sia non il frutto di una cattiva digestione, bensì la mal dissimulata realtà di un volo incontrollato verso il fondo del baratro.
A riportarmi bruscamente al piano terra ha provveduto il pensiero molesto, per non dire peggio, di schiattare avendo nelle orecchie la voce e la risatina di Renato Brunetta: ca@@o che incubo.
Etichette: Cultura, Pausa, vita da blogger
domenica, ottobre 13, 2013
Feticisti della Carta
Sono 70 anni che ti irridiamo, trascuriamo, tradiamo pubblicamente, maltrattiamo e stupriamo in ogni modo possibile e immaginabile.
E tu sempre lì, con i tuoi principi inattuati e inattuabili, muffosi e incartapecoriti; tu e quel tuo seguito di ammiratori devoti, pusillanimi e retrogradi, che vorrebbero che non cambiassi neanche di una virgola, figuriamoci!
È colpa tua se le cose tra noi non funzionano, se le riforme non riformano, le leggi non si applicano, le ingiustizie allignano, le imprese muoiono e l’economia ristagna.
Sai che c’è? Ci hai stancato
Sei vecchia e troppo poco flessibile. Sei un’insopportabile fica di legno!! Ecco, finalmente l'abbiamo detto.
Ti piaccia o no, è tempo che ti sottoponga a un bell'intervento di chirurgia plastica, perché per te un semplice lifting non è sufficiente, e sopratutto a una lobotomia come si deve.
Abbiamo già preso accordi con 40 amici degli amici che faranno questi lavoretti con la massima discrezione, vedrai.
Tornerai come nuova, anzi migliorata, e tutto sarà come prima. Torneremo a trascurarti, tradirti, torturarti e stuprarti perché, in fondo, ti vogliamo bene.
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sabato, ottobre 12, 2013
Un francobollo allunga la vita
“La situazione di Alitalia è sotto controllo”
Se fossimo sul set di L’Aereo più pazzo del mondo c’è da scommettere che scatterebbero in sequenza i segnali luminosi “okay panic” “bullshit” e “unbeliavable bullshit”.
Eh sì, ci risiamo e non è un bello spettacolo il governo che si agita e passa con il cappello della questua in mano pur di garantire un’altra boccata di ossigeno finanziario alla ex compagnia aerea pubblica dopo appena cinque anni dal “salvataggio” sponsorizzato dall’ex premier Silvio Berlusconi e guidato in cabina di regia dall’ex Ministro del Lavoro Corrado Passera, ai tempi Amministratore Delegato di Banca Intesa.
In cinque anni la CAI-Nuova Alitalia, affidata alla cordata dei “patrioti” già graziosamente ripulita della montagna di debiti pregressi della "vecchia" Alitalia - circa 3 miliardi di Euro - scaricati sui contribuenti, non solo non si è nemmeno avvicinata al break-even, ma ha accumulato perdite tali da bruciare capitale e liquidità ben oltre il livello di guardia.
A quanto sembra, il nuovo cavaliere bianco individuato dal governo è Poste Italiane SpA che, con qualche scusa inverosimile, dovrebbe mettere sul piatto i 75 milioni di Euro necessari a chiudere l’accordo per la ricapitalizzazione di CAI-Alitalia, convincendo una riluttante Air France-KLM, alle prese con una pesante ristrutturazione interna, e i maldisposti soci della cordata italiana guidata da Roberto Colaninno.
Perché non è un bello spettacolo? I motivi sono diversi, ma mi limito a citarne due:
- perché si travasa liquidità da una società di cui lo Stato è azionista di riferimento a un'impresa privata unicamente allo scopo di prolungare la stentata esistenza di un vettore inadatto a reggere la concorrenza delle low cost sulle rotte nazionali
- perché c'è da constatare, ancora una volta, che quando gli interessi da tutelare sono quelli degli istituti di credito più esposti e dei sindacati (7000 posti di lavoro non sono una bazzecola) improvvisamente la materia diventa interesse strategico nazionale, con buona pace dei contribuenti e degli altri mille tavoli di crisi aperti che devono pazientare all'infinito o affidarsi alla benevolenza divina.
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sabato, ottobre 05, 2013
Mean petty people
"io non sono razzista ma…"
- non possiamo aiutare tutti
- nessuno aveva chiesto loro di venire
- se fossero rimasti al loro paese, ora sarebbero vivi
- se la sono cercata: non erano obbligati a imbarcarsi su una bagnarola
- è tempo di fermare questa invasione o ci travolgeranno e ci calpesteranno
- non capiscono che qui non c’è posto per loro?
- dobbiamo pensare a noi stessi: prima gli italiani, poi gli altri
- nessuno proclama il lutto nazionale se un italiano si suicida per la crisi
- vengono qui illegalmente per farsi ospitare a sbafo e noi dovremmo dare loro il benvenuto in casa nostra?
- se possono pagare tanti soldi per salire su una carretta scassata perché non restano a casa loro?
Cominciano quasi sempre con la premessa politically correct: "io non sono razzista, ma..." i commenti di chi sta per scaricare sui social network la sua xenofobia elementare e fondamentalmente meschina, non riconosciuta come tale, anzi spacciata con fierezza come professione di buonsenso e sano realismo.
Quando si tocca l'argomento immigrazione, persino dinanzi a una tragedia umanitaria, scatta il riflesso delle paure più profonde, dell'insicurezza personale e sociale esacerbata dalla crisi economica e dall'impoverimento di una nazione declinante.
Sui social network saltano o sono bypassati i filtri di educazione e timore della riprovazione sociale che di solito presiedono le conversazioni vis a vis, per cui sale alla superficie ciò che normalmente non si ama ammettere fino in fondo, ovverosia di vedere nell'immigrato clandestino e nel rifugiato una minaccia, un potenziale saccheggiatore, un concorrente sleale per le stesse risorse fondamentali: il lavoro, la casa, il benessere, il futuro dei figli, la propria identità, il proprio posto nel mondo.
Ed è proprio la paura che il mondo come ce lo rappresentiamo si capovolga sotto il peso dell'ondata di disperati e di ritrovarci nella stessa drammatica situazione di chi si gioca tutto alla roulette del mare pur di avere la speranza di un nuovo inizio a dare il via alla sagra della grettezza ruspante, ai rigurgiti di razzismo strisciante e di malinteso istinto di sopravvivenza, con tanti saluti a quel poco di umanità e di civiltà di cui ci arroghiamo di essere depositari.
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