martedì, giugno 20, 2017
Tiresiatyricon
Sulla figura di Tiresia, l’indovino per eccellenza nel mondo antico, sono fioriti diversi miti sin dai tempi di Omero.
Figlio di Evereo e della ninfa Cariclo, Tiresia viene tratteggiato come un cittadino tebano senza doti sovrannaturali e dalla vita ordinaria sino al giorno in cui, accidentalmente, viene a contatto con il mistero della metamorfosi.
Andato a passeggio sulle pendici del monte Citerone, Tiresia s’imbatte in una coppia di serpi attorcigliate nell’amplesso nel mezzo del sentiero.
Forse infastidito dalla mancanza di pudore, Tiresia separa i due rettili con un bastone finendo per colpire duramente la femmina. Mal gliene incoglie, perché si ritrova immediatamente trasformato in donna.
In questo frangente Tiresia dimostra non comuni doti di adattabilità, abbracciando senza drammi la sua nuova identità di genere di cui sperimenta tutte le sfaccettature fisiche, emotive, sociali e sessuali.
Trascorsi sette anni, Tiresia si ritrova nuovamente davanti una coppia di serpenti in amore. Ammaestrata dal ricordo di quanto avvenuto, Tiresia questa volta si premura di colpire il maschio. Ça va sans dire, Tiresia torna a essere un uomo.
La faccenda, sia pure straordinaria, sarebbe finita nel dimenticatoio se Zeus, reso disinibito da troppe libagioni, non si fosse impelagato in un’accanita discussione con sua moglie Hera.
Motivo del contendere era chi, tra uomini e donne, ricavasse maggior piacere dall’atto sessuale. Il padre degli dei sosteneva fosse la donna, mentre Hera era irremovibile nell’indicare l'uomo.
Non arrivando a un compromesso ai coniugi divini sovviene quanto accaduto a Tiresia, così lo convocano sull’Olimpo per fare da giudice alla disputa. Messo alle strette, Tiresia dichiara - con più onestà che tatto - che la donna può arrivare a provare un piacere tre volte superiore a quello dell'uomo.
Non tollerando di essere contraddetta e sentendosi smascherata, l’infuriata Hera si vendica privando Tiresia della vista.
Zeus, che non può annullare il gesto di sua moglie, per risarcire il malcapitato gli dona il potere della chiaroveggenza e una vita lunga sette volte la media dei mortali.
Tiresia morirà ultracentenario lontano da Tebe: secondo alcuni di congestione, essendosi abbeverato all’acqua gelida di una fonte mentre era in fuga dalla città messa al sacco. Secondo altri muore di sfinimento durante il viaggio di trasferimento a Delo in compagnia di sua figlia, anch’essa indovina.
Arrivato negli inferi Tiresia convince Ade, Signore dell’Oltretomba, a lasciargli il dono della preveggenza. Per questo nell’Odissea Ulisse consulta l’ombra di Tiresia per sapere se, quando e in che modo potrà fare ritorno a Itaca.
Dal mito alla farsa
La metamorfosi da uomo in donna e viceversa, la curiosità e l’esplorazione delle potenzialità insite nelle differenze non solo fisiche tra i sessi troveranno nelle Metamorfosi di Ovidio una sistemazione poetica elegante, ma in epoca romana non mancheranno di stuzzicare la produzione di parafrasi e parodie scurrili del mito.
In una di queste Tiresia, cittadino e marito integerrimo, subisce le ire del dio Apollo, che ha allacciato una tresca con l’avvenente e giovane moglie.
Ferito nell’onore, Tiresia dà in escandescenze il giorno in cui, tornato a casa, scopre i due amanti in flagrante. Nell’accesso d’ira Tiresia arriva a rovesciare sul talamo il contenuto di un braciere provocando ustioni alla virilità del dio, al momento in forma d’uomo. Sofferente e infuriato per tanta mancanza di reverenza, Apollo si vendica trasformando all’istante Tiresia in donna, pensando così di prendere due piccioni con una fava: sbarazzarsi di un infimo rivale e umiliarlo a morte.
Qualche tempo dopo, il dio si ricorda della sua vittima e si reca in incognito a Tebe, pronto a godersi lo spettacolo di un Tiresia caduto in disgrazia e oggetto di scherno.
Resta, perciò, sbigottito trovando l’ex cittadino modello intento a concedersi con evidente soddisfazione prima a un nerboruto carrettiere, poi a un alto magistrato della città.
Costretto a fare la fila confuso in mezzo a un campionario di tebani allupati, finalmente Apollo riesce ad appartarsi e a scambiare quattro chiacchiere con Tiresia. Si arrende così all'evidenza che il mortale non ha alcun rimpianto per ciò che ha perduto, anzi benedice la sventura che le ha fatto scoprire quanto limitate fossero le sue esperienze di uomo rispetto al piacere che il corpo e la mente di una donna possono provare. Malgrado sia un dio, però, Apollo è in imbarazzo: non riesce a simulare un appetito erotico per Tiresia benché quest’ultima s’industri allo scopo. Delusa, Tiresia si lascia sfuggire: “Tra tutti i figli d'uomo belli e brutti, giovani o canuti solo tu, o straniero, ti sei mostrato incerto, incapace di ardere come uno stoppino bagnato e di farmi sentire desiderata, simile a una dea!”
Indispettito, Apollo abbandona il travestimento. Indifferente alle lacrime e alle suppliche, ritrasforma un'affranta Tiresia in uomo, per di più cieco a causa dell'esposizione all'insopportabile fulgore divino.
Tuttavia, punto dal rimorso di essersi comportato in modo meschino e timoroso del giudizio degli altri dei, in extremis Apollo concede a Tiresia il dono della preveggenza.
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domenica, giugno 11, 2017
Disumanizzare
Non mi ritengo buonista: mi sta solo sul cazzo chi, dall'alto di una presunta superiorità culturale e morale, con due righe sprezzanti di commento su Facebook disumanizza milioni di persone di cui, ovviamente, sa tutto quel che c'è da sapere.
Agli occhi di questi colti crociati da tastiera gli altri sono il MALE alle porte di casa: se non sono belve sanguinarie sono parenti o complici di belve, infidi sempre e comunque.
Perciò ai loro occhi è innaturale che nascano, crescano, ridano, piangano, sudino, abbiano fame, paura e il mal di denti, si innamorino, abbiano figli e li amino come noi.
Ne discende che per i subumani non valga quel che diceva un Rabbi messo a morte sotto il regno di Tiberio:
E chi è quel padre fra di voi che, se il figlio gli chiede un pane, gli dia una pietra?"Believe me when I say to you / I hope the Russians love their children too" cantava Sting a metà degli anni '80...
O se gli chiede un pesce, gli dia invece un serpente?
Oppure se gli chiede un uovo, gli dia uno scorpione?
Etichette: Cultura, Foreign Office, web
venerdì, giugno 09, 2017
Riina: il sassolino in piccionaia
Art. 27 3º comma Costituzione
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità...
In questi giorni ho letto - ahimè senza il minimo stupore - carrettate di commenti improntati a incredulità, indignazione e livore all’asserita notizia che la Corte di Cassazione aveva aperto un varco alla scarcerazione di Totò ‘o curtu, Salvatore Riina da Corleone, anni 86 e una collezione record di ergastoli da scontare in regime di 41bis per la ferocia sanguinaria con cui ha regnato da capo dei capi della mafia siciliana. La giustificazione di tale gesto di “buonismo" sarebbero state le condizioni terminali di Riina, cardiopatico e affetto da tumore ai reni in stadio avanzato.
È stato scritto che Riina non meritava alcuna pietà o trattamento di favore, inclusa la somministrazione di morfina (sic!), dato che alle decine di vittime ammazzate per strada, sciolte nell’acido o fatte saltare in aria su suo ordine era stata negata quella possibilità di una morte dignitosa che adesso implorava per se.
Una reazione di pancia, scandalizzata, intollerante dinanzi all’ennesimo presunto cedimento dello Stato, all’oltraggio alla memoria delle vittime della mafia, ma anche una reazione superficiale, fuori misura e poco aderente ai fatti.
Va precisato, infatti, che la Cassazione non si è espressa a favore di Riina rispedendo al Tribunale di Sorveglianza di Bologna la sentenza con cui quest’ultimo aveva rigettato l’istanza di differimento della pena o di ammissione agli arresti domiciliari presentata dai legali del boss.
Gli ermellini hanno semplicemente ravvisato che alcuni punti nella motivazione del rigetto erano carenti e contraddittori, ragion per cui la situazione di Riina dovrà essere nuovamente esaminata dal Tribunale di Sorveglianza.
Torniamo al terzo comma dell’articolo 27 della Costituzione. Cosa significa “trattamenti contrari al senso di umanità”?
Non esiste un riferimento univoco a qualche fonte del diritto nazionale o internazionale che aiuti a definire questo concetto, tuttavia una sentenza della Cassazione - la n.165 del 1996 - contiene un passo illuminante:
“perché la stessa restrizione in carcere possa ritenersi contraria al senso di umanità deve verificarsi una situazione di vera e propria incompatibilità tra regime carcerario, comunque disciplinato, e condizioni soggettive del condannato.”
Ed è qui il nocciolo autentico della questione: le condizioni di salute di Riina sono divenute incompatibili con la detenzione?
Le strutture sanitarie interne al carcere di Parma sono in grado di apprestare cure continue e dignitose per cui le esigenze di sicurezza - evidenti nel caso di Riina - possono senz’altro prevalere?
Se la risposta alla seconda domanda è sì non c’è motivo di discutere.
Se la risposta è no, allora neanche alla belva può essere negato il diritto, residuale ma insopprimibile, alla dignità umana.
Parteggiare per la negazione a prescindere di qualsivoglia pietas significa:
- affermare implicitamente che la pena è espressione di un diritto sovraordinato alla ritorsione, alla vendetta.
- delegittimare lo stato di diritto, che proprio nel riconoscimento e nella tutela della dignità umana ha la prima fonte di legittimazione della sua autorità.
- neanche tanto in fondo, significa annullare la differenza tra la giustizia - imperfetta, macchinosa ma tendenzialmente bilanciata - dello stato e quella spiccia, brutale e spietata somministrata dalle cosche mafiose.
Etichette: fucking hell, it's a fools' world, mafia
martedì, giugno 06, 2017
Diversi, uguali, umani
Lezione di disegno
Mio figlio sistema la sua scatola di colori di fronte a me***
e mi chiede di disegnare un uccello per lui.
Nel colore grigio immergo il pennello
e disegno un quadrato con serrature e sbarre.
Lo stupore gli riempie gli occhi:
"... Ma questa, padre, è una gabbia:
non sai disegnare un uccello?"
E io gli dico: "Figlio, perdona,
ho dimenticato la forma degli uccelli".
Mio figlio mette il libro di disegno davanti a me***
e mi chiede di disegnare del grano.
Prendo la penna
e disegno una pistola.
Mio figlio si burla della mia ignoranza
domandandomi:
“Padre, non sai la differenza tra una spiga e una pistola?“
Gli dico: "Figlio,
una volta conoscevo la forma della spiga di grano
la forma del pane
e quella della rosa.
Ma in questi tempi crudeli
negli alberi della foresta s'adunano
i combattenti delle milizie
e la rosa indossa un'uniforme sbiadita.
Questo è tempo di frumento armato
uccelli armati
cultura armata
religione armata.
Non puoi comprare una pagnotta
senza trovarvi dentro una pistola
Non puoi cogliere una rosa nel campo
senza che levi le sue spine contro il tuo volto
Non puoi comprare un libro
che non ti esploda tra le dita".
Mio figlio siede ai bordi del letto***
chiedendomi di recitare una poesia.
Dai miei occhi una lacrima scivola sul cuscino.
Stupito, mio figlio la sfiora ed esclama:
"Ma questa, padre, è una lacrima, non una poesia!"
E io gli dico:
"Quando crescerai, figlio mio,
e leggerai l’antologia della poesia araba
scoprirai che parole e lacrime sono gemelle
e che la poesia araba
non è altro che una lacrima pianta da dita che scrivono".
Mio figlio ripone le penne e i pastelli nella loro scatola
e mi chiede di disegnare una patria per lui.
Trema il pennello nelle mie mani
e il cuore mi si spezza nel pianto.
Nizar Qabbani