venerdì, febbraio 25, 2011

 

A fil di Rete



Il "pacco" delle Barbe Finte

La cosa più strabiliante della crisi libica vista dall'Italia è che i nostri Servizi di Intelligence (ex SISMI) abbiano rimediato una colossale figuraccia da cioccolatai.

In un'audizione davanti al COPASIR avvenuta a pochi giorni dal divampare delle proteste di piazza, infatti, il capo delle nostre barbefinte ha rassicurato la Commissione sulla tenuta del regime di Gheddafi, raccontando che la situazione in Libia era sotto controllo e che gli interessi economici in gioco erano troppo alti perché a qualcuno fosse consentito di soffiare sul fuoco.

Ora è assai improbabile che gli 007 di casa nostra si siano fatti sorprendere con le braghe calate, che non avessero occhi e orecchie per captare i prodromi dell'insurrezione, non fosse altro perché sull'altra sponda del Mediterraneo abbiamo interessi miliardari da tutelare tra cantieri e infrastrutture per gas e petrolio.

È probabile, invece, che i nostri Servizi fossero al corrente di tutto, ma data la gravità delle informazioni e il rischio per la sicurezza della rete di Intelligence in caso di fuga di notizie, abbiano scelto la strada del doppio canale: dossier Top Secret inviati al Governo (o a singoli ministri) e comunicazioni taroccate date in pasto al Parlamento.



l'Inaffidabile (ironico)

Una delle poche cose che ho capito è che nel corso di un'esistenza ci imbattiamo in poche persone destinate a esercitare un'influenza profonda in determinati passaggi-chiave.
Il pensiero corre spontaneamente alla figura di un educatore - maestro/a, sacerdote o professore - cui dobbiamo gratitudine per aver saputo intravedere, catalizzare e orientare energie, risorse, predisposizioni latenti che giacevano alla rinfusa come attrezzi da lavoro sparsi su un bancone.

Agli antipodi di questi luminosi esempi di mentori, però, c'è un'altra categoria di persone il cui discutibile dono consiste nel far affiorare o accentuare drammaticamente i lati meno piacevoli della nostra natura.

Non mi riferisco agli individui platealmente asociali, violenti, volgari o verso cui proviamo un'istantanea repulsione "a pelle", bensì a quelle persone garbate, colte e comprensive, persino generose nell'interessarsi nei momenti di difficoltà, ma che dietro l'aria apparentemente inoffensiva celano la più totale, disarmante e devastante inaffidabilità.

Avere a che fare con un/una inaffidabile è come entrare in un campo minato credendo di aver trovato l'area ideale per il picnic; peggio ancora, è come maneggiare un ordigno dotato di timer mentre gli artificeri si allontanano di corsa mettendosi le mani nei capelli.
Sì, perché un autentico inaffidabile si rivela in quanto tale a poco a poco. Lui (o Lei) è uno specchio che riflette quel che volete vedere, è un camaleonte che si fa in quattro per compiacervi, cosicché sulle prime i suoi difetti caratteriali appariranno tutto sommato veniali e facilmente correggibili.

angry womanA questo punto, l'errore più comune e deleterio è non voler ammettere di aver preso un granchio, intestardirsi a "salvare" l'inaffidabile dalla sua inaffidabilità in nome di presunte buone qualità, invece di prenderne velocemente le distanze.

In capo a qualche anno vi trovereste a fare i conti non solo con la disillusione, la frustrazione e il rancore per il tempo sprecato, ma anche con la sgradevolissima sensazione di essere cambiati in peggio, abbruttiti e incarogniti.
La vostra soglia di sopportazione nei confronti del mondo intero sarebbe ridotta ai minimi storici; vi basterà sentire la voce di Lui o Lei all'altro capo del telefono per trasformare la più innocua delle conversazioni in un duello senza esclusione di colpi.

Statemi a sentire: la prossima volta che annusate odore di inaffidabile nell'aria, drizzate le antenne, individuate il portatore e avvisate le autorità, il mondo ve ne sarà grato.

Bibliografia: Scarlett O'Hara - "Quelle due o tre cose che so del mio ex marito", Liberty Press 2010.

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domenica, febbraio 20, 2011

 

Scherza con i fanti



San Cristoforo

Pagani Zonda “Chi ha pane non ha denti”.
Non è per invidia, ma per puro fastidio che desidererei azzoppare a pedate quell’ineffabile TdC ventottenne che sulla Genova-Ventimiglia ha distrutto una Pagani Zonda.
Il rampollo di buona famiglia, con residenza a Montecarlo, ha perso il controllo della berlinetta supersportiva a produzione limitata, una cosuccia da mezzo milione di Euro, andandosi a schiantare contro il guardrail per finire la carambola su un’altra vettura mentre viaggiava alla modica velocità di circa 320 kmh.
Il tizio se l’è cavata praticamente senza una ciocca fuori posto, mentre l’amica che sedeva a fianco ha riportato appena qualche graffio.
Forse è il caso che, dopo il ritiro della patente e il pagamento dei danni alla Società Autostrade, questo esemplare di homo deficiens si rechi nella prima cappella innalzata a San Cristoforo per accendere un maxi cero votivo: si vede che ha trovato il santo in vena di fare gli straordinari.


Gheddafi? santo subito!

Mu'ammar GheddafiE ora come la mettiamo?
Abbiamo fatto tanto per ingraziarci il nostro “caro” alleato libico, chiudendo un occhio e genuflettendoci davanti alle sue pittoresche stravaganze, ai metodi con cui la sua “rivoluzione” ridicolizza concetti astrusi come democrazia e diritto, per non parlare dei suoi sempre garbatissimi solleciti di pagamento... e adesso anche lui, Muʿammar Abū Minyar al-Qadhdhāfī, traballa e rischia di ruzzolare nella polvere.

Può anche darsi che per questa volta il rais riesca a rimanere in sella, sia pur spargendo sangue a destra e manca.
Un leader non resta in piedi per oltre 40 anni senza aver intessuto una fitta e collosa ragnatela di clientele, prima di tutto nelle alte sfere delle forze armate. Quella stessa ragnatela che, da decenni, fa carne di porco dei proventi di gas naturale e petrolio non messi in quota - direttamente o indirettamente - alla Guida della Rivoluzione Libica e alla sua cerchia più intima.

Tuttavia lo scossone di questi giorni è forte, perché la popolazione urbana non beneficiata dalle briciole del sistema è stufa di vivere imprigionata in una cella fatiscente, dove i servizi più elementari funzionano per scommessa e il tempo sembra essersi fermato alla fine degli anni ’60, dove non sai mai se il vicino di casa non “arrotondi” facendo il delatore per i servizi di sicurezza, dove la disoccupazione è alle stelle.
Il desiderio di rispetto, di libertà, di riscatto da regimi arroganti e corrotti che accomuna i libici agli algerini, tunisini, egiziani, yemeniti, iraniani e ai cittadini del Bahrein potrà essere tenuto localmente sotto il tacco della repressione, ma prima o poi ci sarà un redde rationem.

Sta di fatto che un vuoto di potere in Libia sarebbe uno smacco clamoroso, una vera iattura per l’attuale governo italiano e la sua spregiudicata politica estera, che porta la partnership italo-libica come uno dei suoi più vistosi fiori all’occhiello.
Sfido io che il Cavaliere sia in ambasce e tifi, neanche tanto segretamente, per lo stagionato Gheddafi.
Difatti, ha liquidato le domande sulla situazione libica con una dichiarazione in punta di forchetta, un pudico “non mi permetto di disturbare nessuno” (sottinteso mentre l’interlocutore è occupato a fare ammazzatine al riparo da occhi indiscreti) che suona involontariamente comico in bocca all’uomo che non si fa scrupoli a imperversare telefonicamente tanto per galvanizzare fedeli e alleati quanto per insultare giornalisti, magistrati e politici non compiacenti.


Ambra la peccatrice



Forse qualcuno si sorprenderà, ma a me ciò che Ambra Angiolini ha dichiarato ad Annozero è piaciuto non solo perché la Angiolini ha messo insieme frasi di senso compiuto in un italiano discretamente fluente e incisivo (cosa non da poco di questi tempi), ma anche e soprattutto nel merito.

Diverse persone in questi giorni hanno arricciato il naso rimproverandole i suoi trascorsi di ninfetta smorfiosa e ammiccante davanti alle telecamere Fininvest all’epoca di “Non è la RAI”.
Altri, con assai meno signorilità, sono arrivati a rinfacciarle di essere l’archetipo delle olgettine del bunga bunga anche nelle prestazioni sessuali a telecamere spente, se non, addirittura, di averli indotti in una lontana adolescenza a praticare l’onanismo davanti alla TV.

Trovo insopportabile questo pseudo-moralismo d’accatto che etichetta e incasella sine die le persone, che cassa e ridicolizza giudicando dal barattolo senza nemmeno guardare, sfiorare o annusare il contenuto.

La Angiolini di “Non è la RAI” era una starlette senza particolare talento che mi era indifferente, esattamente come altre scoperte di Gianni Boncompagni quali Laura Freddi, Antonella Elia, Claudia Gerini e Isabella Ferrari.
Questi antecedenti non hanno impedito alle ultime due - già baby fidanzate di Boncompagni - di maturare e di farsi strada per meriti propri come attrici di buon livello, rispettate non solo sul set, ma sembrano marchiare Ambra Angiolini come shallow mind a vita, una "miracolata", e per ciò stesso priva del diritto ad avere e a esprimere un’opinione personale, giusta o sbagliata che sia.
Mi pare francamente che sia un controsenso molto "all'italiana", tanto più becero e inconsistente nel paraculissimo Paese di “Uomini e Donne”, delle indulgenze plenarie e degli sdoganamenti senza pudore.

Buona settimana.

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domenica, febbraio 06, 2011

 

Ditelo sui tetti





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martedì, febbraio 01, 2011

 

Scampoli di ordinaria umanità



Redivivo e rotabile

nighr train imgComunicazione di servizio destinata ai coraggiosi che, con ammirevole costanza, si collegano ancora a questo blog: sono ancora vivo e pronto ad ammorbare chicchessia.
Il black-out negli aggiornamenti è dovuto al fatto che sciropparsi 18 ore di viaggio su convogli ferroviari notturni a lunga percorrenza non è una cosetta di tutto riposo, specialmente quando alla soglia delle 50 primavere manca giusto un’incollatura.

Nel mio caso, la scoperta di questa forma di turismo alternativo del weekend ha in primo luogo solide ragioni affettive che, da sole, bastano e avanzano a giustificare la latitanza da blog, forum, newsgroup e social network.
Ma al di là di ogni altra considerazione, viaggiare nottetempo su e giù per lo Stivale mi ha dato l’opportunità di stare a stretto contatto (in tutti i sensi) con la realtà di un Paese in viaggio, con un’umanità pendolare che nei fine settimana si sottopone a massacranti maratone trascinandosi dietro una babele di trolley, borsoni e pacchetti di ogni misura.

Se l’orgoglio, la nostalgia e la fatica avessero una forma, questa sarebbe una valigia stipata all’inverosimile, mentre ci sono pochi dubbi che l’odore caratteristico sarebbe quello pungente del velo di traspirazione che ristagna dentro scompartimenti che, per contrasto, hanno la stessa temperatura iniziale delle celle frigorifere di un macello industriale.

Superato il caos del trovare sistemazione, i volti rattrappiti in maschere di stanchezza e di tensione nervosa si distendono, i cellulari cinguettano senza sosta frasi rassicuranti e appuntamenti antelucani ribaditi a parenti e amici, s’inizia a guardarsi intorno per capire chi siano e fino a che punto ci si possa fidare dei vicini di posto. Nei casi migliori, si arriva a essere accompagnati al primo degli stentati intervalli di sonno da gradevoli chiacchierate a ruota libera tra occasionali compagni di pena.

Già, la pena: perché il privilegio di viaggiare sulla rete ferroviaria italiana da Milano ad Ancona, Foggia, Crotone o Reggio Calabria a prezzi mediamente accessibili si paga con l’afflizione di vagoni standard disegnati 30 anni fa per tratte considerevolmente più brevi e, soprattutto, in dispregio dell’ergonomia.

L’educazione - che purtroppo resta un optional - e lo spirito di sopravvivenza consigliano istintivamente i passeggeri ad assumere posture a “S”, con il bacino e le gambe fuori asse pur di poter incastrare queste ultime a lato di quelle del dirimpettaio; il collo e il capo penosamente in torsione alla ricerca di un punto d’appoggio sui rilievi laterali dei poggiatesta.
La consapevolezza di dover affrontare ore e ore di viaggio ingabbiati in spazi insufficienti porta allo spasimo il desiderio di allungare liberamente le gambe e, allo stesso tempo, scoraggia chi non siede “lato corridoio” dall’alzarsi per cercare la toilette fintanto che lo stimolo non diventa un’urgenza indifferibile.

Pur in queste condizioni di scomoda precarietà, viaggiare in notturna fa scoprire dai finestrini scorci di un’Italia meno gretta e abbruttita, quasi pacificata e poetica nel suo essere temporaneamente riportata dal sonno a uno stato d’innocenza. Mi scuserete, ma trovo che in questi tempi volgari e sgraziati non sia poco.




Flattened morality

cover image of Tart (movie) Fare soldi, tanti e subito: sembra questo il chiodo fisso di tanti italiani.
Se fino a ieri, però, l’aspirazione a sistemarsi si sfogava in giocate compulsive al Gratta e Vinci, nell’inseguimento di improbabili numeri “ritardatari” o dell’ennesimo jackpot multimilionario, oggi emerge la disponibilità ad accettare qualsiasi proposta indecente, tanto più ignobile se le uniche fiches da giocare alla roulette sono le grazie giovanili di una figlia o di una nipote da promuovere nella dura competizione per vellicare le attenzioni lascive di tal culo floscio (sic!), potentissimo e attempato satrapo.

Solo qualche anno fa avremmo liquidato il tutto come materiale di scarto di un dozzinale feuilleton ambientato nell’Europa del feudalesimo e nella decadenza dell’impero ottomano.
Purtroppo siamo stati costretti a ricrederci dalla cronaca giudiziaria, a fare dolorosamente i conti con una torbida acquiescenza morale, con occhi levati al cielo e sorrisetti condiscendenti a mezza bocca che fanno sembrare l’Italia un’unica, degradata parrocchia del malaffare.

Si fa strada un dubbio: siamo certi di essere diversi dai genitori-lenoni della porta accanto, oppure la nostra pretesa incorruttibilità è subordinata al fatto che ci manca l'occasione per saltare sul luccicante carro della tentazione?
In ogni caso, se pure fossimo radicalmente diversi non culliamoci nell’illusione "pronta cassa" fornitaci dalla lettura dei forum e degli aggiornamenti dei social network: salvo sporadiche eccezioni, quella è solo la proiezione virtuale della nostra piccola riserva indiana.

Intanto c’è da scommettere che se la squallida cronaca dei festini e della vita esagerata del potentissimo sultano cadrà nel dimenticatoio o verrà astutamente oblata per vie traverse, ci sarà pronto il vitello grasso da immolare per il ritorno alla ragione del nonno prodigo.
Per la sorte delle “jeunes filles” sacrificate senza troppi rimpianti sull’altare della doppia morale e della convenienza politica, invece, ci sarà giusto lo spazio di una lacrimuccia edificante su qualche trafiletto a margine, condita dall'untuosa consapevolezza che tanto all'orizzonte non si prospetta alcuna "crisi di vocazioni”.

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