sabato, novembre 30, 2013
Infima astuzia o grossolana ignoranza?
Non meriterebbe attenzione alcuna il blogger residente nell’Appennino bolognese che, prendendo spunto dalle vittime dell’alluvione in Sardegna, ha pensato bene di rimestare nei peggiori luoghi comuni e nei più biechi insulti a sfondo razzista per confezionare una tonante e livorosa invettiva contro i sardi.
La collezione di accuse generalizzate e di affermazioni infamanti del tutto gratuite induce a pensare che il blogger abbia cognizioni appena superficiali, approssimative e per stereotipi della realtà sarda, ma soprattutto che consideri i sardi alla stregua di una fastidiosa colonia di parassiti che, oltre a infettare e devastare l’isola, succhia risorse preziose all’economia italiana.
Pertanto, la Sardegna sarebbe un paradiso se solo i sardi non fossero mai esistiti, ma poiché - purtroppo - esistono, sarebbe una liberazione se decidessero di tagliare i ponti con l’Italia e andassero alla deriva nel Mediterraneo per i fatti loro.
La requisitoria del blogger si commenta da sola. Il punto è capire il perché di una simile colata di disprezzo.
Forse è proprio vero che sotto la patina di ipocrisia, buoni sentimenti ed educazione noi italiani siamo ancora irriducibilmente e ottusamente tribali, campanilisti, tendenzialmente ostili verso qualsiasi "forestiero" come ai tempi in cui, al Nord, qualcuno esponeva in vetrina il cartello "vietato l'ingresso ai cani e ai meridionali/ai sardi". Oggi l'attenzione si è spostata verso gli immigrati, come dimostra ampiamente il tasso di intolleranza e di ferocia verbale dei commenti sui social network ogni qual volta si sfiori l’argomento, ma in memoria restano sempre le vecchie etichette spregiative da applicare a calabresi, siciliani, napoletani/campani, romani e sardi.
Questo non spiega, tuttavia, le ragioni di un attacco frontale ai sardi giunto a distanza di giorni dall’alluvione e, per giunta, anomalo rispetto alle tematiche dominanti del blog.
Resta aperto, perciò, il dubbio se sia stata un’inconsulta esplosione di astiosità e di ignoranza o, quel che sarebbe peggio, una squallida provocazione in puro stile troll studiata a tavolino per conquistare un quarto d’ora di visibilità.
Etichette: Sardegna, vita da blogger, web
sabato, novembre 16, 2013
Confessioni di un copy malandrino
lunedì, novembre 11, 2013
Esteri: materiali altamente infiammabili
Delta del Niger: illusionismo e inferno
Che le imprese che si occupano di attività geominerarie concernenti l’estrazione e il commercio di minerali o carburanti fossili non facciano un business “pulito” in termini d’impatto ambientale rientra nella categoria dell’ovvio come il mare salato o il ghiaccio ghiacciato.
Altrettanto facilmente comprensibile è che, oltre a rivendicare l’utilità diretta e indiretta delle loro attività, queste imprese cerchino anche di ripulire la loro immagine pubblica.
Ecco allora che le aziende mostrano il volto gentile e rispettabile di chi investe in tecnologie sempre più sostenibili, pubblica bilanci ambientali in cui autocertifica progressi ottenuti nella sicurezza e nelle emissioni nell’ambiente, si fa mecenate di iniziative culturali, sociali o benefiche ecc..
Poi succede che il fatato castello eretto dalla comunicazione d’impresa sia scosso dalle fondamenta alla prima verifica non autorizzata e filtrata, come sta succedendo a Shell e ENI-Agip per la loro gestione delle attività estrattive nel delta del Niger: forse uno dei luoghi del pianeta più inquinati e inquinanti.
Amnesty International e il Centro per l'ambiente, i diritti umani e lo sviluppo (CEHRD) hanno messo sul banco degli imputati soprattutto Shell, accusata di aver diffuso dati spudoratamente al ribasso sulla mega fuoriuscita di greggio avvenuta nel 2008, dichiarando di aver perso poco più di 1.600 barili di greggio, mentre un calcolo più realistico fissa il greggio riversato nel suolo e nelle acque in 72 giorni tra 103.000 e 311.000 barili.
La compagnia olandese, inoltre, è accusata - con tanto di prove documentali e video - di aver sistematicamente manipolato i report sulle perdite di greggio lungo le sue pipeline imputandole all’azione di locali “ladri di greggio” anche grazie alla copertura fornita da autorità nigeriane compiacenti, e di mentire dichiarando bonifiche ambientali mai eseguite.
Anche la nostra ENI, che attraverso la controllata Agip ha in concessione aree estrattive assai più limitate nel delta del Niger, non fa una bella figura avendo denunciato nel 2012 ben 474 perdite isolate nelle sue condutture, imputate al sabotaggio dei soliti “ladri di greggio”: quasi il doppio di quelle ammesse da Shell.
È vero, ENI ha dichiarato di pagare regolari risarcimenti e di avere un programma un piano da 200 milioni di Dollari per la messa in sicurezza degli oleodotti nel triennio 2013-15, ma questa spiegazione suona come una tardiva ammissione di una manutenzione non esattamente all’altezza (eufemismo).
Mio malgrado, mi vedo costretto ad ammettere che la comunicazione d’impresa attuata secondo strategie di stakeholder engagement e CSR (responsabilità sociale d’impresa) si rivela spesso null’altro che un raffinato esercizio di ipocrisia, fumo negli occhi di chi non è costretto a respirare ben altre sostanze.
Quasi quasi rivaluto il crudo realismo di Milton Friedman quando contestava sul piano etico ed economico l’impianto della Corporate Social Responsability sostenendo che i manager sono agenti per conto terzi e dipendenti dei proprietari-azionisti e che, pertanto, devono agire nell'interesse esclusivo di questi ultimi, senza distrarre senza permesso somme per falsi dividendi sociali.
Mozambico: il passato che torna
Chi ancora, contro ogni evidenza, nutrisse l'illusione che l'epoca del colonialismo e delle guerre sporche finanziate dagli appetiti di altre nazioni o multinazionali si fosse chiusa nel XX secolo è pregato di tenere d'occhio l'evolversi della situazione in Mozambico.
La ventennale pacificazione dell'ex colonia portoghese, massimo risultato ottenuto dalla diplomazia parallela della Comunità di Sant'Egidio, sta scricchiolando pericolosamente. Frelimo e Renamo, i due gruppi armati che si scontrarono dal 1975 al 1992 e poi si spartirono pacificamente il potere, hanno imbracciato nuovamente le armi l'uno contro l'altro in un tragico ritorno al passato.
Il motivo è squallidamente semplice. La guerra civile era foraggiata da vicini come il Sudafrica e la Rhodesia (oggi Zimbabwe) e dai rapporti di forza tra Occidente e Blocco Sovietico, ma in fondo il Mozambico non faceva gola in quanto ritenuto privo di risorse minerarie o energetiche appetibili. Per questo alla pacificazione, firmata a Roma, non furono frapposti particolari ostacoli.
Negli ultimi anni, però, sono stati scoperti vasti giacimenti di carbone, petrolio e gas naturali, oro e diamanti.
I dirigenti di Renamo e Frelimo non riescono a mettersi d'accordo sulla spartizione di questa colossale torta, e alle loro spalle soffiano sul fuoco nazioni come la Cina e le multinazionali interessate ad accaparrarsi lo sfruttamento delle materie prime.
Tutto come al solito.
Etichette: comunicazione, Foreign Office, it's a fools' world
domenica, novembre 03, 2013
Apple e gli appunti di uno scriba
Quando si tratta di muovere appunti a mamma Apple chi, come me, è utente di lungo corso della Mela Morsicata si sente invariabilmente stretto negli scomodi panni della zia acida. criticona e incontentabile cui non va mai bene niente. In effetti, se solo si ripensa agli anni bui in cui a Infinite Loop regnava il marasma, oggi si naviga nell'abbondanza in termini di qualità e quantità.
E allora perché storcere il naso e fare il verso alla principessa sul pisello?
Perché, da semplice utente, ho l'impressione che qualcosa non funzioni come deve nel nuovo corso intrapreso da Apple dal lancio di Lion (Mac OSX 10.7) in poi, specialmente nello sviluppo delle applicazioni fornite a corredo del sistema operativo. Negli ultimi 2 o 3 anni, questi programmi che rendono i Mac immediatamente operativi appena tolti dall'imballo hanno avuto aggiornamenti che hanno aggiunto da una parte e tolto dall'altra, e non sempre il bilancio appare positivo.
Faccio l'esempio di TextEdit, lo snello editore di testo che, a dispetto di un aspetto “povero”, fornisce tutto il necessario per la scrittura insieme a raffinate funzionalità di controllo tipografico disponibili anche su wordprocessor costosi e blasonati, ma a patto di sguinzagliare tra i menù un cane da tartufo.
Con Lion, Apple aveva dato una corposa sistemata alla grafica fin troppo spartana e minimalista dell'applicazione, rendendone l'uso ancora più semplice e intuitivo.
Con il successivo Mountain Lion, però, la revisione è andata a "semplificare" una delle funzionalità più comode, peraltro standard su molti altri text editor: la possibilità di regolare la visualizzazione del testo, ingrandendola o rimpicciolendola in percentuale.
Ora le possibilità sono rimaste 2: testo a grandezza standard (100%), minuscolo su un monitor ad alta risoluzione, oppure ingrandito con un fattore vicino a 300x che rende complicato visualizzare le righe di testo da un capo all’altro anche allargando al massimo la finestra di lavoro su uno schermo da 20,5 pollici.
Si direbbe che gli sviluppatori abbiano pensato unicamente a un uso non professionale su display piccoli e a risoluzione inferiore o in modalità a schermo pieno. D’altronde TextEdit è sempre stato un umile comprimario da chorus line, mai una “prima scelta”, e sia Apple sia altri sviluppatori offrono vagonate di alternative ben più attraenti - gratuite o a pagamento - senza andare a scomodare il mammasantissima Microsoft Word.
Ed è proprio tra i candidati a essere un’alternativa a Word che Apple ha “toppato” nuovamente. Mi riferisco a Pages, un’applicazione che per anni Apple ha venduto - a prezzo non modico - nel pacchetto iWork.
Pages è nato come originale ibrido tra un wordprocessor e un programma di impaginazione. Questa impostazione consente una maggiore libertà creativa nella manipolazione di testo, colori e immagini rispetto al rudimentale supporto offerto dai wordprocessor, ma senza la complessità e il livello minuto di dettaglio di programmi professionali come Adobe Indesign.
L’ultimissima versione di Pages, acquistabile su Apple Store o fornita insieme a sistema operativo Mavericks (Mac OSX 10.9) è sicuramente più attraente dal punto di vista del layout, nonché molto più simile - nei pregi come nei difetti - a un normale wordprocessor.
Purtroppo, comode scorciatoie e diverse funzionalità creative sono state sacrificate alla “pulizia” e alla "semplificazione" dell’applicazione, mentre vecchi difetti sono rimasti nascosti sotto lo zerbino.
Pages, ad esempio, ha sempre avuto tra i suoi talloni di Achille l'imperfetta esportazione dei documenti in formato MS Word: un difetto che Apple non si è mai curata di risolvere né nello specifico né con un supporto di sistema ben fatto.
Nelle vecchie versioni di Pages, i file convertiti in Word celavano errori di codice che si manifestavano solo al momento della stampa, sballando i parametri trasmessi alla stampante.
Il nuovo Pages supporta come formato di esportazione Word di default il docx di Microsoft. A parte i difetti specifici di questo formato, nelle prove che ho effettuato a casa i file così prodotti hanno mandato sistematicamente in crash le applicazioni basate su OpenOffice e non sono stati aperti da nessun altro programma di testo. Per chi, come il sottoscritto, deve condividere documenti con colleghi e clienti che usano Word sui loro PC non è esattamente un buon biglietto da visita.
Parlando in generale, la mia impressione è che la strategia di “convergenza parallela” tra Mac OS e iOS (il sistema operativo Apple per iPhone e iPad), pur offrendo benefici e spunti innovativi, vada ricalibrata. La semplificazione, la snellezza, il less is more che sui dispositivi palmari sono virtù capitali, trapiantati su un notebook o su un desktop rischiano di diventare un difetto perché diverse sono le esigenze da soddisfare.
È vero che con un iPad si può lavorare, anche a buon livello, e che con la “nuvola” - o iCloud che dir si voglia - si deve essere in grado di accedere ovunque ai propri file, però chi usa un portatile o un computer desktop per lavoro ha bisogno, prima di tutto, di contare su funzionalità magari meno eleganti da vedere, ma complete.
Etichette: geekcopy, Mac, tecnofollie
sabato, novembre 02, 2013
La pubblicità russa
L'idea di partenza è carina, non il massimo dell'originalità s'intende, ma impattante quanto basta per catturare l'attenzione di chi transita in auto. Al centro del cartellone pubblicitario, infatti, campeggia una giovane coppia che fissa l'obiettivo mentre è stretta in un tenero abbraccio.
Che c'è di strano?
C'è che si tratta di una coppia non convenzionale, specie per il pubblico USA, formata da un soldato americano e da una musulmana con addosso gli indumenti che li identificano a colpo d'occhio: lui in mimetica e basco, lei avvolta nel tradizionale niqab.
La relazione d'amorosi sensi è ribadita dalla fede nuziale che spicca all'anulare di lei. Inoltre, la tagline in alto a sinistra esplicita ulteriormente il concetto: #betogether, ossia stare insieme, essere uniti.
Le premesse romantiche e idealiste di un amore che supera qualunque ostacolo di lingua, cultura e religione deragliano fragorosamente allorché l'attenzione si concentra sulla scritta in basso a destra, dove nome e natura del prodotto reclamizzato si svelano al pubblico. Si tratta, con tutta evidenza, di uno spray decongestionante specifico per chi russa.
Ed è su questa transizione emotiva e concettuale che si gioca l'efficacia della campagna, perché il cartellone sarà ormai sfilato alle spalle di chi è in macchina quando il pretestuoso collegamento tra visual e prodotto si "incastrerà" nella mente dell'osservatore. Niente di macchinoso o di raffinato: solo la promessa di un'intesa di coppia rafforzata dall'assenza di rumori molesti nell'intimità della camera da letto.
Tutto qui???
Sì, più o meno, perché negli USA questa campagna sta facendo discutere per un altro aspetto: la provocazione, calcolata ma abbondantemente all'acqua di rose, nei confronti degli strati più conservatori della società americana, che difatti sono scandalizzati dall'uso strumentale e, a loro dire, indecoroso dell'immagine delle forze armate.
Mah... tanto RUMORE per nulla.
Etichette: adv, marketing, web