sabato, febbraio 27, 2010
Suitcase & Co
Sono di partenza.
Arrivederci alla seconda settimana di marzo, sperando di avere qualcosa di bello da raccontare.
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venerdì, febbraio 19, 2010
Coming around, again
Le belle notizie si fanno attendere e arrivano con il contagocce. Le notizie spiacevoli, in compenso, sono più dirette: te le ritrovi davanti all'improvviso come un muro piazzato di traverso subito dopo una curva.
Le parole in questi frangenti pesano infinitamente: sia quelle che si dicono sia quelle che, per qualsiasi motivo, hanno perso l’occasione di essere pronunciate.
Esattamente un anno dopo, ecco servito il remake di una situazione già vissuta, ma non per questo meno carica di tensione: la tua e quella della persona che vive sulla sua pelle questo secondo giro di roulette.
Cerchi di non sommare le due cose; cerchi dentro la fiducia per dire “ce la faremo... ce la farai, baby, non può piovere per sempre”.
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sabato, febbraio 13, 2010
Clonazione e dintorni
Alla fine degli anni ’70 ho letto “I ragazzi venuti dal Brasile”, thriller scritto dall’americano Ira Levin, da cui è stato tratto l'omonimo - e a mio parere non eccelso - film.
In sintesi, la trama prendeva spunto dalle deliranti e spietate sperimentazioni compiute dal dottor Joseph Mengele su donne e bambini (specie se gemelli) reclusi nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau e dalla sua dorata latitanza in Brasile - dove Mengele effettivamente è morto nel 1979 - per montare un fantasioso intrigo internazionale.
Nel romanzo, infatti, il famigerato Angelo della Morte di Auschwitz era a capo di una cospirazione neonazista che puntava a far risorgere il Terzo Reich grazie a perfetti cloni di Adolf Hitler ottenuti in Brasile da alcune cellule donate in segreto dal dittatore tedesco.
Ho riesumato questa lettura non per consigliarvela, benché si tratti di un discreto thriller, ma perché a trent’anni di distanza la ricerca genetica ha quasi colmato il gap tra le fantasie di Levin e la realtà.
Infatti, a Bradford, nel Connecticut, sono in corso studi avanzati per completare la ricostruzione della sequenza del DNA dell’Homo Neanderthalensis, meglio noto come Uomo di Neanderthal.
L’operazione è estremamente complessa, dato che si tratta di assemblare correttamente un puzzle di milioni di basi chimiche a partire da pochi frammenti alla rinfusa estratti da ossa che risalgono a un periodo incluso tra 200.000 e 40.000 anni fa, usando come riferimenti la mappatura del genoma umano e quella dello scimpanzé.
Inoltre, le sequenze ottenute devono essere verificate migliaia di volte per “ripulirle” dalle variabili introdotte dalla degenerazione molecolare post-mortem, dalle tracce di DNA batterico e da quelle lasciate da quanti hanno manipolato i resti ossei al momento del ritrovamento.
Una volta completato questo step con un margine di errore minimo - e sulle possibilità di riuscita sussistono pochi dubbi - scienziati e ricercatori dovranno ancora risolvere alcuni grossi problemi tecnico/pratici (es: ottenere cellule staminali), ma si troveranno comunque a un passo dalla possibilità di clonare un Neanderthal.
Da un punto di vista scientifico, l’ipotesi di riportare in vita una specie estinta strettamente imparentata con l’uomo moderno è dannatamente affascinante per le possibilità di ricerca che dischiude alle biotecnologie e alla medicina.
Per una parte della scienza, il ragionamento è: “se siamo in grado di farlo, perché non farlo?”
Se però si guarda all’aspetto etico, la faccenda appare assai più spinosa.
- Abbiamo il diritto di far rinascere uno o più esemplari di una specie catapultandoli in un’epoca e in un pianeta che per loro sono totalmente alieni?
- Abbiamo il diritto di farne delle cavie da laboratorio a vita, limitando la loro libertà, non fosse altro che per proteggerli dall’esposizione a malattie infettive per noi banali, ma verso cui loro non avranno difese immunitarie?
- Siamo certi che l’umanità sia pronta ad accordare lo status di uomo a individui di una specie diversa, di cui non conosciamo direttamente il comportamento e le attitudini, considerato l’accanimento con cui, ovunque e da sempre, ci scanniamo tra noi per pseudo-questioni razziali e/o religiose?
- Un'ultima domanda: se fossimo nei loro panni, ci piacerebbe essere trattati come attrazioni da baraccone o tenuti sotto stretta osservazione e sotto tutela da strani esseri in camice bianco?
Ci piacerebbe non avere radici, non avere un solo luogo al mondo dove sentirci liberi e a casa?
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martedì, febbraio 09, 2010
Soddisfazioni
Una notizia mai così gradita perché insperata: Il Consiglio di Stato, con sentenza depositata lo scorso 5 febbraio, ha chiuso l’aspro e annoso contenzioso amministrativo sul programma di riqualificazione dell’area di Tuvixeddu/Tuvumannu, a Cagliari, sconfessando ben due pronunciamenti del TAR e annullando l'autorizzazione paesaggistica rilasciata per l’edificazione di un complesso immobiliare da 150.000 mc nel bel mezzo di una importante necropoli punico-romana.
Per l’influente partito del mattone, che pure gode di solidissimi appoggi nella Cagliari che conta ed è tra i main sponsor della maggioranza al governo della Regione, si tratta di una batosta inattesa che giunge proprio nel momento in cui la posta in gioco sembrava pronta per essere portata all’incasso.
Sarà anche vero che il tempo è galantuomo, però quanto mi piacerebbe prendermi la soddisfazione di guardare in faccia gli integerrimi cronisti dell’Unione Sarda che due anni fa - all'epoca del primo verdetto del TAR favorevole a Nuove Iniziative Coimpresa - si incaricarono di esprimere la soddisfazione del loro editore intonando un osanna al “giustizia è fatta”.
Dubito che l'alta considerazione che costoro nutrono per la loro statura professionale abbia vacillato scorrendo i lanci di agenzia, un po' perché coltivare la memoria oggi è un brutto vizio, un po' perché sarebbe ingiusto negare alla stampa regionale il (proficuo) diletto della faziosità.
Tuttavia, se il mondo dell'editoria fosse un po' meno scadente e corrivo di quel che è, porgere le scuse sarebbe un atto dovuto sia verso i lettori sia nei confronti dell'ex governatore Renato Soru, velatamente accusato di aver procurato per pura ripicca un danno patrimoniale alla Regione, costringendola a un'avventura giudiziaria sconsiderata pur di sbarrare la strada alle legittime aspettative di un'imprenditoria illuminata.
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domenica, febbraio 07, 2010
Sunday Puke 02.07.2010
Vending Machine
Nell’azienda dove ho perfezionato la mia arte di prostituto intellettuale, da qualche anno staziona un distributore automatico di bibite e snack: un trappolone su per giù delle dimensioni di un armadio a 2 ante.
Niente di strano, visto che con una trentina di persone al lavoro dalle 9 alle 19 ogni santo giorno, eccetto sabato e domenica, c’è abbastanza “giro” da giustificare la presenza di simili macchinette acchiappasoldi.
Come ogni vending machine che si rispetti, anche il distributore presente in azienda ha le sue brave bizzarrie.
Premetto che tutto sommato è una macchina perbene: non finge di essere in funzione quando è fuori servizio solo per spillare soldi come quelle carognette delle sue “cugine” piazzate sulle banchine della Metropolitana Milanese.
No, “lui” semplicemente è lunatico e, random, si rifiuta di riconoscere alcuni codici di selezione senza dare spiegazioni.
Guarda caso, una delle combinazioni disconosciute è la numero 69, corrispondente al tè alla pesca (in lattina).
Mi è sorto il sospetto di avere a che fare con una macchina assai morigerata e che, quindi, consideri la richiesta di un 69 alla stregua di una molestia sessuale. Fosse dotata del dono della favella, non è da escludere che sibilerebbe un indispettito “Porco!!”
La fine dei blog
Il Corriere della Sera non è esattamente il Gazzettino di Vattalapesca, eppure non manca di deliziarci con articoli che riprendono senza fantasia né acume critico notizie pubblicate sulla stampa estera.
Secondo una ricerca condotta da un istituto americano - si premura di informarci il Corrierone - i weblog sarebbero uno strumento in declino. Specialmente nella fascia dei teenager, il “diario elettronico” sarebbe caduto in disuso, soppiantato dagli infinitamente più agili social network.
Ohibò, avevamo bisogno di questo articolo per scoprire l’acqua calda.
Mettiamo pure che blog, Facebook e Twitter possano essere messi sullo stesso piano, dimentichiamo l’effimero che c’è in ogni moda e fingiamo che non esistano differenze tra un sedicenne e un over 30.
Ditemi, chi opterebbe oggi per uno strumento che richiede concentrazione, consuma tempo (parecchio) e produce, alla meglio, dei messaggi nella bottiglia quando c’è l’alternativa di una piazza bell’e pronta dove essere visibili e spettegolare in tempo reale con gli amici?
Per inciso, lo stesso paragone si sarebbe potuto fare anni fa tra blog e siti web personali.
In sostanza, la scrematura prodotta dall’esistenza di alternative rapide e à la carte restituisce ai bistrattati blog un’identità più aderente alla loro funzione ottimale: quella di spazio personale di riflessione e di approfondimento.
Non sono più cool? Sono una realtà che non attira investitori pubblicitari?
Ce ne faremo una ragione.
Intanto, teniamoceli così come sono.
Quousque tandem...
I tempi sono sempre più cupi e sciagurati per il Paese reale, che sta cadendo a pezzi nel clamoroso disinteresse di una maggioranza che sequestra i lavori parlamentari al solo scopo di risolvere le pendenze giudiziarie dell’uomo più ricco e potente d’Italia.
Alcoa, Euroalumina, Rockwool, Eutelia, Omsa, Merloni, Termini Imerese, Porto Torres, Marghera ... il lavoro che c'era e che ora si trasforma in un biglietto di sola andata per l'inferno per migliaia di persone, intere famiglie gettate nella discarica insieme al sogno e ai bisogni di una vita normale.
A che serve, però, indignarsi pubblicamente se è come abbaiare alla luna?
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mercoledì, febbraio 03, 2010
Try it again, Renzo
Per intuito o per ponderato calcolo d'imprenditore, Renzo Rosso si è sempre dimostrato a suo agio nel cavalcare la tigre dei media, alimentando la notorietà della sua griffe Diesel per mezzo di campagne pubblicitarie regolarmente sopra le righe, spiazzanti e - in apparenza - dissacratorie.
Un esempio dello "stile Diesel" è questa discutibile campagna di buzz marketing che probabilmente avrete visto, dato che mesi fa rimbalzava tra YouTube e Facebook.
“Parlatene bene o parlatene male, purché se ne parli” sembra l’obiettivo perseguito dal patron di Diesel anche con l'attuale campagna “Be Stupid”: a prima vista, un esplicito elogio della stupidità contrapposta a un’acutezza d’ingegno giudicata insipida, prevedibile, tanto arrogante quanto priva di autentico coraggio.
Ci sarebbe di che far tanto di cappello all’ennesima trovata se non si mettesse di traverso lo sgradevole sospetto di un eccesso di autocompiacimento e di furbizia, di essere, come si suol dire, coglionati da un abbagliante sfoggio di originalità, sagacia e anticonformismo.
Il giudizio sulla scelta delle frasi a effetto e sulla vena di umorismo grossier che traspare nella galleria di immagini disponibile sul sito Be Stupid è eminentemente soggettivo.
Non di meno, il paradossale omaggio ai tanti Forrest Gump, ai maldestri cronici che inciampano nei loro stessi limiti e a chi sfida quotidianamente il ridicolo suona insincero, lascia un senso di fastidio come dinanzi a un mattatore che esasperi i toni della recitazione per strappare a ogni costo l’applauso.
Sarà anche colpa del gonzo dentro di me che si ribella all’appello a simpatizzare, ma la "bellezza della stupidità" decantata da Diesel mi pare tutto tranne che un pensiero stupendo.
Try it again, Renzo.
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