martedì, luglio 09, 2024

 

Raccontare archeostorie


Il bello di seguire le news di paleoantropologia è che quando penso a di aver capito qualcosa poi scopro quasi sempre di aver preso una cantonata. D’altra parte nuove scoperte rivelano informazioni che arricchiscono il puzzle aggiungendo tessere mancanti, ma apportano anche nuovi spazi vuoti da colmare e interrogativi da risolvere.
Questo lungo post è un "recap" personale sulle ultime notizie fatto unicamente per il piacere di scrivere di un argomento che mi appassiona e diverte.

Fuori dall’Africa a più riprese
homo sapiens

Oggi sappiamo che l’Homo Sapiens, comparso in Africa Orientale intorno a 300.000 anni fa, ha tentato varie volte di espandersi fuori dall’Africa prima dell’evento migratorio principale che sarebbe avvenuto intorno a 60.000 anni fa.
Tra 210.000 e 100.000 anni fa, infatti, piccoli gruppi di cacciatori e raccoglitori Sapiens avrebbero raggiunto l'attuale Israele e risalito la costa del Mediterraneo Orientale fino al Peloponneso, entrando in contatto e incrociandosi con i Neandertal.
Per qualche ragione, tuttavia, questi precoci tentativi di insediamento fallirono, nel senso che il patrimonio genetico di queste avanguardie Sapiens a un certo punto si è estinto, lasciando unicamente tracce in alcuni siti e nel DNA dei Neandertal.

Tutti insieme sull’altopiano?

Un recente studio scientifico, basato su un complesso lavoro di screening sul DNA antico e moderno di varie popolazioni e su dati paleobotanici, sostiene che ci sarebbero stati un momento e un luogo in cui gli antenati diretti di tutta la popolazione mondiale (eccettuati gli africani) si ritrovarono insieme prima di sciamare verso Europa, Asia, Estremo Oriente, Oceania e le Americhe.

Secondo questa teoria, dopo essere uscito dall’Africa un gruppo di circa 5.000 individui composto dai nostri progenitori si sarebbe fermato più o meno per 10/15.000 anni nell’altopiano iranico, una vasta area oggi in larga misura semi-arida che, oltre all’attuale Iran, comprende parte dell’Azerbaigian fino alle sponde del Caspio, il Belucistan (Pakistan) e il nord del subcontinente indiano. Durante questo periodo stanziale gli avi Sapiens si moltiplicarono e mescolarono con i Neandertal.

Sulle ragioni di questa sosta prolungata si possono fare solo congetture. Forse l’area permetteva il sostentamento del gruppo ed era sia scarsamente popolata dai Neandertal sia lontana dagli insediamenti dei Denisova. Questo avrebbe dato ai nuovi arrivati il tempo di attrezzarsi per competere per le risorse o per trovare accomodamenti pacifici con le due specie "cugine", avvantaggiate in partenza dalla maggiore forza fisica e dalla perfetta conoscenza dei luoghi.

Rimessisi in marcia in tempi e direzioni diverse a partire da 45.000 anni fa, i Sapiens di questo particolare gruppo sarebbero andati gradualmente differenziandosi fino ad arrivare alle attuali popolazioni non africane.
Come è noto, quanti si inoltrarono nell’Asia e nel Sud-Est Asiatico si incrociarono con i Denisova, probabilmente in Indocina (Laos).
Inoltre, non va dimenticato che nel nostro corredo genetico esistono frammenti che testimoniano una remota "fraternizzazione" con una non identificata specie di ominini dalle caratteristiche arcaiche (i genetisti parlano in proposito di introgressione superarcaica). I possibili candidati, solo in Africa, vanno dalle australopitecine all'Homo Erectus, dall'Homo Rhodesiensis all'Homo Naledi: tutte specie di cui abbiamo reperti fossili ma non il DNA.

Le pitture rupestri in Borneo e a Sulawesi
mappa isola di Sulawesi

Tutto a posto? Non proprio. Se si accetta la tesi del lungo stanziamento sull’altopiano iranico diventa improbabile che i nostri progenitori siano gli stessi Sapiens che in Australia hanno lasciato tracce risalenti a circa 60.000 anni fa o gli autori delle pitture rupestri più antiche al mondo, scoperte in alcune grotte del Borneo e sull’isola indonesiana di Sulawesi, che nuovi e più accurati sistemi di misurazione del decadimento dell’Uranio hanno datato rispettivamente a 40.000 e 51.000 anni fa.

L’ipotesi più semplice è che si tratti di “altri Sapiens” partiti in anticipo o che non effettuarono soste intermedie prima di raggiungere e superare la cosiddetta Linea di Wallace, ossia i bracci di mare che separano le masse continentali dell'estremo oriente asiatico dalle isole di Filippine, Indonesia, Borneo e dall’Australia e che anche durante i picchi glaciali non sono mai arretrati fino a consentire il guado a piedi.
In poche parole, sarebbero stati dei Sapiens dotati delle nostre stesse doti di ingegnosità, adattabilità e talento artistico, ma non nostri diretti progenitori. Quando questi ultimi sopraggiunsero, infatti, in qualche modo ebbero il sopravvento, sovrascrivendo e cancellando l’eredità genetica di chi li aveva preceduti.

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domenica, febbraio 18, 2024

 

Eris, Makemake e la strategia dell’opossum



Eris e Makemake sono i nomi di antiche divinità minori assegnati a due dei pianeti nani che orbitano all’estrema periferia del sistema solare. Quel che sappiamo di questi “oggetti transnettuniani” deriva in larga misura dall’osservazione del loro transito davanti a stelle e dall’analisi dell’albedo (la capacità di riflettere la radiazione solare) che ci hanno permesso di ricostruirne dimensioni, composizione chimica al suolo e caratteristiche climatiche salienti.
Il ritratto che ne scaturisce fa sembrare la notte polare una vacanza ai tropici: due mondi perennemente avvolti nella semioscurità, con il sole che è poco più di un puntino che brilla nel firmamento, ibernati in un sudario di ghiacci di metano, toline, composti azotati e idrogeno tenuti allo stato solido da temperature prossime ai -250°C (contro i -89,2°C della minima terrestre).

Il calore dove meno l'aspetti

La convinzione che Eris e Makemake siano pianeti congelati e geologicamente morti da miliardi di anni è stata recentemente contraddetta da una analisi condotta da NASA, ESA e CSA sui dati relativi allo spettro chimico del metano ghiacciato raccolti dal Telescopio Spaziale James Webb.

Gli scienziati coinvolti nello studio si aspettavano che la composizione isotopica del metano fosse coerente con la datazione al primissimo periodo di formazione del sistema solare. Si è scoperto, invece, che l'idrocarburo sulla superficie di Eris e Makemake appartiene a ere geologiche relativamente recenti ed è di origine endogena.
Si ha avuta così la prova che i nuclei rocciosi di Eris e Makemake hanno subito in passato un cospicuo riscaldamento radiogenico, tale da “bollire” il metano e farlo risalire in superficie attraverso fessure nella crosta o criovulcani.
Ciò ha condotto, inoltre, a ritenere plausibile l’ipotesi che i nuclei siano tuttora abbastanza caldi da alimentare sorgenti geotermali di metano, ammoniaca e acqua allo stato liquido sotto la calotta di ghiaccio.
Sarebbe qualcosa di simile, in piccolo, alla presenza di oceani sotto la crosta ghiacciata dei satelliti Europa (Giove) ed Encelado (Saturno).

La strategia dell'opossum

In conclusione si potrebbe dire che Eris e Makemake abbiano fatto del loro meglio per non dare nell’occhio e applicare la strategia dell’opossum: fingersi pianeti cadavere conservati nel congelatore per continuare a vivere da eremiti felicemente ignorati da telescopi e sonde spaziali. Non avevano fatto i conti con la tecnologia, la scienza e l’inesauribile curiosità della scimmia nuda.

fonte: Sci News 15.02.2024

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domenica, giugno 05, 2016

 

errori di calcolo




20 anni fa (4 giugno 1996). il lancio inaugurale del vettore Ariane 5 abortì dopo appena 40 secondi producendo una spettacolare palla di fuoco e una cascata di rottami incandescenti. Per il consorzio franco-tedesco che produceva il nuovo vettore per conto dell'Ente Spaziale Europeo (ESA) fu un danno economico e d'immagine di dimensioni ciclopiche.

Cos'era successo? Il meccanismo di autodistruzione si era attivato automaticamente perché i sensori di bordo segnalavano che le forze aerodinamiche stavano facendo a pezzi il vettore, ma ciò non sarebbe successo se il razzo non avesse effettuato una brutale correzione di rotta per cercare di compensare un errore di traiettoria che in realtà non esisteva.

Il computer di bordo era stato tratto in inganno dai dati provenienti dal sistema di guida inerziale. Quei numeri, che sembravano dati di volo e che indicavano una traiettoria errata, erano in realtà solo un messaggio di errore diagnostico, dato che il sistema di guida si era disattivato.
Quell'arresto era avvenuto 36,7 secondi dopo il lancio, quando il software aveva tentato di convertire una parte dei dati - la velocità laterale del razzo rispetto alla piattaforma di lancio - da un formato a 64 bit in virgola mobile in un formato a 16 bit. Il numero risultante, però, era risultato troppo grande per essere gestito e - esattamente come un boccone troppo grosso da ingoiare - aveva mandato in tilt il processore. L'Ariane 5 era dotato di un secondo sistema di guida che entrò regolarmente in funzione ma, essendo dotato del medesimo software, si arrestò nel giro di pochi millisecondi.

Dopo un anno e mezzo di polemiche e di inchieste si risalì alla causa del fallimento: un bug del software dovuto a una banale quanto errata scelta dei programmatori.
Non si sa in nome di quale vantaggio in termini di efficienza o semplicemente perché "tanto non era mai successo niente", i programmatori non avevano inserito nel codice le linee aggiuntive che consentono di recuperare la situazione quando una conversione di dati da una forma all'altra va storta generando un'operazione errata.
In sostanza, era stato stabilito che la conversione del dato sulla velocità laterale NON avrebbe potuto produrre un numero troppo grande. Invece era successo uno di quei pastrocchi che nei PC Windows fanno comparire il ferale messaggio "questo programma ha eseguito un'operazione non valida e sarà terminato"

La cosa più assurda è che il calcolo contenente il bug che ha arrestato il sistema di guida, confuso il computer di bordo e costretto il razzo fuori rotta in realtà era inutile una volta che il razzo si era staccato da terra.
La sua unica funzione, infatti, consisteva nell'allineare il sistema prima del lancio e permetterne lo spegnimento e il successivo riavvio in caso di sospensione temporanea del conto alla rovescia. Gli ingegneri, però, avevano deciso che non fosse inutile tenere attivo il programma nei primi 40 secondi di volo.

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domenica, maggio 17, 2015

 

Metamorfosi



Traduzione e adattamento da Sum del neuroscienziato David Eagleman

Giunti nell’aldilà vi viene generosamente sottoposta l’opportunità di scegliere cosa vorrete essere nella prossima vita. Potreste gradire l’idea di appartenere al sesso opposto, nascere in seno a una famiglia regale, essere filosofi dall’illimitata profondità di pensiero, scienziati brillanti e innovatori, generali che trionfano sui campi di battaglia.

metamorfosi
Ma forse siete tornati nell’aldilà dopo una vita difficile e dura. Forse siete stati portati allo stremo dal peso e dalla complessità delle decisioni, delle responsabilità e dei sacrifici che vi hanno accompagnato in vita e ora c’è un’unica cosa cui aspirate: la semplicità. Questo rientra tra le cose che possono essere concesse.

Così per il prossimo giro scegliete di essere un cavallo. Vi attrae la beatitudine di una vita semplice come quella. Avete sempre immaginato quanto possa essere piacevole essere un cavallo. Pomeriggi immersi nella quiete a nutrirsi in pascoli aperti e rigogliosi, l’eleganza e l’equilibrio imponente della vostra struttura, i muscoli possenti, la pacifica coda che si muove lenta o gli sbuffi di vapore che fuoriescono dalle narici mentre galoppate su pianure imbiancate dalla neve.

Annunciate la vostra decisione.
Vengono pronunciate le parole dell’incantesimo e per il vostro corpo ha inizio la metamorfosi. I muscoli si ingrossano, un tappeto di morbido pelo erompe per coprirvi come la più confortevole delle coperte in inverno.
I mutamenti nella struttura celebrale seguono a distanza serrata quelli anatomici, cosicché l’ispessimento e l’allungamento del collo vi appaiono naturali mentre avvengono. La carotide cresce di diametro, le unghie si fondono diventando zoccoli, le ginocchia si irrobustiscono e le anche si rafforzano. Contemporaneamente, il vostro cranio si allunga assumendo la sua nuova forma e il cervello si rimodella: la corteccia celebrale rimpicciolisce e cresce il cervelletto, i neuroni vengono reindirizzati, le sinapsi scollegate e ricollegate secondo lo schema equino e il vostro sogno di capire come ci si possa sentire a essere un cavallo galoppa verso voi da lontano. Gli affanni che vi hanno amareggiato in passato svaniscono, il cinismo maturato sui comportamenti umani si sgretola e persino il vostro modo di pensare umano inizia a dileguarsi.

Improvvisamente, però, prendete consapevolezza di un problema che non avete considerato: più diventate cavallo, più dimenticate il desiderio originale. State dimenticando come era essere umani che si chiedevano come fosse essere un cavallo. Questo barlume di lucidità non dura a lungo, ma quanto basta per essere la punizione per il vostro prometeico peccato. Ancora per un istante siete mezzi uomini-mezzi cavalli, e ciò rende acremente inutile che ora siate consci che non si può apprezzare la destinazione senza conoscere il punto di partenza, non si può essere felici nella semplicità a meno che non si ricordino quali siano le alternative.

E questa non è neppure la peggiore delle rivelazioni. Con orrore vi rendete conto che la prossima volta che ritornerete nell’aldilà, con il vostro cervello equino non avrete la capacità di chiedere di diventare nuovamente uomo: la scelta di discendere la scala dell’intelligenza o di abbracciare il livello di consapevolezza di un’altra specie, infatti, è irreversibile.
Una frazione di secondo prima di perdere definitivamente le vostre facoltà umane, riflettete dolorosamente su quale magnifica forma di vita extraterrestre, affascinata dall’idea di una vita più semplice, abbia scelto nell’ultimo giro di essere umana.


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domenica, ottobre 21, 2012

 

Parabola ecologica


Come Lazzaro


Questa storia sembra la ripetizione moderna di quanto è avvenuto nei secoli ogni volta che l'uomo è arrivato via mare in qualche luogo del pianeta da lui non ancora esplorato e colonizzato. L'elenco di specie animali che hanno fatto le spese della caccia, del disboscamento o delle abitudini predatorie degli animali che l'uomo ha portato con sé, infatti, è piuttosto lunga.
Makambo
Lo scenario della moderna "parabola" è l'Isola di Lord Howe, oggi paradiso turistico per pochi e facoltosi fortunati che si trova quasi a metà strada tra le coste orientali dell'Australia e la Nuova Zelanda.

Il 15 giugno 1918 la SS Makambo, nave adibita al trasporto passeggeri e merci tra l'Australia e le isole del mare di Tasman, va a incagliarsi forse per un errore di manovra su una scogliera affiorante nei pressi della costa di Lord Howe.
La nave, abbandonata, resta bloccata nella morsa degli scogli per circa 10 giorni prima di essere soccorsa e riparata. In questo lasso di tempo, i ratti neri che infestano la stiva della Makambo (cosa del tutto usuale fino a qualche decina di anni fa) guadano con comodo il breve braccio di mare e iniziano a colonizzare Lord Howe.

L'introduzione accidentale del prolifico e vorace roditore ha un effetto devastante sull'ecosistema dell'isola.
Nel giro di pochi anni, infatti, i ratti neri provocano l'estinzione di diverse specie dell'avifauna endemica dell'isola saccheggiandone i nidi, sterminano varie specie di lucertole, chiocciole e insetti autoctoni e danneggiano seriamente le piantagioni di Kenzia che rappresentano la principale fonte di reddito degli isolani.
A ciò si aggiunga che nel 1926 il governo australiano, nel tentativo di arginare l'escalation del roditore, introduce sull'isola un nuovo predatore - una civetta - che vince a mani basse la competizione con quanto restava delle specie di rapaci notturni specifiche di Lord Howe.

DryocoTra le vittime si conta anche un insetto particolare, il Dryococelus Australis, un inoffensivo insetto stecco gigante che gli abitanti di Lord Howe chiamavano tree lobster (aragosta degli alberi).
Fino al 1918, il Dryococelus è tanto comune nei boschi dell'isola da essere utilizzato dai pescatori locali come esca, ma già nel 1920 si inizia a darlo per estinto fino alla dichiarazione ufficiale, formalizzata nel 1930.

Settanta anni dopo, a sorpresa, si materializza il cosiddetto "Effetto Lazzaro".
Uno scalatore alle prese con le ripide pareti dell'imponente falesia di Piramyd's Ball, che si innalza dal mare pressoché in verticale a 20 km circa a sud di Lord Howe, trova dei resti rinsecchiti di Dryococelus abbarbicati su un cespuglio. Saranno necessari diversi e complicati appostamenti notturni per accertare la presenza su quello scosceso spuntone di roccia di una minuscola colonia di 24 esemplari.

Per l'insetto più raro al mondo inizia un lento cammino di recupero basato sull'allevamento in cattività di alcune coppie con l'obiettivo finale della reintroduzione della specie a Lord Howe.
Ad aprile 2012, lo zoo di Melbourne è arrivato a contare su una colonia di oltre 9.000 Dryococelus Australis pronti a essere immessi sull'isola.

Si dirà, ma i ratti?
Per fortuna, nel 2003 il ratto nero è stato dichiarato sradicato dalla piccola isola dell'Oceania.

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martedì, marzo 20, 2012

 

Archeologia: un altro "cugino" per l'uomo?



red river manDopo il piccolo Homo Floresiensis indonesiano e l'Homo Denisovensis della Siberia, un altro "cugino" dell'uomo moderno sembra prepararsi a uscire dal buio della preistoria in un angolo della Cina meridionale.

I resti di almeno 5 individui appartenenti a una specie di ominidi finora non catalogata, vissuti tra 11.500 e 14.500 anni fa, sono oggetto di studi da parte di paleoantropologi e scienziati.

Al momento di loro si parla informalmente come "la gente della caverna del cervo rosso", dal nome di uno dei siti dove sono state rinvenute le ossa, mentre è prematura qualsiasi loro collocazione nell'albero genealogico della specie umana.

Dagli esami finora effettuati appare evidente che il "nuovo arrivato" si distingue per una singolare commistione di caratteristiche moderne e tratti arcaici.
In generale, gli individui avevano crani di forma rotondeggiante e dalla struttura ossea spessa.
Come appare nell'illustrazione, i volti risultavano piuttosto corti e piatti, con arcate sopraccigliari sporgenti, nasi ampi e una mascella prominente, ma priva di un mento simile al nostro.
L'esame della dentatura, inoltre, ha rivelato la presenza di molari ampi e robusti.
La scansione della cavità celebrale effettuata a mezzo di Tomografia Computerizzata indica che questi ominidi avevano lobi frontali di aspetto moderno, ma anche lobi parietali di tipo alquanto arcaico.

In attesa che gli studi scientifici e l'esame del DNA definiscano meglio il quadro della situazione, sulla gente della caverna del cervo rosso si possono avanzare alcune congetture:
Vedremo, spero presto, quali sorprese ha in serbo per noi questo clandestino della paleoantropologia.

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sabato, gennaio 01, 2011

 

January 1st recap



2010: le novità dal passato

Non l’avrà dato a vedere, ma per l’archeologia e la paleoantropologia il 2010 è stato un anno di fuochi d’artificio, svolte inattese e - qua e là - qualche vistosa scivolata sul marketing del sensazionalismo.

Affari di famiglia

La decodifica del DNA nucleare estratto da resti fossili dell’Uomo di Neanderthal, ad esempio, impresa fino a ieri considerata fantascienza, ha permesso ai ricercatori dell’Istituto Max Planck di Lipsia di identificare un piccolo, ma significativo lascito dei neandertaliani nel codice genetico della popolazione mondiale di oggi, eccezion fatta per gli africani.

Questa prima crepa nella teoria che predicava l’impossibilità di un incrocio fertile tra rami diversi del genere Homo, tenacemente ribadita in tempi recenti anche dal fisico e divulgatore scientifico Antonino Zichichi, è stata allargata dalla sequenziazione del DNA nucleare estratto dalla falange fossile di una bambina di 5/7 anni vissuta circa 40.000 anni fa nei pressi di una grotta di Denisova, nella Siberia meridionale.
La comparazione tra DNA, infatti, ha messo in luce che la bimba di Denisova apparteneva a un terzo ramo evolutivo della nostra specie - affine ai Neanderthal, ma distinto da questi ultimi - sciamato dalla culla africana verso l’Asia in tempi diversi sia rispetto ai primi neandertaliani sia rispetto agli ultimi a essersi messi in cammino, ossia i nostri progenitori diretti.

Inoltre, l’Uomo di Denisova si sarebbe insediato in un’area dell’Asia abbastanza vasta da trovarsi a contatto non solo con i clan dei Neanderthal, ma anche con i nuclei di Sapiens Sapiens in migrazione verso il Pacifico del Sud e l’Oceania, da convivere per un certo tempo e da mescolarsi con essi, considerato che una porzione della sua impronta genetica si ritrova esclusivamente in alcune popolazioni melanesiane e della Guinea Nuova Papua.

Si può ipotizzare che i nostri antenati nomadi, alle prese con le difficoltà di sopravvivere di caccia e raccolta in territori sconosciuti, non abbiano pensato unicamente a sbarazzarsi dei potenziali concorrenti per il cibo, ma talvolta siano ricorsi a forme di scambio e ad alleanze temporanee con le popolazioni preesistenti, mettendo da parte l’inquietudine suscitata dal loro aspetto, così simile e così diverso.


Non si butta via niente

La cueva de el Sidrón, nelle Asturie (Spagna) è al centro di un piccolo giallo preistorico a tinte splatter.
In una sorta di sifone della grotta sono state trovate ammonticchiare numerose ossa umane in un primo momento scambiate per resti risalenti alla guerra civile spagnola, ma in seguito retrodatate a circa 43.000 anni fa.

Gli esami dei periti forensi hanno stabilito che si tratta di ossa appartenenti a una dozzina di individui: uomini, donne e bambini di Neanderthal. Le ossa spezzate, forse per estrarne il midollo, e i segni di incisione e intaccatura nei punti di intersezione dei muscoli lasciano intendere che il gruppo abbia incontrato una fine violenta e sia stato mangiato in un banchetto antropofago.

Secondo uno studioso spagnolo, l’esame del DNA mitocondriale avrebbe stabilito un legame di consanguineità tra alcuni membri del gruppo, probabilmente un clan familiare, ma tali conclusioni sono state giudicate affrettate.
Sulle ossa e sui denti erano sicuramente presenti segni di carenze alimentari e malnutrizione. I Neanderthal trovati a El Sidrón erano cacciatori che avevano patito ripetutamente la fame e che, forse per questo motivo, erano sconfinati nel territorio di caccia rivendicato da un altro clan. Sorpresi e trucidati dai rivali nei pressi della grotta, sarebbero stati divorati senza rimorsi in nome della dura legge della sopravvivenza.

Nell’immagine (© National Geographic), la ricostruzione del probabile aspetto di “Wilma”, ottenuta dai dati antropometrici di uno degli individui di sesso femminile trovati a El Sidrón.


L’esercito perduto nelle sabbie

Narra lo storico greco Erodoto (484-425 A.C) che nel 523 A.C. l’imperatore persiano Cambise II, impadronitosi dell’Egitto, inviò spedizioni militari nel deserto a ovest del Nilo per debellare gli ultimi focolai di resistenza degli egizi, concentrati intorno alle oasi, e creare una testa di ponte in vista della progettata campagna via terra contro Cartagine.

Una di queste armate, forte di circa 50.000 effettivi più servi e schiave, era partita da Tebe diretta alla grande oasi di Siwa con l’obiettivo di metterla a ferro e fuoco e radere al suolo il tempio del venerato oracolo del dio Amon (quello consultato anche da Alessandro Magno in cerca di conferme sulla sua origine semidivina).
Si trattava, quindi, di un gesto con valenze militari, strategiche e politiche.
Tuttavia, l’esercito del Re dei Re non arrivò mai a Siwa perché, in un luogo imprecisato lungo il percorso, venne investito da una gigantesca tempesta di sabbia che seppellì la maggioranza e disorientò i pochi superstiti, condannandoli a vagare nel deserto fino a morire di fame e sete.

Malgrado secoli di ricerche, i resti dell’armata perduta di Cambise non furono mai restituiti dalle sabbie, al punto che si consolidò l’opinione che Erodoto avesse riportato una leggenda priva di fondamento o una diceria diffusa per denigrare la potenza militare persiana, peraltro abbonata a disastrosi infortuni dovuti a disorganizzazione, incompetenza o eccesso di sicurezza.

Questo fino a quando una spedizione geologica e archeologica italo-egiziana guidata dai fratelli Alfredo e Angelo Castiglioni non si è imbattuta, a circa 150 km da Siwa, in una serie di manufatti di origine achemenide come punte di freccia, l’impugnatura di un pugnale, resti di monili e finimenti di cavalcature. Inoltre, intorno a una grande roccia isolata, la spedizione ha scovato un vero e proprio ossario, probabilmente una piccola parte degli scheletri sepolti sotto metri e metri di sabbia.

La notizia del ritrovamento, circolata a novembre scorso, ha sollevato pesanti critiche e scetticismi: gli stessi Castiglioni sono stati cauti nell’attribuire quanto hanno scoperto all’armata persiana svanita nel deserto.
Tuttavia molte cose collimano: la scelta di una pista alternativa alle carovaniere in vista di sferrare un attacco di sorpresa, l’errore di percorso dovuto all’imprecisione delle mappe in possesso dei persiani, il ritrovamento di resti di pozzi artificiali con cocci di anfore per l’acqua che rispondono alla tattica persiana di disseminare in anticipo l’itinerario di “punti di sosta” dove l’esercito avrebbe trovato di che dissetarsi, la datazione e la fattura dei manufatti, la presenza di molte ossa sotto il costone roccioso che poteva offrire un minimo di riparo nell’imperversare del khamsin.

Mancano all’appello gli equipaggiamenti delle truppe (elmi, scudi, armature), ma ciò è comprensibile se si pensa che nel deserto qualsiasi cosa riutilizzabile è preziosa e che il punto del ritrovamento è stato battuto per secoli dai beduini.


Il gladiatore ritrovato (?)

York, nell’Inghilterra settentrionale, in epoca romana si chiamava Eboracum ed era la città più a nord di tutto l’impero, sede di prefettura, di una legione acquartierata nella vicina fortezza, nonché vivace centro commerciale dove si sperimentava un melting pot ante litteram, confermato dal ritrovamento di sepolture di residenti di origine nubiana, danubiana e dell’Asia Minore, di cui alcuni privi del cranio.

A metà dicembre scorso è circolata la notizia del ritrovamento di un ulteriore scheletro in una sorta di discarica di epoca imperiale.
Dall’analisi delle caratteristiche dell’ossatura si è potuto stabilire che l’uomo doveva essere stato uno spadaccino - o comunque una persona che in vita aveva seguito un lungo addestramento all’uso della spada - e che la sua morte era diretta conseguenza di un duello in cui era rimasto più volte ferito prima di ricevere il fendente definivo al capo.

Il fatto che lo scheletro si trovasse in un’area di pertinenza dell’anfiteatro un tempo esistente a Eboracum ha stuzzicato l’interesse e la fantasia dei media, che hanno subito parlato di “gladiatore ritrovato”, inserendolo così nella scia del celebre film di Ridley Scott.
Forse sarebbe stato il caso di non essere tanto frettolosi nel cercare titoli sensazionalistici, visto e considerato che Eboracum era una città vicina a un confine piuttosto turbolento (quello con i Pitti scozzesi) ed era abitata da un gran numero di persone che per vivere praticavano mestieri pericolosi, anche senza scomodare i ludi gladiatori.
Inoltre, a differenza di quanto capitato allo sfortunato spadaccino, non era usuale che i corpi dei gladiatori morti combattendo nell'arena venissero scaricati come immondizia. Resta aperto, perciò, lo scenario di un agguato o di un regolamento di conti, che renderebbe plausibile la volontà di occultare lo scomodo cadavere.


Anno nuovo, solita brutta aria per la libertà di espressione

La nuova Legge sui Media entrata in vigore in Ungheria il 1 gennaio è un pessimo biglietto da visita per il 2011 sul fronte della libertà di opinione e di stampa.

Fresca d’insediamento alla presidenza di turno dell’Unione Europea, l’Ungheria governata dalla coalizione di centrodestra guidata da Viktor Orban ha approvato un provvedimento che mette sotto tutela tutti i media nazionali, ponendoli di fronte alla minaccia di multe salate qualora i cinque componenti di un’Autorità ad hoc, nominati tra i membri del partito Fidesz al potere, ravvisino “posizioni politicamente non equilibrate” o il “danneggiamento della dignità umana”.

La nuova Autorità potrà visionare i contenuti e i materiali media di radio, televisione, giornali e siti web, imporre restrizioni e costringere i giornalisti a rivelare l’identità delle loro fonti quando le notizie tocchino argomenti rilevanti per la sicurezza nazionale.

È lampante che una legge che concede poteri di controllo e d’interdizione sui media così penetranti a un'authority che non è super partes, bensì diretta espressione della maggioranza al potere, a fronte di deleghe tanto nebulose da poter essere interpretate in modo assolutamente arbitrario, è una clava pronta ad abbattersi su qualsiasi voce critica e sul dibattito politico.

Governo e parlamento magiari se ne sono infischiati dei moniti dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), delle proteste della federazione europea delle agenzie di stampa e dei blandi mugugni del Parlamento Europeo, confermando la gravità della deriva autoritaria e sciovinista che sta alterando i connotati di una nazione fino a ieri considerata paciosa e tollerante.

C’è solo da augurarsi che il pericoloso esempio ungherese non solletichi da noi il desiderio di rimettere in pista le varie e scellerate proposte di legge-bavaglio sulla stampa e su internet.


Ricordi di viaggio


La Posadina B&B - CagliariSono tornato dalla Sardegna in tempo per trascorrere il passaggio dal 2010 al 2011 nel silenzio (relativo) di casa.

Dalla trasferta in terra sarda ho portato con me nuovi ricordi - alcuni felici e gioiosi, altri decisamente non estusiasmanti - e la convinzione che Cagliari sia il posto dove mi sento davvero a casa, sebbene siano passati poco meno di 20 anni da quando mi sono trasferito a Milano.

Nella foto scattata con il cellulare, un dettaglio di La Posadina, il Bed & Breakfast che ho scelto quasi per caso sul web e che si è rivelato una piacevole bomboniera in una zona centrale, ma estremamente tranquilla della città.

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lunedì, giugno 07, 2010

 

Archeoleggende


Lo confesso: ho pochissima stima per i programmi di Roberto Giacobbo, Vicedirettore del TG2, giornalista e autore di fortunate serie televisive come Mistero (Rai3), Stargate - Linea di Confine (TMC), La macchina del tempo (Rete 4) e Voyager - Ai confini della conoscenza (Rai2).

Bisogna riconoscere al sor Giacobbo un gran fiuto nell’aver scovato il suo filone d'oro in quella nicchia ai margini estremi della storia e dell’archeologia dove qualsiasi teoria “alternativa” tinta di mistero e di paranormale è benvenuta, nonché smaglianti doti di intrattenitore nel proporre le sue minestrine scandendo magistralmente i tempi televisivi e il lancio delle “esche” per ingolosire e tenere alta la suspance nel pubblico a casa.

Quando passano i titoli di coda, il telespettatore medio si sente soddisfatto per aver preso parte all’illusoria caccia al tesoro, ma mai completamente appagato perché, nella migliore delle ipotesi, avrà sbirciato solo il fumo dell’arrosto più volte promesso in trasmissione.

Ma che fine fanno i tanti sedicenti misteri rimasti irrisolti?
Tornano a circolare dove la redazione di Giacobbo li ha scovati: nei circuiti di infotainment delle TV americane e britanniche, nella pubblicistica pseudo-storica e e sul web, in attesa che qualcuno li impacchetti nuovamente, riproponendoli con l’aggiunta della solita “sensazionale scoperta”.

Due esempi tra i tanti: i teschi di luce Maya e l’Arca di Noè sull’Ararat.

teschio di cristalloNell’enigma dei teschi di cristallo di quarzo di provenienza messicana ci hanno inzuppato il biscotto in tanti, buon ultimo Steven Spielberg per la saga di Indiana Jones.

Il più famoso tra questi strani manufatti è quello detto di Mitchell-Hedges.
La storia propagandata a più riprese da Anne Mitchell-Hedges è che il teschio sia stato da lei ritrovato nel 1924 in un ripostiglio nascosto in una piramide nel sito Maya di Labaantùn (Belize). Il ritrovamento fortuito avrebbe suscitato gioia incontenibile negli indios presenti, che avrebbero riconosciuto nel teschio un importante strumento sacro dei tempi antichi.

Sempre secondo la fonte succitata, il teschio fu esaminato nei laboratori Hewlett Packard a Santa Clara (California), che avrebbero confermato che il cranio era stato ricavato da un unico blocco di quarzo ialino grande tre volte l’oggetto finale e lavorato senza l’ausilio di strumenti moderni.
I tecnici sarebbero rimasti impressionati dal fatto che il manufatto era stato scolpito con estrema precisione in senso contrario all’asse naturale del quarzo, senza segni di sfaldatura.
Giusto per aggiungere una coloritura “gotica” al mito nascente, Mitchell-Hedges scrisse che il teschio porta sfortuna e morte certa a chi lo irride, mentre protegge le persone che, più saggiamente, lo rispettano.

Le proprietà benefiche e spirituali dei teschi in questione vengono così spiegate in un'intervista da Joshua Shapiro, "custode" di alcuni teschi di cristallo: "Possiamo dire che i maya li considerano come oggetti sacri che vanno custoditi e tenuti segreti perché credono che siano vitali per l’umanità e che possano contribuire a creare un mondo più pacifico per il futuro. Il teschio di cristallo contiene grandi energie e saggezza per le genti maya, che devono essere preservate a ogni costo".

Dagli anni ’30 a oggi, però, i mezzi d’indagine sui manufatti hanno fatto parecchi passi in avanti.
Lo Smithsonian Institute ha potuto esaminare la mandibola del teschio di Mitchell-Hedges al microscopio elettronico, sotto luce ultravioletta e con la tomografia computerizzata, scoprendo così tracce inconfondibili dell’uso di moderni strumenti di taglio ad alta rotazione dotati di lama circolare in acciaio diamantato, ovviamente incompatibili con la tecnologia disponibile intorno all’ottavo secolo D.C, ossia ai tempi dei Maya.
Altrettanto ovvio che i cultori del mistero e dei rituali sciamanici new-age tacciano su questa scoperta sin troppo... ovvia.

Quanto ai resti della biblica Arca di Noè, ciclicamente tornano alla ribalta persone che sostengono di aver trovato o avvistato i resti dell’imbarcazione sui ghiacciai dell’Ararat, al confine tra Turchia e Armenia.
Tra questi ricercatori dell’Arca perduta si contano anche due italiani: Angelo Palego e Claudio Schranz (maggiori informazioni qui e qui).

arca di noè?È vero che se Schliemann non avesse avuto cieca fiducia nell’Iliade e nell’Odissea non sapremmo tutto ciò che oggi sappiamo sulla storia di Troia, ma nel caso dell’Arca biblica nulla di più concreto di un breve video girato da Schranz nel 2002, che mostra un presunto spuntone di legno che sporge dalle nevi, è stato portato per suffragare l’esistenza dei resti del natante in cima all'imponente vulcano che domina il Caucaso.

L’ultimo team di esploratori che sostiene di aver trovato l’Arca di Noè ha dichiaro in conferenza stampa di essersi imbattuto a quota 4000 in un incavo dove, intrappolata tra ghiacci e roccia vulcanica, stava una “parete di legno”.
Sul pavimento di questa cavità sarebbero state visibili tracce di paglia e di cordame. Niente di nuovo rispetto a quanto riportato da decenni, nessuna prova tangibile riportata dall’Ararat: tuttavia la notizia è finita sulle pagine dell’autorevole magazine Time.

Non c’è dubbio:abbiamo bisogno del mistero, di un santo graal da cercare per continuare a sognare.

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sabato, febbraio 13, 2010

 

Clonazione e dintorni



Alla fine degli anni ’70 ho letto “I ragazzi venuti dal Brasile”, thriller scritto dall’americano Ira Levin, da cui è stato tratto l'omonimo - e a mio parere non eccelso - film.

In sintesi, la trama prendeva spunto dalle deliranti e spietate sperimentazioni compiute dal dottor Joseph Mengele su donne e bambini (specie se gemelli) reclusi nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau e dalla sua dorata latitanza in Brasile - dove Mengele effettivamente è morto nel 1979 - per montare un fantasioso intrigo internazionale.

Nel romanzo, infatti, il famigerato Angelo della Morte di Auschwitz era a capo di una cospirazione neonazista che puntava a far risorgere il Terzo Reich grazie a perfetti cloni di Adolf Hitler ottenuti in Brasile da alcune cellule donate in segreto dal dittatore tedesco.

Ho riesumato questa lettura non per consigliarvela, benché si tratti di un discreto thriller, ma perché a trent’anni di distanza la ricerca genetica ha quasi colmato il gap tra le fantasie di Levin e la realtà.
Infatti, a Bradford, nel Connecticut, sono in corso studi avanzati per completare la ricostruzione della sequenza del DNA dell’Homo Neanderthalensis, meglio noto come Uomo di Neanderthal.

L’operazione è estremamente complessa, dato che si tratta di assemblare correttamente un puzzle di milioni di basi chimiche a partire da pochi frammenti alla rinfusa estratti da ossa che risalgono a un periodo incluso tra 200.000 e 40.000 anni fa, usando come riferimenti la mappatura del genoma umano e quella dello scimpanzé.
Inoltre, le sequenze ottenute devono essere verificate migliaia di volte per “ripulirle” dalle variabili introdotte dalla degenerazione molecolare post-mortem, dalle tracce di DNA batterico e da quelle lasciate da quanti hanno manipolato i resti ossei al momento del ritrovamento.

Una volta completato questo step con un margine di errore minimo - e sulle possibilità di riuscita sussistono pochi dubbi - scienziati e ricercatori dovranno ancora risolvere alcuni grossi problemi tecnico/pratici (es: ottenere cellule staminali), ma si troveranno comunque a un passo dalla possibilità di clonare un Neanderthal.

homo neanderthalensisDa un punto di vista scientifico, l’ipotesi di riportare in vita una specie estinta strettamente imparentata con l’uomo moderno è dannatamente affascinante per le possibilità di ricerca che dischiude alle biotecnologie e alla medicina.
Per una parte della scienza, il ragionamento è: “se siamo in grado di farlo, perché non farlo?

Se però si guarda all’aspetto etico, la faccenda appare assai più spinosa. Più che questione di scienza, è questione di RESPONSABILITÀ.

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sabato, ottobre 03, 2009

 

Sunday Mixture 10.04.2009



Lo Scudo e la Mazza Ferrata

mazza ferrata"Pecunia non olet" sentenziava l'imperatore romano Vespasiano dopo avere istituito la lucrosa tassa sui servizi igienici pubblici.
I suoi epigoni contemporanei al governo della Repubblica dichiarano alla Camera dei Deputati che il denaro che l'erario conta di incassare attraverso lo Scudo Fiscale sono "soldi necessari, buoni, benedetti" in quanto serviranno a finanziare opere e servizi pubblici in tempi di crisi e di casse pubbliche esauste.

Lo Scudo Fiscale non è altro che un spregiudicato colpo di spugna sull'illegalità, una stuoia rossa srotolata per quanti in questi anni hanno esportato capitali, frodato ed eluso il fisco, truccato bilanci societari e fornito false comunicazioni ad azionisti e risparmiatori, en passant un favore alle banche e agli intermediari finanziari.

La spuria ragion di Stato a cui il governo e la maggioranza si appellano è una foglia di fico. Se Lor Signori l'hanno dimenticato, uno Stato di diritto si regge su un patto sociale con i cittadini; un patto che ha tra le sue regole fondanti il perseguimento dell'equità negli oneri e nei benefici.
Dov'è l'equità quando si fanno sconti d'oro a chi ha evaso il fisco e portato all'estero milioni di Euro e, nel contempo, si vessano i comuni cittadini con l'emissione di cartelle pazze o con sanzioni da decine di migliaia di Euro per mere irregolarità formali, il tutto con il meccanismo del solve et repete (intanto paga, poi in sede di ricorso si vedrà chi ha ragione)?

Lo Scudo Fiscale, come gli altri condoni più o meno tombali, perpetua la cultura della furbata, del disprezzo delle regole, dell'abuso.
Tanto per cambiare, a difesa degli interessi di una minoranza influente c'è sempre qualche scudo compiacente, per tutti gli altri solo colpi di mazza ferrata.


Come ti reinvento l'aria pulita

Roberto FormigoniLa barzelletta del secolo: la Lombardia è campione dell'aria pulita.

Dopo aver incassato di malagrazia il NO dell'Unione Europea alla richiesta di alzare i livelli di polveri sottili (PM10) al cui raggiungimento scatta l'obbligo di provvedimenti d'emergenza, il governatore Roberto Formigoni e i suoi consulenti si sono inventati un geniale metodo alternativo che utilizza come parametro di riferimento l'inquinamento medio prodotto da ogni residente in Lombardia.
Magia!! di colpo l'aria a Milano e in Brianza non è più la consueta miscela avvelenata, anzi fa quasi invidia alla Val d'Aosta.


Meet your ancestors

Non c'è da stracciarsi le vesti se la scienza ha imparato i meccanismi della comunicazione di massa e della promozione pubblicitaria per attirare il pubblico nei musei e far girare soldi, purché i benefici siano reinvestiti bene e non si creino distorsioni per cui le patacche di sicuro effetto mediatico sottraggono risorse alle cose serie.

L'ultima notizia riportata sui giornali riguarda Ardi, i resti fossili di un esemplare femmina di Ardipithecus Karabba vissuto circa 4,5 milioni di anni fa nell'attuale Etiopia.
Secondo alcuni paleontropologhi, Ardi rappresenterebbe quanto di più vicino alla fisionomia dell'antenato comune di uomini, scimpanzè e bonobo, scimmie con cui condividiamo circa il 95% della sequenza del DNA, vissuto in Africa tra i 7 e i 6 milioni di anni fa.

Ardi sapeva camminare in stazione eretta senza poggiarsi sulle nocche delle mani, anche se aveva mantenuto i pollici (o alluci) opponibili ai piedi che le consentivano di arrampicarsi agilmente sugli alberi. Questo basta per scalzare la famosa Lucy (australopiteco afarensis, 3,2 milioni di anni) dal trono di "madre dell'umanità", come hanno strillato i titoli di diversi giornali?
Quattro milioni di anni prima di Ardi, nell'isola che inglobava Sardegna e Toscana, anche l'Oreopiteco stava dritto sulle gambe per cogliere bacche e frutta pur senza essere progenitore diretto né degli uomini né delle attuali scimmie antropomorfe. Si è detto che l'Oreopiteco rientra tra quei tentativi che madre natura compie e poi abbandona, apparentemente senza una ragione, e che la sua capacità di assumere una postura eretta sia stato un classico caso di "convergenza evolutiva".

Per curiosità, ho messo insieme una galleria di ricostruzioni del possibile aspetto dei nostri remoti antenati, a cominciare da uno scimmione vissuto 13 milioni di anni fa in Spagna, il pierolapithecus cantabricus, che secondo alcuni studiosi potrebbe essere l'antenato in comune tra noi e altri primati del vecchio mondo come i gorilla.

antenati
Nell'immagine, in senso orario: Pierolapiteco (13 milioni di anni), Oreopiteco (8 milioni), Ardipiteco Karabba (4,5 milioni), Australopiteco Afarensis (3,2 milioni)

antenati 2
Nell'immagine, in senso orario: Homo Georgicus (1,5 milioni di anni), Homo Ergaster (2-1 milioni), Homo Neanderthalensis (0,1-25.000 anni ), Homo Heidelbergensis (0,5 milioni)

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sabato, maggio 23, 2009

 

Weekend Resume 05.23.09



La sacralità dell'amore

El cantar de los cantares
Cuando te diste vuelta
tañí tu espalda
cuando estabas encima

fuiste música.

Ruth
Il cantico dei cantici
Quando ti sei girata
ho suonato la tua schiena
Quando mi stavi sopra
eri musica


El espiritu santo
No puedo dejar de recordar tus montes
no puedo dejar de tocar
en el recuerdo que dura sólo
un segundo en el recuerdo
que se queda en la memoria de mí
cuando duermo
desaparece la voluntad de saber
tus vivos rojos los ojos
de tu pecho el silencio curvo
la forma del sabor
de tu sonido:
pezones tímpanos pezones.
No puedo dejar de tocar la ausencia
de lamer el Espíritu
que dejaste.
La voz de tu jugo
moja.


Lo spirito santo
Non posso smettere di ricordare i tuoi monti
non posso smettere di toccare
nel ricordo che dura soltanto
un secondo nel ricordo
che si ferma nella memoria di me stesso
quando dormo
scompare la volontà di sapere
dei tuoi occhi incandescenti
del silenzio arcuato del tuo seno
della forma del sapore
del tuo suono:
capezzoli timpani capezzoli.
Non posso smettere di toccare l'assenza
di leccare lo Spirito
che hai lasciato.
La voce del tuo succo
bagna.

Rafael Courtoisie - La Biblia Humeda
(La Bibbia Umida - edizione italiana a cura di Alessio Brandolini
2009 - LietoColle )

Caccia grossa

Tempi duri per i grandi dell'informatica. A metà maggio, la Commissione Antitrust dell'Unione Europea ha comminato una sanzione monstre da 1,06 miliardi di Euro alla Intel, contestando al numero 1 mondiale nei microprocessori il ricorso a pratiche commerciali scorrette volte a danneggiare la concorrenza (abuso di posizione dominante).
Dall'altra parte dell'oceano, il tribunale texano che fa da foro competente per le cause sulla violazione di brevetti ha emesso nel giro di 2 mesi una serie di sentenze che hanno condannato Apple e Microsoft al pagamento di risarcimenti multimilionari.
Il verdetto contro Apple ha quantificato il risarcimento per violazione intenzionale di brevetto in circa 18 milioni di dollari. Molto peggio è andata a Microsoft, uscita sconfitta in due cause separate e condannata a pagare complessivamente 588 milioni di dollari ai detentori dei brevetti violati.

Due considerazioni:
- se l'Italia fosse un paese normale e l'Autorità garante per la concorrenza fosse messa in condizioni di svolgere sul serio il suo compito vedremmo volare gli stracci in molti settori, visto che i cartelli tra aziende e le manovre sottobanco sono la norma. Non parliamo poi della mancanza di una normativa decente sul conflitto di interessi.

- In secondo luogo, non è tutto oro quel che luccica. Negli ultimi anni, le cause per violazione di brevetto nel settore informatico sono aumentate in modo esponenziale. Spesso chi avanza rivendicazioni è un'azienda piccola e semi-sconosciuta ed è arduo stabilire se il brevetto vantato sia effettivamente valido o meramente strumentale.
Più che una lotta tra Davide e Golia, si ha l'impressione che negli USA si sia aperta una stagione di caccia grossa, con firme legali specializzate nel passare al setaccio i registri dei brevetti depositati, trovare connessioni con tecnologie simili in uso e farsi dare mandato per intentare cause milionarie.

Un altro anello mancante?

ida protoapeDopo il presunto antenato della foca, un altro ritrovamento ha messo a rumore la paleontologia. Al termine di studi portati avanti in segreto, è stata svelata al mondo Ida, fossile di una proscimmia vissuta 47 milioni di anni fa che - a parere di alcuni studiosi - rappresenterebbe l'anello mancante nella separazione tra gli antenati dei lemuri e quelli degli ominidi cui la nostra specie appartiene insieme a gorilla, orango e scimpanzé.

Le particolarità di Ida, scoperta a Messel ( Germania), non sono poche, a cominciare dal suo stato di conservazione.
Nella quasi totalità dei casi, i paleontologi si trovano a ricostruire le caratteristiche di un animale o di un ominide partendo da pochissimi reperti. In questo caso, invece, c'è un fossile completo per oltre il 90%, che ha conservato sia l'impronta della pelliccia sia i resti del suo ultimo pasto: uno "snack" a base di vegetali.

A quanto pare, Ida era un esemplare giovanissimo, dato che stava cambiando la dentizione. Dai segni di una frattura guarita si pensa che fosse caduta da un albero quando era ancora cucciolo.
Sulle cause del decesso, l'ipotesi più accreditata è che Ida sia morta mentre si abbeverava sulla riva di un lago vulcanico, uccisa all'istante dalle esalazioni di una grande bolla di gas risalita in superficie. Il cadavere, precipitato sul fondale, sarebbe stato conservato quasi integralmente dagli strati di limo.

Pur avendo un aspetto simile agli attuali lemuri del Madacascar, Ida presenta alcune caratteristiche morfologiche distintive degli ominidi. Con tutta probabilità, però, Ida non è una nostra antichissima nonna, bensì qualcosa di simile a una venerabile prozia.

Oi dialogoi

Ah, l'inimitabile cantilena dei casteddai (cagliaritani)! ;-)

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domenica, aprile 26, 2009

 

Sunday Resume 04.26.2009



La nazione che non conosce il sorriso

Noth Korea lightsLa Corea del Nord non è certo il primo posto che mi viene in mente per trascorrere una vacanza, non solo per il suo clima pungente.
Mi viene difficile immaginare un luogo del pianeta più triste e alieno di una nazione-caserma che rivaleggia con la Birmania nella repressione delle libertà individuali, dove il "Caro Leader" è un ometto riverito come un monarca assoluto dalle qualità sovraumane, dove si possono condannare milioni di persone a condizioni di vita ai limiti della sussistenza pur di sviluppare nuove armi di distruzione di massa.

Nell'immagine, scattata dal satellite, si vede la Corea del Nord immersa quasi totalmente nel buio rispetto alla Corea del Sud. Si tratta di un indice dello sviluppo e della disponibilità di energia per uso civile in una nazione che non difetta affatto di carbone e di risorse idroelettriche e che si vanta del possesso di armi atomiche...

Mi ha molto colpito "The land with no smile": una serie di foto scattate a Pyongyang, capitale della misteriosa e infelice Corea del Nord, da un businessman occidentale scortato dalle immancabili "guide" (agenti dell'intelligence nordcoreana). Andatele a vedere qui .

Il G8 e il valzer del grottesco

half flagParadossalmente, è doveroso dire grazie a Silvio Berlusconi per aver trasferito il G8 dall'isola di La Maddalena all'Abruzzo a pochi mesi dalla data d'inizio del maxi meeting internazionale.

La solenne figuraccia che il Premier ha fatto fare all'ancora fresco di nomina Ugo Cappellacci, avvertito a cose fatte come il classico marito becco, ultimo a sapere delle tresche della coniuge, e i danni procurati dalla mancata realizzazione delle opere previste per il G8 sono la migliore dimostrazione di quanto valgano le promesse di un leader tanto affabile a parole quanto assolutamente privo di scrupoli.

Si sapeva da tempo che l'idea di ospitare i grandi della terra a La Maddalena era sgradita all'Unto perché voluta da Renato Soru e Romano Prodi. L'idea di spostare la sede del G8 in Abruzzo pare sia stata partorita da Guido Bertolaso, e al Silvione non è parso vero di poter cogliere l'opportunità di un colpo mediatico da maestro, rifacendosi con gli interessi dei tentativi andati a vuoto di traslocare il summit a Napoli.
Mi dispiace, sinceramente, per la sorte dei lavoratori delle imprese in subappalto che stavano lavorando a La Maddalena, e ancor più per il fatto che le imprese nazionali che si erano spartite i lucrosi appalti con procedure che, eufemisticamente, potremmo definire "poco trasparenti" verranno in qualche modo risarcite delle perdite con altri favori ministeriali.
Mi chiedo solo dove siano finiti i fieri e sdegnati sardi che fecero gazzarra e guerriglia a Cagliari quando la regione aveva dato l'OK per smaltire un po' del pattume napoletano...

Tornando alla politica regionale, c'è poco da gioire di questi tempi. Chi, mesi or sono, levava il calice alla "Sardegna che torna a sorridere" ora tace imbarazzato davanti al fatto che non una delle mirabolanti promesse elettorali è stata mantenuta.
L'Euroallumina di Portovesme, alla faccia della nota telefonata all'amico Putin, oggi è un sarcofago colmo di veleni che non si sa come e dove smaltire, la chimica a Porto Torres, Ottana e Macchiareddu è in agonia, la Sassari-Olbia, se tutto va bene, vedrà la luce tra venti anni e il promesso collegio elettorale per le europee si è perso nelle nebbie, tanto per non fare uno sgarbo alla Sicilia che ha 3 volte gli abitanti della Sardegna.
In definitiva, oggi l'isola e chi la governa hanno il peso e lo spessore politico del pane carasau, ed è già tanto se quel bel tipo di Renato Brunetta non si pulisce le scarpine di vitello sulle poche prerogative residue dell'autonomia regionale.

Una firmetta, please

ScajolibusSi rincorrono in rete voci incontrollate in merito all'esistenza di un "geniale" progetto governativo per la realizzazione di almeno una delle nuove centrali termonucleari italiane in Sardegna, contando anche sull'altissimo senso di responsabilità e di condivisione (...) dell'attuale giunta regionale.
Addirittura si ventila che tra i siti prescelti ci sia Arborea, già Mussolinia di Sardegna, centro agricolo a sud di Oristano sorto durante il ventennio fascista dopo la bonifica di una zona paludosa e abitato, alle origini, da coloni provenienti da Friuli e Veneto.
Sembra una barzelletta, perché dal territorio di Arborea arriva la quasi totalità del latte vaccino e dei suoi derivati nonché buona parte della verdura e degli ortaggi freschi venduti sul mercato isolano. D'accordo che l'attuale sindaco di Arborea è un personaggio particolare, che recentemente ha fatto ripristinare la dicitura "Mussolinia di Sardegna" sui documenti dei residenti nati durante il periodo fascista, ma nell'Italia di oggi solo ciò che è folle diventa prima attuabile e poi irreparabile.

Non sarebbe male, pertanto, sommergere la scrivania dell'ineffabile ministro Claudio Scajola e del Silvio nazionale con una petizione popolare che dichiari in modo civile, ma fermo, la contrarietà all'avventura termonucleare e il sì allo sviluppo delle energie da fonti rinnovabili come quella solare, qui.


Anello mancante?

puijina darwiniSull'isola artica di Devon, Canada, un gruppo di ricercatori si è imbattuto nei resti fossili di un mammifero carnivoro sconosciuto dalle attitudini anfibie vissuto nel Miocene, circa 23 milioni di anni fa.
L'animale, che in vita era lungo più o meno un metro, è stato catalogato con il nome di Puijina Darwini.
Basandosi su alcune particolarità dei resti (cranio, muscolatura, estremità degli arti palmate) è stato definito come "l'anello mancante" nella transizione di un gruppo di mammiferi terrestri verso la vita marina approdata negli attuali pinnipedi (foche, otarie, leoni marini, trichechi).
Qualcuno è arrivato a definire il Puijina Darwini "una foca preistorica capace di camminare", ma è più probabile che si tratti di uno dei tanti esperimenti che madre natura compie e che non ci sia un collegamento diretto tra questa sorta di grossa lontra e i pinnipedi odierni, un po' come l'Oreopiteco trovato in Toscana, l'Australopiteco Robusto o l'Uomo di Neanderthal rispetto alla nostra specie.
Ciò non toglie nulla al fascino arcano del grande libro dell'evoluzione, in cui il Puijina Darwini ha ritrovato finalmente il posto che gli spetta.

Una donna ci aspetta alle colline

Tu non sai le colline
dove si è sparso il sangue.
Tutti quanti fuggimmo
tutti quanti gettammo
l'arma e il nome.
bismantovaUna donna
ci guardava fuggire.
Uno solo di noi
si fermò a pugno chiuso,
vide il cielo vuoto,
chinò il capo e morì
sotto il muro, tacendo.
Ora è un cencio di sangue
e il suo nome.
Una donna
ci aspetta alle colline.
Cesare Pavese - La terra e la morte

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