domenica, aprile 22, 2018
Missing a bro'
È difficile scrivere di persone che conosci, ancora di più se si tratta di persone cui hai voluto un gran bene e non sono più di questo mondo. Eppure ho bisogno di scriverne per far scivolare la pena, l’oscuro senso di rimorso e per elaborare il senso di perdita.
Ho perso il migliore amico di una vita.
Potrei dire che l’ho perso diversi anni fa perdendolo di vista, come succede non solo per via della lontananza ma anche per quella sorta di pudore che porta a rispettare gli spazi e la riservatezza altrui. Non lo si sarebbe detto, con quella corporatura massiccia, l’espressione severa e la battuta arguta sempre in canna, ma Pierluigi era una persona sensibile, orgogliosa e riservata.
Ricordo ancora la prima volta che lo incrociai per strada. Era una calda mattinata d’inizio settembre, il giorno seguente sarebbe iniziata ufficialmente l’avventura del Ginnasio ed ero di ritorno in paese da una passeggiata verso il Bivio Carmine.
In direzione opposta vidi salire due coetanei mai visti prima che parlottavano tra loro: uno mingherlino con la faccia scaltra e l’altro che sembrava un assiduo frequentatore di palestre.
La prima impressione non fu molto positiva. Quei due potevano essere degli attaccabrighe - pensai - con il piccolo nei panni della mente e quello grosso in quelli del forzuto dall'intelligenza limitata. Finì che ci ritrovammo nella stessa classe e che Pierluigi si dimostrò un ragazzo calmo, educato, con un gran senso dell'ironia e dell'autoironia e con interessi non proprio comuni per i quattordicenni dell'epoca come il body building, i rapaci e le specie in via di estinzione.
Il passaggio da meri compagni di classe, superficialmente in buoni rapporti, ad amici avvenne al liceo e nell’anno della maturità.
All’interno della classe, un gruppetto aveva iniziato a passare insieme il tempo anche fuori dell’orario scolastico per studiare, ma non solo. Ci univa la sensazione di essere alle porte della nostra vita di adulti; ci spalleggiavamo, ci scambiavamo sogni, speranze e timori un po’ come nella canzone di Venditti “Notte prima degli esami”.
Pierluigi si mise con Annamaria, una compagna di classe che viveva in un appartamentino in affitto in paese e che sarebbe stata la sua compagna di vita da allora in poi.
All’università, Pierluigi e Annamaria si iscrissero alla facoltà di medicina e chirurgia e io a quella di giurisprudenza. Sembravamo destinati a perderci di vista: giri diversi, impegni diversi, la loro intimità di coppia che imponeva rispetto e discrezione.
Invece fu proprio allora che la generosità e la disponibilità di Pierluigi vennero fuori e l’amicizia tra noi divenne un punto fermo.
Specialmente dopo che mi staccai da Comunione e Liberazione e intorno a me crollò la rete sociale su cui avevo fatto affidamento, andare a trovare di tanto in tanto Pierluigi e Annamaria nel dopocena divenne un rito estremamente piacevole e rasserenante. Poteva capitare che mi trattenessi a parlare con Pierluigi sino a notte fonda perché lui sapeva come prendermi, o forse sarebbe più corretto dire sopportarmi. Tra noi c’era estrema facilità di discorso, complicità, scambio arricchente di esperienze, interessi, curiosità e cortesie.
C’era un unico argomento implicitamente tabù: gli esami universitari. Sapevo che sia Pierluigi sia Annamaria si erano impantanati ai primi esami e che questo pesava loro molto anche per le scontate ripercussioni nei rapporti con le rispettive famiglie.
Con il senno di poi, posso solo immaginare che quell’esperienza fallimentare sia stata un tarlo che ha scavato in profondità nell’autostima di Pierluigi. Aver “sprecato” quell’opportunità di studio non solo l’aveva costretto a rivedere al ribasso le sue ambizioni, ma era anche il peso umiliante di dover ancora dipendere economicamente dai suoi e di essersi dimostrato non all’altezza della fiducia riposta in lui.
Si dava da fare in ogni modo; era sempre disponibile a dare una mano nei lavori in campagna dai suoi e dai genitori di Annamaria, ma tutto questo, evidentemente, era solo un ripiego temporaneo e insoddisfacente.
Continuammo a frequentarci anche dopo la mia laurea. Quando poi, trasferitomi a Milano, decisi di sposarmi fu per me del tutto naturale scegliere Pierluigi come “best man”.
Gradualmente, però, i nostri rapporti divennero sempre più rarefatti e saltuari, le reticenze sul suo presente più ampie. Di internet e dei social neanche a parlarne. Tuttavia quando ci si trovava, in Sardegna, era come se non ci fossimo mai persi di vista e, dentro di me, lui continuava a essere una presenza certa.
E si arriva al presente, inaspettato e doloroso.
Un messaggio da parte di mio fratello m’informa di aver avuto la conferma di una voce giunta casualmente da una fonte poco attendibile: Pierluigi era morto a metà marzo.
Incredulità, sconcerto, dolore lancinante. Com’era stato possibile che una cosa così enorme fosse passata sotto silenzio? Perché? Cos'era successo?
La ragione è venuta a galla con pudore: Pierluigi si è suicidato, a quanto pare al culmine di un periodo depressivo, e ora riposa nel cimitero del suo paese. La famiglia ha gestito il lutto nel massimo riserbo.
Avrei potuto fare qualcosa per evitare questo epilogo? Avrei potuto essergli vicino invece di limitarmi a pensare come sarebbe stato bello incontrarlo nuovamente e parlare come ai vecchi tempi?
E Annamaria? Prima o poi riuscirò a parlare con lei, anche se onestamente non so cosa mai potrò dirle che non sia dannatamente inutile.
Pierluigi era una bella persona, quasi un fratello per me, e il mondo mi sembra più vuoto e solitario senza la nostra amicizia.
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mercoledì, gennaio 31, 2018
Il fiume Lete
Tra le amicizie solo virtuali e quelle reali c’è un abisso. Le prime pagano in mancanza di profondità il loro essere parziali, poco ingombranti e facili da recidere, prive di fatica e di autentica dedizione reciproca.
Però anche nel virtuale ti imbatti in persone speciali, per cui provi stima sincera. E quando il loro tempo è prossimo a esaurirsi ti metti in disparte in segno di rispetto verso la persona e l’intimità di chi ha autentici motivi per piangerla; torni a essere fatto di byte temporaneamente parcheggiati nella partizione di qualche server.
La vicinanza virtuale in questi casi si rivela più fragile ed eterea di questa nostra vita fatta della stessa materia dei sogni, come Shakespeare fa dire a Prospero.
Così, per quanto possa sembrare irrazionale, nelle ultime ore ho vissuto con afflizione, restando a distanza, la decorso terminale di un mio contatto “speciale”, non sapendo se sperare in un improbabile “segno di Giona” o che tutto si compia come un transito senza affanni all’altra sponda del fiume Lete.
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domenica, settembre 28, 2014
Doctor Henry & Mr. Tudor
Cosa trasformò il giovane, prestante (1.85), gioviale e colto sovrano ammirato nei primi anni in un despota obeso (circa 180 kg), crudele e psicotico, afflitto da svariati disturbi di salute e quasi immobilizzato da ulcere e spasmi agli arti inferiori?
In merito sono state formulate parecchie ipotesi. Si va, infatti, dalla sifilide (oggi scartata) al diabete tipo 2 non trattato, dal mixedema da ipotiroidismo al danno neurologico a seguito di una brutta caduta da cavallo, dalla sindrome di Cushing fino a malattie genetiche rare come la porfiria o la sindrome di McLeod, combinate all’ossessione per l’erede maschio e sano che non arrivava.
Anche su quest'ultimo aspetto è circolata la teoria secondo cui gli aborti spontanei e le gravidanze portate a termine con nati morti o dalla esistenza effimera che costellarono la tempestosa vita matrimoniale di Enrico VIII erano dovuti al gruppo sanguigno raro (antigene Kell Positivo - KK) ereditato dalla nonna paterna.
Di sicuro Enrico VIII d'Inghilterra visse fino a 56 anni, età assai avanzata per l’epoca, dopo poco meno di 40 anni di regno nei quali il monarca non si era negato alcun eccesso, specie a tavola.
Di contro, tutti i referti medici stilati a posteriori sono destinati a restare nel campo delle ipotesi, almeno sino a quando non sarà autorizzato un prelievo di campioni per analizzare il DNA regale.
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venerdì, febbraio 28, 2014
Obituary calls
Ci sono piccole cose che ti segnano il tempo. Disseminate con apparente casualità, stanno lì a dimostrarti che sì, stai invecchiando, e senza neanche passare per l’anticamera della saggezza.
C’è, ad esempio, quell’accentuarsi del pessimismo che ti fa storcere il naso dinanzi a un governo nazionale appena nato in cui scorgi il perpetuarsi, al di là delle sigle di partito, del marketing politico autoreferenziale degli ultimi 20 anni nonché l’apoteosi di quella comunicazione che privilegia la forma sulla sostanza, il contenitore sul contenuto e la narrazione sull’ideazione.
Ma ancor di più ti accorgi del tempo che passa, inesorabile, da certe telefonate in teleselezione che prendono una piega, per così dire, “obituaria”.
«Pronto? »
«Ueeeeee! Marce’!!»
«Oooh, ciao! come state?»
«Non c’è male, insomma. Zoppico da tre giorni, Xxxxxx è a letto con la bronchite, Yyyyyy dovrebbe fare una visita oculistica...»
«Andiamo bene!!!»
«Eeeh... sai com’è. Piuttosto, hai presente Tizio ?»
«Mmm... Aspe’... Sì!»
«È morto. Hanno fatto il funerale l’altro ieri»
«Taddannu! E non era neanche così anziano»
«Scherzi?!? La buonanima aveva 87 anni. Stava male già da un po’»
«Ah! Poveretto»
«E di tzia Caia ti ricordi?»>
«Non mi dire che pure lei...»
«No no... è ricoverata in ospedale: femore rotto»
«Merda, ma come è successo?»
«Pare un capogiro mentre scendeva dalle scale. Sai chi altro è morto da poco?»
«...»
Il mio mondo perde pezzi e somiglia sempre più alla pagina dei necrologi: ca@@o.
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venerdì, ottobre 15, 2010
averno & dintorni
Recentemente ho ricevuto la richiesta di farmi carico di un’incombenza relativa alla sistemazione dei miei genitori nel cimitero del paese dove sono nato.
È raro che mi capiti di accostare il loro ricordo al luogo dove sono sepolti, ai due loculi affiancati sui quali i nomi rozzamente impressi sul cemento ormai si distinguono a malapena.
Si direbbe quasi che una sorte malevola e lo scorrere del tempo si siano accaniti a cancellare ogni traccia del loro passaggio o - ipotesi più neutra - vogliano sottolineare che quel che resta nel sepolcro non è ciò che conta.
Sarà colpa di quelle scritte sbiadite dal sole e dalle intemperie se, ultimamente, una considerazione oziosa riesce a farsi strada nell’ordinaria bolgia di pensieri e liste di cose da fare, da ricordare o da dimenticare: se un giorno qualcuno chiedesse alle persone che ti conoscono meglio chi eri e cosa sei stato per loro, cosa racconteranno per descriverti?
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sabato, gennaio 30, 2010
The storm above us

"Se guardo il tuo cielo,
opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissate,
che cosa è l'uomo perché te ne ricordi
e il figlio dell'uomo perché te ne prenda cura?"
(dal Salmo 8)
Dedicato a una persona splendida, di una gentilezza squisita ma anche forte e coraggiosa, che pochi giorni fa ha salutato una figlia che nessun amore, per quanto grande, poteva ancora trattenere su questa terra.
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domenica, marzo 29, 2009
The Sunday Resume 3/29
Epitaffio al testamento biologico

"Qui si capisce quanto fragile sia la vostra concezione della libertà e della dignità dell'uomo, della sua volontà libera di tornare naturalmente, per chi ci crede, creatura di Dio nelle braccia del Padre e, per chi non crede, di finire dignitosamente com'è naturale che accada, sperando di aver lasciato segni, affetti, esempi nel mondo."
Anna Finocchiaro, Capogruppo PD al Senato
I 4 Umori

C'è poco da dire e molto da riflettere nella restaurazione a tappe forzate varata dalla nuova giunta regionale sarda.
Torna a calare la benda sugli occhi dei quattro mori: una scelta di immagine costosa, motivata con una discutibile fedeltà alla tradizione. Visti gli altri atti in cantiere, forse la ragione vera è che la giunta non vuole che i quattro mori siano testimoni oculari della grande svendita dell'isola che è alle porte.
"Quod non fecerunt barbari..."
Piccolo-spazio-pubblicità

Dove si situa la linea di confine che separa l'originalità della "big idea" dalla trovata opinabile, il messaggio efficace da quello fiacco o ambiguo, la provocazione intelligente da quella fine a se stessa?
Senza dubbio il visual della campagna "Eat More" (agenzia Diamond Ogilvy, Seoul) è di quelli che catturano l'attenzione, però lascia anche parecchio perplessi.
Non c'è un significato univoco in quel palloncino gonfio e protruso al posto dell'addome, né c'è un collegamento forte e immediato con il prodotto e i suoi benefit.
Tutto lascia credere che i creativi coreani non abbiano tenuto in considerazione che l'immagine poteva richiamare alla mente non il piacere di ristorarsi con una bevanda multivitaminica, bensì un'esperienza tanto comune quanto spiacevole come il gonfiore intestinale.
Vasco Rossi commenterebbe: "con tutte quelle, tutte quelle bollicine"
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domenica, febbraio 08, 2009
Spiccioli domenicali
Sepolcri imbiancati

Trovo insopportabili l'ipocrisia, la mistificazione e la protervia che trasudano dalle esternazioni di politicanti senza scrupoli, un manipolo di illustrissimi scalzacani, puttanieri e sepolcri imbiancati che per puro calcolo ha abbracciato una pseudo-crociata.
Provo profondo rispetto, invece, per l'inferno che ha vissuto la famiglia Englaro, per la dignità con cui per 17 anni ha chiesto che si potesse compiere nel rispetto della legge qualcosa di apparentemente agghiacciante, per ciò che sta vivendo ora che la procedura di sospensione dell'alimentazione e dell'idratazione ha avuto inizio, per la responsabilità terribile che si è addossata e che nemmeno il poter piangere finalmente su una tomba potrà alleggerire.
Chi da giorni lancia proclami in nome di principi assoluti non si è mai scomodato a vedere, a toccare, a restare per qualche ora in silenzio, solo e a tu per tu con il povero corpo di Eluana Englaro così com'è oggi.
Credo che nulla si avvicini più alla verità delle cose della breve dichiarazione rilasciata dal medico della casa di cura di Udine dopo il trasporto di Eluana Englaro da Lecco al capoluogo friulano: riascoltatela con attenzione, casomai la riproponessero.
Fourtyseven
Yeah, can we call it a loan
till I'm paid in full for the seeds I've sown
Yeah, can we say that I've grown
In someway that we may have yet to be shown.
Oh, if I'd only known
what your heart cost
Oh, can we call it a loan...
and a debt that I owe
on a bet that I lost.
Jackson Browne - da Call it a loan

Il bicchiere mezzo pieno è che non mi sento né appagato né arrivato. Il bicchiere mezzo vuoto sono i traguardi ormai alle spalle, le svolte mancate per scelta, per errore o per pigrizia.
La buona nuova è che l'avanzare degli anni ha reso insostenibili certe "bugie bianche" che mi raccontavo per fortificare l'autostima, per non ammettere di essere assai diverso dalla persona che credevo di essere o di poter diventare.
Ciò non significa che ho smesso di lavorare su me stesso, ma che adesso mi sento abbastanza comodo nei miei panni senza dover dimostrare niente a nessuno.
La cattiva nuova è che ancora oggi, pur avendo una visione nitida e articolata di una situazione, continuo a dare le risposte sbagliate o a fare l'esatto contrario di ciò che sarebbe giusto o saggio.
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domenica, novembre 16, 2008
C'è libertà e libertà
“Scusi, cos’è che sta pagando?”
“L’Unità...aspetti ... aehm...ecco, la vede? È diventata così piccola...”
Battute di spirito a parte, Concita De Gregorio ha firmato sul numero di venerdì dell'Unità un editoriale misurato e nel contempo incisivo intitolato “C’è libertà e libertà” a commento di due sentenze molto attese: quella della Corte di Cassazione sul caso di Eluana Englaro e la pronuncia in primo grado su quanto accadde nella scuola Diaz di Genova al termine del G8, sette anni fa.
Ci sarebbe tanto da scrivere su entrambe le vicende, ma il mio punto di vista l'ho espresso nei mesi scorsi, onde per cui non mi sembra il caso di concedere bis non richiesti.

Se la decisione della Cassazione sul destino prossimo della povera Eluana Englaro, infatti, è un insperato punto a favore sulla tenuta di uno dei cardini del nostro ordinamento giuridico, l'autonomia della giustizia e del potere giudicante esercitato dalla magistratura rispetto alle pressioni esercitate da poteri concorrenti, non altrettanto si può dire per la sentenza sui fatti di Genova del luglio 2001.

Per chi in quei giorni era a Genova e per la memoria di tutti lascio i link a tre spezzoni della diretta di Radio Popolare/Popolare Network di quel drammatico sabato notte del 2001 messi a disposizione sul sito dell'emittente.
Credetemi, sono testimonianze audio che meritano di essere ascoltate.
Questa sera il controllo è un po' più forte
Ci stanno assaltando
Comportamento da stato sudamericano
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sabato, luglio 12, 2008
Sit tibi terra levis

Macca, con un suo post, invita a una riflessione non estemporanea sul caso di Eluana Englaro, da 16 anni in coma irreversibile a seguito di un incidente stradale in cui riportò un gravissimo trauma cranico e la frattura delle seconda vertebra cervicale.
Dal gennaio 1992, Eluana Englaro non è senziente e, per quanto è dato sapere, non soffre dato che la sua reazione agli stimoli diretti o ambientali è solo un pallido riflesso vegetativo.
Eluana è assistita da personale medico e paramedico che ogni giorno provvede a lavarla con spugnature, ad alimentarla e idratarla attraverso una sonda naso-gastrica, a indurre lo svuotamento dell'intestino e a girarla a cadenza regolare affinché non si formino piaghe da decubito.
Non si può fare altro per lei: la scienza medica esclude la possibilità di un ripristino delle funzioni celebrari.
Da oltre 10 anni il padre di Eluana, che ne ha assunto la tutela, si batte affinché una sentenza gli riconosca la possibilità di far sospendere il trattamento che tiene in vita l'organismo di sua figlia. Beppe Englaro afferma che Eluana, qualche tempo prima dell'incidente, avrebbe espresso la sua contrarietà a sopravvivere in condizioni di totale incoscienza.
Però di questa asserita volontà non esistono prove documentali, come rilevava una prima sentenza della Corte d'Appello di Milano nella motivazione con cui rigettava l'istanza ex art. 32, comma secondo, della Costituzione: "Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana".
In questi giorni, tuttavia, una nuova pronuncia della Corte d'Appello ha ribaltato il verdetto, prendendo atto della straordinaria durata della vita vegetativa e delle convinzioni espresse in materia da Eluana quando era nel pieno possesso delle sue facoltà di intendere e di volere.
A mio modo di vedere, mai come in questo caso la visione intransigente della vita come qualcosa di sacro e intangibile dovrebbe essere temperata dalla pietà, fare un passo indietro e non impedire ulteriormente alla natura di fare il suo corso.
Eluana non soffre, ma la sua identità individuale, la sua essenza o in qualsiasi altro modo si voglia chiamare l'esistenza consapevole, è stata strappata via 16 anni fa. La vita biologica è sopravvissuta, ma solo grazie a un trattamento medico che non fa altro che sospendere l'altrimenti inevitabile sopravvenire della morte.
Difendere la sacralità della vita in queste condizioni sconfina nell'accanimento terapeutico, in un atto di arroganza intellettuale con cui l'uomo rifiuta di accettare la sua condizione mortale.
Infine, per quanto sia un gesto devastante, lasciare che il corpo di Eluana si spenga e sia riconsegnato alla terra è un gesto di rispetto verso la memoria della sfortunata ragazza. Chi l'ha amata in vita e ha sofferto in questi interminabili 16 anni di agonia potrà finalmente elaborare il lutto.
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