martedì, aprile 28, 2009
Opinio
Sarò telegrafico e diretto nel farvi una domanda.
Pensate che abbia ragione chi sostiene che
"Si scrive quando si sta male... quando si sta bene si vive"?
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domenica, aprile 26, 2009
Sunday Resume 04.26.2009
La nazione che non conosce il sorriso
La Corea del Nord non è certo il primo posto che mi viene in mente per trascorrere una vacanza, non solo per il suo clima pungente.
Mi viene difficile immaginare un luogo del pianeta più triste e alieno di una nazione-caserma che rivaleggia con la Birmania nella repressione delle libertà individuali, dove il "Caro Leader" è un ometto riverito come un monarca assoluto dalle qualità sovraumane, dove si possono condannare milioni di persone a condizioni di vita ai limiti della sussistenza pur di sviluppare nuove armi di distruzione di massa.
Nell'immagine, scattata dal satellite, si vede la Corea del Nord immersa quasi totalmente nel buio rispetto alla Corea del Sud. Si tratta di un indice dello sviluppo e della disponibilità di energia per uso civile in una nazione che non difetta affatto di carbone e di risorse idroelettriche e che si vanta del possesso di armi atomiche...
Mi ha molto colpito "The land with no smile": una serie di foto scattate a Pyongyang, capitale della misteriosa e infelice Corea del Nord, da un businessman occidentale scortato dalle immancabili "guide" (agenti dell'intelligence nordcoreana). Andatele a vedere qui .
Il G8 e il valzer del grottesco
Paradossalmente, è doveroso dire grazie a Silvio Berlusconi per aver trasferito il G8 dall'isola di La Maddalena all'Abruzzo a pochi mesi dalla data d'inizio del maxi meeting internazionale.
La solenne figuraccia che il Premier ha fatto fare all'ancora fresco di nomina Ugo Cappellacci, avvertito a cose fatte come il classico marito becco, ultimo a sapere delle tresche della coniuge, e i danni procurati dalla mancata realizzazione delle opere previste per il G8 sono la migliore dimostrazione di quanto valgano le promesse di un leader tanto affabile a parole quanto assolutamente privo di scrupoli.
Si sapeva da tempo che l'idea di ospitare i grandi della terra a La Maddalena era sgradita all'Unto perché voluta da Renato Soru e Romano Prodi. L'idea di spostare la sede del G8 in Abruzzo pare sia stata partorita da Guido Bertolaso, e al Silvione non è parso vero di poter cogliere l'opportunità di un colpo mediatico da maestro, rifacendosi con gli interessi dei tentativi andati a vuoto di traslocare il summit a Napoli.
Mi dispiace, sinceramente, per la sorte dei lavoratori delle imprese in subappalto che stavano lavorando a La Maddalena, e ancor più per il fatto che le imprese nazionali che si erano spartite i lucrosi appalti con procedure che, eufemisticamente, potremmo definire "poco trasparenti" verranno in qualche modo risarcite delle perdite con altri favori ministeriali.
Mi chiedo solo dove siano finiti i fieri e sdegnati sardi che fecero gazzarra e guerriglia a Cagliari quando la regione aveva dato l'OK per smaltire un po' del pattume napoletano...
Tornando alla politica regionale, c'è poco da gioire di questi tempi. Chi, mesi or sono, levava il calice alla "Sardegna che torna a sorridere" ora tace imbarazzato davanti al fatto che non una delle mirabolanti promesse elettorali è stata mantenuta.
L'Euroallumina di Portovesme, alla faccia della nota telefonata all'amico Putin, oggi è un sarcofago colmo di veleni che non si sa come e dove smaltire, la chimica a Porto Torres, Ottana e Macchiareddu è in agonia, la Sassari-Olbia, se tutto va bene, vedrà la luce tra venti anni e il promesso collegio elettorale per le europee si è perso nelle nebbie, tanto per non fare uno sgarbo alla Sicilia che ha 3 volte gli abitanti della Sardegna.
In definitiva, oggi l'isola e chi la governa hanno il peso e lo spessore politico del pane carasau, ed è già tanto se quel bel tipo di Renato Brunetta non si pulisce le scarpine di vitello sulle poche prerogative residue dell'autonomia regionale.
Una firmetta, please
Si rincorrono in rete voci incontrollate in merito all'esistenza di un "geniale" progetto governativo per la realizzazione di almeno una delle nuove centrali termonucleari italiane in Sardegna, contando anche sull'altissimo senso di responsabilità e di condivisione (...) dell'attuale giunta regionale.
Addirittura si ventila che tra i siti prescelti ci sia Arborea, già Mussolinia di Sardegna, centro agricolo a sud di Oristano sorto durante il ventennio fascista dopo la bonifica di una zona paludosa e abitato, alle origini, da coloni provenienti da Friuli e Veneto.
Sembra una barzelletta, perché dal territorio di Arborea arriva la quasi totalità del latte vaccino e dei suoi derivati nonché buona parte della verdura e degli ortaggi freschi venduti sul mercato isolano. D'accordo che l'attuale sindaco di Arborea è un personaggio particolare, che recentemente ha fatto ripristinare la dicitura "Mussolinia di Sardegna" sui documenti dei residenti nati durante il periodo fascista, ma nell'Italia di oggi solo ciò che è folle diventa prima attuabile e poi irreparabile.
Non sarebbe male, pertanto, sommergere la scrivania dell'ineffabile ministro Claudio Scajola e del Silvio nazionale con una petizione popolare che dichiari in modo civile, ma fermo, la contrarietà all'avventura termonucleare e il sì allo sviluppo delle energie da fonti rinnovabili come quella solare, qui.
Anello mancante?
Sull'isola artica di Devon, Canada, un gruppo di ricercatori si è imbattuto nei resti fossili di un mammifero carnivoro sconosciuto dalle attitudini anfibie vissuto nel Miocene, circa 23 milioni di anni fa.
L'animale, che in vita era lungo più o meno un metro, è stato catalogato con il nome di Puijina Darwini.
Basandosi su alcune particolarità dei resti (cranio, muscolatura, estremità degli arti palmate) è stato definito come "l'anello mancante" nella transizione di un gruppo di mammiferi terrestri verso la vita marina approdata negli attuali pinnipedi (foche, otarie, leoni marini, trichechi).
Qualcuno è arrivato a definire il Puijina Darwini "una foca preistorica capace di camminare", ma è più probabile che si tratti di uno dei tanti esperimenti che madre natura compie e che non ci sia un collegamento diretto tra questa sorta di grossa lontra e i pinnipedi odierni, un po' come l'Oreopiteco trovato in Toscana, l'Australopiteco Robusto o l'Uomo di Neanderthal rispetto alla nostra specie.
Ciò non toglie nulla al fascino arcano del grande libro dell'evoluzione, in cui il Puijina Darwini ha ritrovato finalmente il posto che gli spetta.
Una donna ci aspetta alle colline
Tu non sai le colline
dove si è sparso il sangue.
Tutti quanti fuggimmo
tutti quanti gettammo
l'arma e il nome.
Una donna
ci guardava fuggire.
Uno solo di noi
si fermò a pugno chiuso,
vide il cielo vuoto,
chinò il capo e morì
sotto il muro, tacendo.
Ora è un cencio di sangue
e il suo nome.
Una donna
ci aspetta alle colline.
Cesare Pavese - La terra e la morte
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domenica, aprile 19, 2009
Sunday Resume 04.19.09
Compagno Silvan
Che sia Aldo Savoldello, classe 1935, veneziano da anni trapiantato a Roma, il leader che tanto attendevamo per guidare l'opposizione alla riscossa?
E' bastato che l'astuto Savoldello privasse Lorena Bianchetti della protezione dell'anello magico forgiato dalla Ditta Sauron di Arcore perché la fede e il coraggio leonino della giornalista, iscritta all'Ordine per meriti episcopali, si liquefacessero all'istante.
La sventurata ha tentato un estremo atto di resistenza, dissociandosi dal micidiale affondo contro Berlusconi pronunciato da Savoldello e lanciandosi in una disperata professione di fede che richiede il totale controllo sulla lingua.
Ecco la documentazione filmata di quei drammatici momenti (se ne sconsiglia la visione ai deboli di stomaco)
Il giorno seguente, però, Lorena Bianchetti è stata intercettata all'aeroporto di Fiumicino mentre faceva il check in per un volo intercontinentale diretto a Città del Messico.
Raggiunta telefonicamente dall'ANSA, la Bianchetti ha rilasciato la seguente, laconica dichiarazione: "Chiedo scusa a tutti. Parto per il Chapas perché intendo mettermi al servizio del SubComandante Marcos e della causa internazionalista. Aldo Savoldello mi ha aperto gli occhi: ho capito che altrimenti la mia vita non avrebbe senso".
Compagno Aldo, o dovrei dire Mago Silvan, per piacere usa la tua prodigiosa bacchetta magica su Silvio e i suoi compagni di merende! Ah... ahem... ti sarei grato se, magari in un altro momento, volessi usare la tua bacchetta anche a favore del mio conto in banca. Sim Sala Bim! :-)
Fatt' and Furious
"I coglioni sono molti più di due", infatti ieri notte ne ho contati otto: 4 per macchina.
Ero in auto con amici che mi riaccompagnavano gentilmente a Stalingrad City quando, all'altezza di Porta Venezia, entra in scena una Audi con targa francese. Osservando lo stile "avventuroso" del conducente, lasciamo sfilare l'Audi poco prima di un semaforo, che l'autovettura supera a razzo malgrado sia ormai rosso pieno.
Al semaforo successivo è il turno di una Lancia Ypsilon con a bordo quattro ragazzotti usciti belli pimpanti da qualche locale. I giovanotti in questione si divertono un mondo a fare casino schiamazzando, suonando il clacson e giocando con i fari per chiedere strada.
Noi stiamo dietro per i fatti nostri e continuiamo a osservare scambiandoci commenti sarcastici. Quando vediamo l'Audi e la Ypsilon imboccare Viale Monza ci guardiamo in faccia per un attimo pensando la stessa cosa: "Sta a vedere che...".
Detto fatto: l'Audi e la Lancia iniziano a sfidarsi in sorpassi e controsorpassi in stile Fast & Furious.
A un certo punto, al francesino alla guida dell'Audi salta la mosca al naso perché accelera, sorpassa e poi inchioda i freni di botto.
Con l'aiuto di San Cristoforo, il conducente della Ypsilon evita il tamponamento e dalle auto ferme scendono tutti e otto gli occupanti per un tempestoso "chiarimento".
Prima di proseguire, facciamo in tempo a vedere che già stanno volando i primi spintoni. Nel retrovisore vediamo anche in lontananza i lampeggianti blu di una vettura dei vigili urbani o delle forze dell'ordine che sta sopraggiungendo.
Non saprò mai quale sia stato l'epilogo della vicenda, ma se per caso ci fosse stata una macchina per misurare la concentrazione di stupidità nel sangue penso che sarebbero risultati valori da guinness dei primati.
Pesce d'aprile o uovo di pasqua?
L'incredibile caso di un distinto signore russo operato per una massa tumorale ai polmoni. In sala operatoria, il chirurgo apre e non crede ai suoi occhi: con le pinze, infatti, estrae una piantina di abete alta circa 5 cm.
Non ditemelo: lo so che ha tutta l'aria di un pesce d'aprile, ma forse è un altro trucco del Mago Silvan, in trasferta in Russia con il disegnatore Vauro per preparare il ritorno al potere dei comunisti.
Ecce video
Buona settimana a tutti
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venerdì, aprile 17, 2009
Nato morto
Le vicende di Gairo e Osini che ho raccontato nel post precedente sono la dimostrazione di come i paesi siano a modo loro entità vive al di là della pietra, dei mattoni e delle tegole.
I paesi hanno una loro storia che talvolta si intreccia con gli avvenimenti della “grande storia”, ma molto più spesso segue le ordinarie, oscure vicissitudini dei loro abitanti.
I paesi nascono come villaggi, si sviluppano e, se hanno fortuna, prosperano; altrimenti sfioriscono, invecchiano avvizzendo come bozzoli abbandonati, si svuotano e lentamente muoiono, in silenzio.
La Sardegna vanta un suo affascinante “libro dei villaggi perduti”, cancellati da carestie, pestilenze, inimicizie fratricide, incursioni barbaresche, grassazioni, fonti avvelenate da rivalità di campanile o semplicemente abbandonati dagli abitanti in cerca di prospettive di vita meno dure.
Quel libro oggi rischia di arricchirsi di nuovi nomi: quelli dei piccoli centri di montagna, dissanguati a vantaggio delle poche città della costa. Però questo fenomeno abbraccia tutta l’Italia, non solo l’isola.
C’è però un caso che spicca per la sua unicità: quello del paese nato morto.
Mi riferisco a Pratobello, una borgata che da quaranta anni attende inutilmente abitanti mai arrivati o il pietoso colpo di grazia delle ruspe.
Pratobello sorge, isolato, su un piccolo altopiano nel cuore del Gennargentu, in territorio di Fonni, ed è ben visibile da chi percorre la strada statale che collega Lanusei a Nuoro.
La storia, o meglio la non-storia di questo minuscolo borgo si è consumata nel 1969.
Il governo di centrosinistra guidato da Mariano Rumor aveva deciso l'istituzione dell’ennesima servitù militare in Sardegna e, per decreto, aveva disposto la requisizione di centinaia di ettari rientranti nei territori comunali di Fonni e Orgosolo affinché fossero adibiti a poligono di tiro per i reparti di fanteria motorizzata.
Per accogliere le famiglie dei militari di stanza nella nuova struttura venne edificato a tempo record un paesello in miniatura - Pratobello appunto - completo di chiesa, scuole e abitazioni.
Solo che i pascoli requisiti erano considerati vitali dai pastori di Orgosolo, così l’intero paese barbaricino si sollevò andando a occupare i campi contesi.
Il braccio di ferro tra civili orgolesi e forze armate si protrasse per circa un mese. La tensione rischiava di degenerare in qualsiasi momento, così il progetto del poligono venne prima prudentemente sospeso, poi definitivamente accantonato.
Se si esclude l’occupazione di un grande caseggiato da parte dei Carabinieri, durata alcuni anni, Pratobello è rimasto desolatamente vuoto. Qualche casa è stata adibita - non si sa a che titolo - a ricovero per il bestiame e ancora oggi le stradine silenziose sono attraversate di quando in quando solo dagli autocarri e dai fuoristrada degli allevatori fonnesi od orgolesi.
Il paese che non doveva esistere sta andando lentamente in malora e mette malinconia. Sembra un giocattolo abbandonato tra le montagne o un personaggio tragico che, muto, guardi il cielo chiedendo incessantemente il perché di un destino tanto avvilente e senza riscatto.
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giovedì, aprile 16, 2009
Après nous le déluge
“Dopo di noi il diluvio”.
Luigi XV è passato alla storia per poche cose al di fuori di questa celebre frase, che sintetizzava tutto il suo regale menefreghismo per il futuro e per i problemi che l’insostenibile sfarzo della corte di Versailles avrebbe lasciato in eredità alla Francia e ai francesi.
Mutatis mutandis, Daniele (Macca) ha sfornato un bel post in cui mette il dito su una piaga, su una questione che nei giorni del lutto nazionale e dello slancio solidaristico post-terremoto è stata trattata con le pinze, quasi fosse una imperdonabile caduta di stile: come si può ricostruire un’identità, un territorio, servizi e infrastrutture in un Paese che, a tutti i livelli, antepone la furbata, l’accomodamento compiacente e l’interesse personale alla memoria, al buonsenso e al senso di responsabilità.
Ci sono tanti, troppi piccoli Luigi XV in giro per l'Italia e a monte del disastro naturale in Abruzzo per non temere che li ritroveremo in prima fila a valle, al momento della ricostruzione.
La documentazione che accompagna i certificati di collaudo dell’ospedale San Salvatore a L’Aquila, firmati nel 1980 da un ingegnere, un architetto e un geologo, è a suo modo illuminante su come sia possibile chiudere gli occhi su carenze e omissioni contando sull’indifferenza, sull’ignoranza e sul silenzio altrui.
E, aggiungo io, si tratta di un documento raro, perché in Italia siamo specialisti nel tagliare nastri e nel mettere il cappello su qualsiasi risultato positivo, ma altrettanto lesti nell’addossare alla fatalità gli effetti nefasti delle truffe, le disgrazie evitabili, gli incidenti sui luoghi di lavoro ecc. ecc.
Il diluvio dimenticato
C’è un altro aspetto, se volete collaterale e indiretto, che mi ha colpito negli scenari del dopo sisma: l’alternativa tra l’ipotesi delle new town, insediamenti da realizzare ex novo in località diverse e lontane da quelle devastate, e la ricostruzione pura e semplice una volta rimosse le macerie e riparato ciò che è restaurabile.
A favore della seconda soluzione c’è l’istintivo radicamento di una comunità che ha in un luogo fisico i simboli visibili della sua identità, della sua storia, di una trama di rapporti e consuetudini che, qualora venisse recisa, acuirebbe il già penoso senso di smarrimento e alienazione.
Questo mi ha fatto pensare a quanto successe nella mia zona d’origine dopo l’alluvione dell’ottobre 1951.
Dopo anni di siccità, la Sardegna orientale (la costa affacciata sul Tirreno) venne flagellata per 6 interminabili giorni da precipitazioni incessanti, violente, con punte locali di 1431 mm di pioggia caduti in sole 24 ore.
Fu un diluvio di proporzioni bibliche, che concentrò la sua furia devastatrice soprattutto su Baronia, Ogliastra e Sarrabus. Frane, allagamenti, ponti crollati, comunicazioni ed elettricità interrotte, paesi isolati per giorni, smembrati o quasi totalmente distrutti, i primi soccorsi paracadutati dagli aerei rendono l’idea di quella apocalisse dimenticata.
Il mio paese natale, Lanusei, fu danneggiato solo in parte. Tuttavia, fino agli anni ‘80 il ricordo dell’alluvione era visibile nelle casupole e nelle baracche del cosiddetto Villaggio Santa Lucia: un’enclave all'estrema periferia dell'abitato sorta spontaneamente ad opera delle famiglie sfollate.
La sorte peggiore toccò a Gairo e Osini : due piccoli centri arroccati uno di fronte all’altro sui ripidi costoni a monte del rio (torrente) Pardu.
Per spiegare in termini semplici cosa accadde, dovete pensare a un terreno fatto di più strati poggiati in precario equilibrio l’uno sull’altro. Dopo l’alluvione, gli strati superiori iniziarono lentamente, ma inesorabilmente, a smottare a valle scorrendo su quelli inferiori.
L’agonia di Gairo e Osini durò una dozzina di anni, finché anche gli ultimi irriducibili dovettero arrendersi all’evidenza del pericolo per la loro incolumità e abbandonarono i due paesi, trasformati da allora in tristi, ma suggestive ghost town (vedi immagini sopra).
Mio padre, che alla metà degli anni ‘50 lavorava a Gairo, mi raccontava di come sistemasse strisce di nastro adesivo sulle crepe che correvano sui muri dell’ufficio e di come le trovasse in capo a qualche giorno spaccate in due dai microspostamenti del terreno che franava.
Gairo venne ricostruito in parte sulla costa (Gairo Cardedu) e in parte a monte del vecchio abitato (Gairo Sant’Elena), mentre Osini venne riedificato circa 2 km a SE.
Mi sono chiesto per anni cosa avesse convinto gairesi e osinesi a ostinarsi nel costruire le nuove abitazioni così pericolosamente vicino alle rovine di quelle antiche, circondandole di grandi muraglioni di contenimento, dato che un processo naturale può essere ritardato, ma non sviato dal suo corso fintanto che non perviene a un nuovo stato di equilibrio.
La risposta è in quanto ho detto sopra: in quella volontà di resistere allo sradicamento, costi quel che costi, che ispira le decisioni degli appartenenti a una comunità dopo un evento naturale traumatico.
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martedì, aprile 07, 2009
Bitter Easter
Sarà una Pasqua amara, amarissima per molta gente; donne, uomini, ragazzi, bambini, anziani che non conosco, che in pochi secondi hanno visto svanire tutto il loro passato, gli affetti più cari e i progetti riguardo il futuro.
Persone che hanno bisogni, pensieri, ricordi, sogni e speranze che meritano rispetto e cura da parte di ognuno di noi.
In tutta onestà, non me la sento di suggerirvi un canale "100% sicuro" per fare arrivare a destinazione eventuali donazioni, per cui vi rimando a uno dei tanti elenchi disponibili on line: clicca qui .
[EDIT]
La Regione Abruzzo ha aperto un conto corrente postale su cui possono confluire aiuti in denaro:
c.c.p.10400000
intestato a: Regione Abruzzo
causale: Regione Abruzzo pro-Terremoto
Per informazioni aggiornate su come, dove, quando aiutare le popolazioni terremotate, consultate questa pagina Wiki
[/EDIT]
Trovo una particolare e (spero) non blasfema assonanza tra il significato simbolico dei cibi che vengono serviti come “assaggi” nella cena ebraica della Vigilia e la situazione di chi, in Abruzzo, è sopravvissuto a carissimo prezzo alla furia del sottosuolo.
- pane azzimo: il pane non lievitato di chi è dovuto fuggire di casa il più in fretta possibile;
- cosciotto d’agnello: in memoria delle vittime sacrificali reclamate dal terremoto;
- sedano intinto nell’aceto: simbolo di perdita della libertà e di lacrime;
- erbe amare (cicoria, tarassaco, crespigno, eringio, centaura minore): il sapore dell’afflizione;
- kharoset (una composta densa fatta di noci, nocciole tritate, fichi secchi, miele, mela grattugiata, vino rosso e spezie): ricordo dei mattoni, della malta e del cemento armato sbriciolatisi come sabbia;
- uovo (sodo): promessa di vita che si rinnova, ma anche simbolo della fragilità umana.
Voglio sperare che questa volta non si ripeta il copione osceno che ha seguito i cataclismi in Italia. Non voglio che accada un'altra di quelle vergognose spartizioni delle risorse destinate alla ricostruzione che hanno visto seduti a banchetto, uniti nell'avidità e nell'impunità, notabili di partito, galoppini, imprese, grand commis di stato, amministratori pubblici, liberi professionisti e uomini di malaffare.
Abbiamo tutti bisogno di trovare un po' di pace, serenità e speranza,
per cui vi auguro di tutto cuore
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sabato, aprile 04, 2009
Mow the Lawn
A volte tornano....
Qualche anno fa, più o meno in questo stesso periodo, sono stato coinvolto nel lancio in Italia di un particolare accessorio per la cura della bellezza femminile. Fin qui niente di strano: nella mia professione essere eclettici (e un po' paraculi) è la norma.
Però è il caso di dire che l'accessorio di bellezza in questione è stato una bella gatta da pelare, trattandosi di un rifinitore studiato per lavorare di fino nel... ahem... triangolo sotto i bermuda, tant'è che Giuly, la collega specializzata in Fashion & Glamour che seguiva l'ufficio stampa del cliente, l'aveva ribattezzato con un nome in codice che era tutto un programma: "il Tosapatata".
Se si fosse trattato di realizzare una pagina pubblicitaria, avevo già il modello a cui ispirarmi, sempre che il cliente fosse stato tanto folle da darmi retta.
Avevo davanti agli occhi, infatti, il provocatorio visual di una campagna per la griffe Gucci (Groupe PPR) dell'epoca Tom Ford.
Invece ho dovuto sudare le proverbiali sette camicie per produrre un testo che era un capolavoro di allusioni e acrobazie semantiche, visto che mi si chiedeva di descrivere il prodotto in modo spigliato e accattivante, ma che per le policies del cliente erano tabù tutti i termini espliciti, i doppi sensi e persino buttarla sull'ironia.
Oltretutto lavoravo incattivito dall'avere costantemente in testa il bieco tormentone di Gianluca Grignani, quel "Ti raserò l'aiuola" che mi risultava gradito quanto il Vindaloo a chi soffre di emorroidi.
A distanza di anni, ecco che m'imbatto nello spot britannico per Wilkinson e rido, sia pure a denti stretti, alle trovate dei creativi inglesi che si sono potuti sbizzarrire sullo stesso tema, a cominciare da un titolo che più esplicito non si può: "Rasare l'aiuola/la siepe".
GRUNT!
P.S: Sarà anche una querelle vecchia come il cucco, ma quando osservo campagne come queste per Nike e Tom Ford, ho la netta impressione che la libertà creativa, il piacere estetico di un'immagine evocativa e il gusto per la provocazione siano null'altro che un paravento per l'inossidabile massima: "la strada più breve per arrivare al cuore del consumatore passa sotto l'asola dei pantaloni"
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giovedì, aprile 02, 2009
Hell on earth
Non so, davvero non so se sia sempre un bene avere tempo e modo di divagare. Ieri notte, ad esempio, mi ero messo comodo sul divano a leggere quando sono “inciampato” in una considerazione apparentemente innocua e banale sulla natura delle persone che ci circondano.
“È possibile provare simpatia e attrazione per una persona poco perbene, ma la nostra simpatia per lei non la farà diventare buona. Siamo istintivamente portati a vederla sotto la miglior luce possibile, ad accordarle fiducia e attenzioni valorizzando ciò che ci piace e relativizzando eccessi e difetti perché vogliamo credere che in fondo sia buona."Come vedete, nulla di particolarmente profondo: mero buonsenso applicabile tanto alla cerchia delle amicizie quanto ai colleghi di lavoro e a certi personaggi pubblici.
A quel punto, però, mi è tornato in mente un articolo dedicato al libro “Cecenia, il disonore russo” scritto da Anna Politkovskaya, la giornalista assassinata a Mosca nell’ottobre 2006.
In particolare, il recensore metteva in risalto come lo sguardo della Politkovskaya si fosse mantenuto miracolosamente freddo e al di sopra della faziosità annotando puntigliosamente il cinismo, l’arroganza, la corruzione e la crudeltà efferata che dilagavano nelle truppe russe, ma anche quanto di sordido, spietato e disumano riscontrava nella resistenza cecena.
Navigando su Internet per documentarmi sulla Cecenia, sono casualmente incappato in un’altra di quelle tragedie su larga scala tenute nascoste sotto lo zerbino perché non disturbino la nostra rassicurante visione del mondo come casa comune di un’umanità spontaneamente incline alla bontà, che si commuove davanti alla bellezza struggente di un tramonto, di un verso o di una melodia.
Guardate il video qui sotto, parte di un dossier di Médicins Sans Frontières:
Questa è solo una piccola galleria degli orrori della guerra che ha sconvolto il Congo ufficialmente dal 1998 al 2003, in realtà continuata in modo strisciante negli anni seguenti come dimostrano le testimonianze raccolte sul sito Women in War Zone.
Il lato più raccapricciante di quel conflitto è stato l’uso sistematico della violenza sessuale come tattica di guerra.
“Molte delle vittime sono state assalite in modo sadico, lacerate a colpi di baionetta o massacrate a bastonate al punto che i danni ai loro apparati digerenti e riproduttivi sono oltre qualsiasi intervento ricostruttivo,” ha commentato Jeffrey Gettleman, caposervizio della sezione Est Africa del New York Times. “Nel 2006 sono stati registrati 27.000 casi di stupro nella sola provincia di Kivu, e con tutta probabilità questa è solo una frazione di quanto è successo a livello nazionale.”Tirando le somme, dopo aver vagabondato sul web tra le fosse comuni di Darfur e Congo, Bosnia Herzegovina e Ruanda, è rimasta in sospeso una domanda che vi giro: che significato ha l'invito "restiamo umani"?
Azz...Vedete che succede a guardare troppo poca televisione?
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